Certamente il destino era stato generoso col giovane chierico Giuliano della Rovere, nato ad Albissola, nel Savonese, da “oscura famiglia”. Avere uno zio Papa come Sisto IV e trovarsi nel 1471, cardinale a ventisei anni, catapultato nelle stanze del governo dello Stato della Chiesa, non è certamente da tutti.

Ma il giovane Giuliano seppe ripagare queste provvidenziali fortune con una vita coraggiosa, spesa sino all’ultimo al servizio di quella causa cui aveva votato la sua giovane vita. Ebbe dallo zio notevoli incarichi politici, militari e diplomatici che lo resero protagonista indiscusso della politica internazionale dell’epoca, surclassando altri cardinali “nepoti”, forse più ricchi ma dal minore nerbo. Fu elettore determinante nel conclave del 1484 che elesse Papa Innocenzo VIII Cybo e durante il suo pontificato fu suo consigliere ascoltato.
Da cardinale fu amico del collega Marco Barbo, uno dei migliori esponenti del Sacro Collegio, e si oppose alla corrente più mondana, rappresentata dai cardinali Ascanio Maria Sforza e Rodrigo Borgia.
Si impegnò per impedire fino allo stremo l’elezione di quest’ultimo nel conclave del 1492 ma alla fine dovette desistere. Durante il pontificato di Alessandro VI si tenne ostentatamente lontano da Roma. Di Papa Alessandro VI il cardinale Della Rovere temeva soprattutto il modo di governare lo Stato Pontificio, considerato più come un feudo da gestire e da affidare allo spregiudicato figlio naturale di Sua Santità, il duca Cesare (“Il Valentino”), che uno stato da potenziare e rinforzare, unico baluardo protettivo per l’esercizio del potere spirituale. La morte di Alessandro VI e il breve pontificato di Pio III nel 1503 segnarono lo sfacelo della signoria personale del Valentino e l’anarchia completa nella parte settentrionale dello Stato Pontificio. Giulio II venne eletto Papa all’unanimità dal conclave il 1 novembre 1503 e fin dalla scelta del nome “cesareo” fece intravedere la sua volontà di piena restaurazione temporale e amministrativa dello Stato della Chiesa. Con una spedizione militare guidata personalmente riportò il potere delle Chiavi a Perugia e infine a Bologna nel 1506, liberandola della tirannide dei Bentivoglio. Contro la Serenissima che aveva sottratto ampie parti della Romagna al suo stato e continuava imperterrita nella violazione dei privilegi ecclesiastici, Giulio lanciò la scomunica e l’interdetto il 27 aprile 1509, alleandosi con Francesi ed imperiali contro di essa. Ma quando vide la Repubblica Veneta che, stremata, gli restituiva le terre e gli garantiva le libertà ecclesiastiche, riequilibrò immediatamente il quadro politico della Penisola, alleandosi con essa e la Spagna in funzione antifrancese. Di certo Giulio II non si sarebbe ridotto ad essere “capelan” del Re di Francia, Luigi XII, non certo per una passione nazionalistica che certi storici del periodo fascista hanno creduto di intravedere in lui, ma per la gelosa custodia della libertà e dell’unicità dello Stato della Chiesa, un “vicereame” di cui Cristo stesso è invisibile Re.
La “Lega Santa” antifrancese nasceva nell’ottobre 1511 e, dopo alterne vicende, nell’estate 1512 aveva ricacciato i Francesi oltr’alpe: Giulio II fece coniare una moneta che lo ritraeva a cavallo e con la frusta, mentre calpestava le armi francesi.
Lo stesso “concilio” che Luigi XII voleva indire con l’aiuto di alcuni cardinali francesi proni alla sua volontà, per deporre Giulio, si trascinò stancamente tra Pisa, Milano, Asti e infine Lione, per concludersi in un miserevole fallimento nel 1512.
Alto di statura e dalla fortissima fibra, occhi grandi, profondi , oscuri (la barba con cui lo ritrasse Raffaello la portò solo un anno e mezzo durante la campagna antifrancese), schietto fino alla rudezza, collerico, violento e impetuoso, sapeva essere delicato e gentile nei sentimenti amicali, ilare e gioviale nelle tregue che gli lasciavano l’attività politica e militare. Ebbe una fede religiosa semplice ed adamantina: nell’esercizio dell’autorità spirituale condannò le elezioni pontificie simoniache, rinnovò le condanne dell’Execrabilis di Pio II e della Bolla In Coena Domini contro chi si opponesse al libero esercizio del potere papale e contro la dottrina che poneva l’autorità del Concilio universale sopra quella del Papa. Indisse un Concilio Lateranense che aprì solennemente il 3 maggio 1512, per combattere la rinascente eresia gallicana e regalista in Francia, porre le basi per un rafforzamento della disciplina ecclesiastica e tentare la riorganizzazione di una Crociata (fortunatamente a quell’epoca non c’erano un Giuliano Ferrara o un Magdi Allam).
Inutile poi citare il mecenatismo attivo di Papa Della Rovere che tra una guerra e l’altra trovò il tempo di proteggere ed incoraggiare Michelangelo, Raffaello ed infine il Bramante per la costruzione della nuova basilica di San Pietro.
Amo rivedere Papa Giulio nel pieno dell’inverno 1511 (de Zener, come riportavano costernati gli ambasciatori veneziani), convalescente, comandare di persona le truppe papali, ricoprendole talvolta di indicibili improperii, all’assedio della fortezza della Mirandola, vicino Ferrara, e resistere alla neve, al vento gelido, ai proiettili nemici e infine farsi issare, Lui il Papa Re, Lui il Vice-Dio, sulle mura conquistate, grazie ad una scala a pioli.
Accanto al suo letto di morte, il cardinale Sigismondo Gonzaga annotava commosso: “Sua Beatitudine vede, ode, intende, parla, ordina, dispone e provede come se’l fusse nel magiore vigore et sanità di corpo che mai fusse; niente è commosso, quantunque si veda morire”. Senza paura fino alla fine, Giulio II spirò il 21 febbraio 1513.
Il fedele Paride de Grassi, cerimoniere pontificio, riferì che in quarant’anni di servizio della Sede Apostolica, non aveva mai visto un simile “concorso di popolo” intorno al cadavere di un Papa. Vero pontefice romano, vero sovrano di uno stato in una penisola italica libera e divisa: trionfatore da Cesare, trionfatore da Papa.

Piergiorgio Seveso