Marco Bellocchio – regista italiano apprezzatissimo nei circoli radical-chic – ha presentato, al Festival di Venezia, il suo ultimo film – La bella addormentata – che ripropone la vita di Eluana Englaro. Nulla di male se nel film si dicesse che Eluana fu uccisa per creare un precedente che potesse introdurre il suicidio assistito in Italia.
Prima di tutto, due parole su Marco Bellocchio. Regista di regime, si è schierato sempre con i poteri forti del momento: ha cantato la passione rivoluzionaria del ’68, ha firmato l’appello che avrebbe poi causato la morte del commissario Calabresi, e – cosa da non sottovalutare – nel 2006 è stato candidato per la Rosa nel pugno alla Camera dei Deputati. Tutto questo per dire che, sicuramente, il film di Bellocchio non è di certo stato realizzato sine ira et studio.
Non appena iniziarono le riprese, la regione Friuli Venezia Giulia, grazie a un ODG dell’UDC, ha deciso di non finanziare questo manifesto di morte e, apriti cielo, sono piovute critiche a destra e a manca. Riccardo Tozzi, giornalista di Repubblica, ha scritto: «negare il finanziamento al film di Marco Bellocchio La bella addormentata significherebbe andare contro la legge e forse anche contro la costituzione». Il riferimento è, ovviamente, all’art. 21 della Costituzione, il cui incipit recita: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». L’articolo, fino al punto citato, darebbe ragione a Tozzi. Tuttavia, la conclusione del medesimo articolo afferma che «sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». Se il canto della morte rientra nel buon costume, allora si finanzi La bella addormentata. Si deve però avere il coraggio di affermare che l’omicidio – questo è ciò che viene rappresentato in questo film, non la pietà di un padre – è qualcosa di buono, un modello per la società.
Senza dubbio, Bellocchio ha orecchio per le strategie di marketing e il suo titolo è geniale perché racchiude in sé l’oggettiva bontà e dolcezza delle favole. Mi pare, però, che Bellocchio non ricordi il finale di questa fiaba. Ho provato a rileggere La bella addormentata e, nella mia versione, il principe si ostina ancora a baciare la povera fanciulla e non decide di staccarle la spina. Proverò a controllare meglio, ma – nel frattempo – consiglio a Bellocchio di rileggere La bella addormentata.
Testo di anonimo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso
Trovo un po’ illogico il ragionamento di chi ha scritto questo articolo. Un film (che non ho ancora visto e mi chiedo se l’abbia visto chi ha scritto il pezzo qui sopra) non può essere punito (cioè non ricevere finanziamenti) perché prende spunto da una vicenda vera e realmente successa, seppur tragica. Essere contrari al trattamento riservato ad Eluana non equivale ad essere contrari ad un film che tratta dell’argomento. Con la stessa logica, non si dovrebbero finanziare film che rappresentano scene di violenza, eppure mi pare che ciò non succeda.
Sarei favorevole ad un film sulla vita di Eluana. Ma deve essere un film onesto, in cui si mostra chiaramente come la sofferenza e la morte di questa ragazza siano state usate a fini politici.
Non si dovrebbe finanziare tutto ciò che è male e che avvelena le anime.
Questo film, inoltre, altera la realtà perché l’omicidio assistito è presentato come un atto di carità. Lei finanzierebbe una menzogna? Io no.
Mi tolga una curiosità: lei ha visto o no il film? Giuro che non l’ho ancora capito! E poi le chiedo ancora: ma siamo sicuri che la sua sensibilità possa essere parametro per le scelte di un’intera società? Concludo questo intervento dicendo che le polemiche e le critiche sono le migliori pubblicità per un film e che di conseguenza, questo film avrà più successo anche grazie a queste.
Mi sono sforzato di guardare il trailer del film: un minuto e trenta di tempo perso. Un esempio: il trailer si apre con una scena erotica, per poi passare ad una inquadratura di un Crocifisso e per presentare un’immagine stereotipata delle suore, tendenzialmente isteriche). Non mi chieda quindi di vedere il film intero. Abbia pietà di me, per piacere.
Grazie al Cielo, non sono uno che si fa guidare dalla “sensibilità”. Mi sforzo – nonostante io sia un povero peccatore – di guardare le cose con l’occhio della Chiesa. Questo è l’unico modo per essere liberi.
La mia sensibilità – sempre grazie a Dio – non deve essere parametro per la società intera (si creerebbe così una società relativista in cui ognuno si fa guidare dal sentimento). L’unica maestra della società deve essere la Chiesa. Solamente Essa deve essere parametro di giudizio.
Un’interessante recensione al film tratta da http://www.sentieridelcinema.it:
In concorso alla Mostra di Venezia 2012, Bella addormentata rievoca gli ultimi drammatici giorni della vita di Eluana Englaro, antecedenti la morte avvenuta il 9 febbraio 2009. La ragazza, in coma da 17 anni e curata a Lecco dalle suore della Misericordia, fu fatta trasferire dal padre Beppino in un ospedale di Udine che aveva accettato di dare esecuzione a una sentenza di un magistrato favorevole alle istanze di Englaro. Che chiedeva di sospendere alimentazione e idratazione alla figlia, considerata già morta da 17 anni.
Il caso è noto e ha diviso l’Italia e fa ancora discutere. Il regista Marco Bellocchio lo riapre, con il lucido disegno di segnare un punto a favore delle tesi di Beppino Englaro, amico personale di Bellocchio, e di chi sostiene la libera determinazione di fronte al fine vita. Molti commentatori si spingono oltre e parlano di eutanasia, ma è un’ambiguità che il film mette in conto, spargendo cortine fumogene che permettono di confondere il dovere medico di alimentare e idratare un malato (chi è in coma come chi non è autosufficiente), l’accanimento terapeutico (con la pesante strumentalizzazione della frase di Giovanni Paolo II: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”) che viene condannato anche dalla Chiesa e l’eutanasia stessa. Ma Bellocchio sceglie non di raccontare il caso in sé, e le sofferenze della famiglia così dolorosamente colpita dagli eventi, bensì di lasciarlo come “colonna sonora” costante – grazie all’uso di servizi del tg, interventi parlamentari, interviste televisive – di una serie di vicende che avvengono ad alcune persone più o meno legate a quei fatti. In primo luogo il senatore del PDL Uliano Beffardi, che in contrasto con la disciplina di partito vuol votare contro la legge di emergenza che il governo Berlusconi voleva far approvare in Parlamento per rafforzare l’obbligo di alimentazione forzata; poi sua figlia, invece ardentemente “pro life” (da cui un rapporto teso con il padre, che nasconde un segreto relativo alla morte della moglie), che si troverà a innamorarsi di un giovane dello schieramento contrapposto ai cattolici di fronte alla clinica friulana; un’ex attrice di teatro che ha dedicato l’esistenza alla bellissima figlia, anch’essa in coma e tenuta in vita da un respiratore, mentre l’altro figlio vorrebbe che tornasse a recitare; una tossica che vuole suicidarsi e trova in un medico un angelo custode che vuole impedirglielo a ogni costo…
Oltre ai temi del fine vita, si parla di libertà di coscienza, di deriva della politica, di sacrificio per le persone amate in varie sfumature. Si accenna anche alla fede, ma con modi rappresentativi sempre limitati: come sempre nel cinema di Bellocchio, che a un’educazione cattolica ha contrapposto una carriera piena di livore verso quella formazione. Che negli anni si è un po’ stemperato, ma rimane un sarcasmo e una lettura ideologica che gli fa vedere chi ha fede come persona esaltata e poco raziocinante.
Dal punto di vista strettamente cinematografico l’autore confeziona un buon film, meglio di tante sue opere del periodo meno fervido (quello in cui era soggiogato dallo psicanalista Fagioli e in preda ad ermetismo narrativo) ma meno potente e toccante dell’ultimo Vincere. Comunque, ci sono alcune invenzioni notevoli, come la foto di gruppo dei parlamentari PDL (anche qui ovviamente la visione è parziale e “deformata”) e soprattutto la sauna con senatori in tunica che sembrano provenire direttamente dai tempi di Giulio Cesare; qui appare il personaggio di un senatore e psichiatra che descrive peones disperati e in balia della propria frustrazione con un monologo facile ma divertente, grazie anche alla bravura di Roberto Herlitzka. Toni Servillo è il sofferto senatore Beffardi, e a lui è affidato il pensiero di Bellocchio (con il discorso che il politico prepara e che non riuscirà a leggere in Senato). L’episodio di Maya Sansa, che interpreta la tossica Rossa, e del “medico” Piergiorgio Bellocchio (il figlio del regista acquisisce film dopo film una sempre maggior finezza interpretativa) non solo è l’unico squarcio di positività ma è anche ben raccontato; il rapporto tra Servillo e la figlia mostra accenti a tratti sinceri, soprattutto nella sequenza finale alla stazione (in cui lui, peraltro, si svelerà non così “limpido” esponente della verità ad ogni costo). Ma altre cose non funzionano: pochissimo credibile il personaggio di Alba Rohrwacher, una goffa bigotta che finisce velocemente a letto con il primo che passa (o quanto meno che le riserva un’attenzione), giusto con l’accortezza di girare la catenina con il crocefisso dietro la schiena; e poco credibile anche il suo innamorato, Michele Riondino, fin troppo bello, e soprattutto il loro feeling che è rimasto nella sceneggiatura. Isabelle Huppert è brava, ma anche il suo episodio non gira, anche per colpa della legnosità del “figlio” Brenno Placido e del “marito” Gianmarco Tognazzi.
Nel merito il film, al di là di furbe dichiarazioni, è legittimamente fazioso: l’autore ha una sua tesi e la propugna, come è giusto che sia; e usa l’aspetto ideologico con classe, tanto da dissimularlo abbastanza bene ma facendo passare subliminalmente quanto gli sta a cuore. Non è un pamphlet smaccato, insomma. L’astuzia sta soprattutto nell’assegnare le parti (il più onesto di tutti è il politico “di destra”, anche se ex socialista, pro eutanasia; il più violento di quello schieramento è un povero ragazzo a disagio) e nel riequilibrare in parte il cuore del film con alcuni contrappesi, soprattutto con il finale in cui si salva una vita: come a mettere le mani avanti di fronte alle prevedibili accuse “religiose”. Ma anche nell’assegnare la difesa delle regioni cattoliche a politici di sicuro non amati in certi ambienti, soprattutto all’allora presidente del Consiglio Berlusconi, in una facile strizzata d’occhio a chi lo detesta. Si allude al potere del Vaticano, ma non si sente mai la voce della Chiesa (solo qualche parola, tratta da un’intervista, di una delle suore che curò a lungo Eluana). E non si fa nulla per esplicitare quali fossero le ragioni di quella battaglia. Rimane quindi nella mente e negli occhi solo il frastuono, ingenuo, di chi manifestava e diventava parte dello spettacolo triste di quei giorni. Tra malati portati alle manifestazioni davanti alla clinica (e sembra che uno di questi finga di esserlo…) e gente che urla “assassini”. Bellocchio ha insomma mostrato il contorno di quella drammatica vicenda. Un tale dramma meriterebbe invece il tentativo di rappresentarne la complessità. E soprattutto una vera disponibilità a capire le posizioni altrui.
Antonio Autieri