La recente condanna di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, con annesso balletto di dichiarazioni e smentite sul suo presunto ritiro dalla politica, ha riaperto il dibattito sulla figura del magnate milanese, da sempre oggetto di demonizzazioni o esaltazioni acritiche, quasi che non si possa ragionare in termini spassionati sulla sua figura, come su quella di qualsiasi altro personaggio della storia politica italiana. Che l’uscita di scena di Berlusconi sia imminente o no, riteniamo che un ciclo si sia comunque esaurito e occorra ragionare criticamente sulla sua parabola politica, al di là dei luoghi comuni della pubblicistica, favorevole o contraria al Cavaliere, e da un punto di vista che si ostina a considerare “sinistra” qualsiasi forma di liberalismo, anche quando si presenta in doppiopetto e si proclama ferocemente anticomunista.

 Intendiamoci, occorre sfatare il mito del “ventennio berlusconiano”, quasi che dalla discesa in campo del ’94 ad oggi Berlusconi ed il centrodestra abbiano governato ininterrottamente e in maniera dispotica. Numeri alla mano, in questi anni i due schieramenti si sono più o meno equamente spartiti il potere, senza contare che Berlusconi non sarebbe potuto rimanere così a lungo sulla scena senza una concreta “non belligeranza” della sinistra; una sinistra che mai, quando è stata al governo, ha fatto in modo di metterlo seriamente fuori gioco puntando sul suo conflitto d’interesse. La presenza di Berlusconi nell’agone politico, semmai, ha fornito ottimi argomenti di propaganda e di polemica ad un centrosinistra notevolmente eterogeneo ed a corto di idee che fossero un po’ più originali del vago liberal-progressismo tipico delle sinistre occidentali, erede di un Pci invischiato nella lottizzazione partitocratica non meno della Dc ed i suoi alleati, e sponsorizzato da imprenditori liberisti come De Benedetti.

Una volta al potere, il centrosinistra a guida Pds-Ds-Pd, sulle coordinate generali del liberismo e del servilismo atlantico, non ha deviato di molto dalla linea tenuta dal centrodestra, quando addirittura, (vedi leggi sulla flessibilità del lavoro e partecipazione alla guerra in Kosovo) non l’ha superata in acritico appiattimento. Non c’è stata quindi, né ideologicamente né moralmente, una contrapposizione manichea tra una sinistra eticamente e politicamente superiore ed il “Satana”  Berlusconi, che magari qualche ragione per lamentarsi di un certo accanimento giudiziario l’ha anche avuta. Quello che senz’altro va rimproverato al Berlusconi politico, che con la discesa in campo sembrò rompere  le uova nel paniere a chi aveva già pensato di avere in mano le sorti dell’Italia, è di non aver mai realizzato, negli anni al governo, nessuna delle sedicenti riforme sempre annunciate come rivoluzionarie nei confronti del sistema, prima tra tutte proprio quella della giustizia, in direzione di un processo equo e di una reale responsabilità civile dei magistrati, una casta dotata di immunità per gli errori commessi in sede processuale. Nulla di questo è stato fatto, mentre si è sempre trovato il tempo per fare tante leggi e leggine “ad personam” che interessavano unicamente i problemi personali del Cavaliere.

 Se una minima differenza si è potuta riscontrare sui principi “non negoziabili” dell’etica e della famiglia, essa è consistita unicamente nel fatto che il centrodestra non è finora arrivato a proporre pacs, unioni gay o leggi pro eutanasia. Troppo poco, considerato che con i numeri a disposizione, si sarebbe potuto tentare di mettere seriamente in discussione l’infame legge 194 sull’aborto (una mostruosità che il premier, da coerente liberale, ritiene una questione da lasciare alla “libertà di coscienza”). In realtà, se il centrodestra non è arrivato a sostenere posizioni laiciste, come è ormai prassi anche presso parecchie “destre” europee, è solo per un residuo di fedeltà “reazionaria” a determinati valori da parte dell’elettore medio del Pdl. Ove dovesse cambiare l’umore popolare, Berlusconi, da bravo esperto di marketing e insuperabile nel fiutare la direzione del vento, si adeguerebbe, così come oggi si adegua ai canoni dell’arcitaliano. 

L’unico ambito dove, sia pure contraddittoriamente e solo negli ultimi anni, (senza mai peraltro venir meno alla fedeltà atlantica), Berlusconi ha saputo dare il “meno peggio” di sé, è stata l’originale politica estera ed energetica, con gli accordi – stipulati sull’onda di una simpatia personale e certamente invisi all’Occidente liberale – firmati con la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi. Quanto fosse fragile però la coerenza del Cavaliere in tale ambito si è visto con il repentino voltafaccia nei confronti della Libia, abbandonata vigliaccamente al suo destino dopo l’aggressione imperialista di Francia e Gran Bretagna del 2011. L’amicizia con Gheddafi, all’epoca ostentata anche con eccessi “estetici” di dubbio gusto, si è sciolta come neve al sole alle prime minacce provenienti da oltreoceano, con tanto di solerte appoggio logistico italiano ai bombardamenti della Nato. Un bilancio, quello del Berlusconi politico, a conti fatti quindi piuttosto negativo, seppur non diverso da quello realizzato dai suoi avversari.

 

 In realtà, se c’è un Berlusconi che va condannato senza appello, è proprio quello “mediatico”, proprietario di televisioni private – gestite per lo più da personaggi di indubbia impostazione ideologica radicale – che negli ultimi decenni hanno contribuito a diffondere nelle masse italiane il più becero e vacuo materialismo edonista. Ma è un argomento su cui le reprimende della sinistra suonano più false che mai, visto che quel materialismo, figlio legittimo della scristianizzazione laicista, è né più né meno l’ideologia radicale di massa portata avanti dai liberal-progressisti di tutto l’Occidente, sia pure con residui e ipocriti alibi “democratici”, “femministi” o “dirittumanisti”. Tirando le somme, dunque, possiamo dire che Berlusconi non ha rappresentato un’anomalia all’interno di un sistema italiano “sano”, e nemmeno “l’uomo della Provvidenza” esaltato da qualche apologeta poco obbiettivo, ma unicamente l’espressione della via italiana – sia pure populista e poco “british”- a quel liberalismo “conservatore” che caratterizza ormai più o meno tutte le “destre” moderate occidentali. E ci sia consentito dubitare che il centrodestra, senza la sua carismatica ancorché controversa guida, possa uscire dalle secche in cui si trova, soprattutto se non metterà prima in discussione le sue coordinate dottrinali.

Francesco Mastromatteo