Il romanzo “Le lettere di Berlicche”, scritto da C.S. Lewis nel 1942, presenta una corrispondenza immaginaria tra un diavolo di alto grado e il suo giovane nipote, inviato per la prima volta sulla terra come tentatore. L’anziano Berlicche fornisce a Malacoda ogni specie di consigli e astuzie per dannare il suo giovane e anonimo paziente, cercando di strapparlo al Nemico, cioè Dio stesso. Assistiamo dunque ad una storia certo ironica ma, allo stesso tempo, profonda e vera, in cui il lettore è posto innanzi ad una sorta di specchio deformante dove si assiste alla narrazione della realtà dal punto di vista del male, con conseguente ribaltamento dell’etica e della morale. La sfida del giovane uomo tentato è la sfida della libertà a cui tutti sono chiamati, quella facoltà “militante” per cui la nostra vita si sintetizza in una grande scelta di campo – o di stendardi, come direbbe Sant’Ignazio di Loyola – tra il bene e male. La soluzione, come la presenta Lewis in questa lettera – una delle tante del romanzo – è tutta paradossale: solo chi rinuncia a se stesso sarà autenticamente Suo, per sempre. Non si tratta solo di fantasiosi Malacoda o di Berlicche, si tratta davvero, come pochi testi sanno fare, del cuore e del destino di tutti noi.

 

 Lettera XIII

Mio caro Malacoda,

mi pare che ti ci vogliano troppe pagine per narrare una storiella molto semplice. La cui conclusione è che ti sei lasciato sfuggire il tuo giovanotto dalle dita. La situazione è gravissima, e io proprio non vedo ragione alcuna per la quale dovrei proteggerti dalle conseguenze della tua insufficienza. Un pentimento e un rinnovamento di ciò che l’altra parte chiama «grazia», della grandezza che tu descrivi, è una sconfitta di prim’ordine. Equivale a una seconda conversione – e probabilmente a un livello più profondo della prima. Come avresti dovuto sapere, la nube asfissiante che ti ha impedito di attaccare il paziente nella sua passeggiata di ritorno dal vecchio mulino, è un fenomeno ben noto. È l’arma più barbarica del Nemico, e generalmente vien fuori quando Egli è direttamente presente al paziente in certe maniere non ancora perfettamente classificate. Alcuni esseri umani ne sono circondati in permanenza, e rimangono perciò inaccessibili a noi.

Veniamo ora alle tue balordaggini. Secondo la tua stessa confessione, dapprima hai permesso al tuo paziente di leggere un libro che veramente gli piaceva, del quale veramente godeva, e non per poter far poi osservazioni intelligenti con i suoi nuovi amici. In secondo luogo gli hai permesso di fare una passeggiata fino al vecchio mulino e di prendervi il tè – una passeggiata attraverso un paesaggio che veramente gli piaceva, e fatta da solo. In altre parole, gli hai permesso due veri, positivi piaceri. Sei stato così ignorante da non vederne il pericolo? La caratteristica dei Dolori e dei Piaceri è che non si può sbagliare sulla loro realtà e perciò, in quanto esistono, offrono all’uomo che li prova una pietra di paragone della realtà. Così, se ti fossi provato a dannare il tuo giovanotto con il metodo romantico – facendone una specie di Cavaliere Aroldo e di Werther immerso in un sentimento di compassione personale per cordogli immaginari – avresti dovuto far sì che non provasse in nessun modo un dolore vero; perché, naturalmente, cinque minuti di genuino mal di denti rivelerebbero i dolori romantici per quell’assurdo che sono e metterebbero a nudo il tuo stratagemma. Ma ti eri messo a dannare il tuo paziente per mezzo del Mondo, vale a dire col presentare la vanità, il daffare, l’ironia, e il tedio costoso come se fossero piaceri. Come non sei riuscito a capire che un piacere vero era l’ultima cosa che avresti dovuto lasciargli incontrare? Come non hai previsto che avrebbe proprio annientato tutto l’inganno che tanto laboriosamente gli hai insegnato a valutare? E che quel genere di piacere che il libro e la passeggiata gli davano era il più pericoloso di tutti? Che gli avrebbe tolto tutta quella specie di crosta che eri riuscito a formargli sulla sua sensibilità, e fatto sentire che stava tornando a casa, che stava guarendo? Come preliminare allo staccarlo dal Nemico dovevi staccarlo da lui stesso, e avevi già fatto un poco di progresso su questa linea. Ora, tutto è disfatto.

Naturalmente, so benissimo che anche il Nemico vuole distaccare gli uomini da se stessi, ma in modo diverso. Ricorda sempre che a Lui quei piccoli vermi piacciono veramente, e che pone un assurdo valore assoluto sulla distinzione di ciascuno di loro. Quando dice che debbono perdere il loro io, intende solamente dire che debbono abbandonare la volontà propria; una volta fatto ciò, in realtà dà loro indietro tutta la loro personalità, e si vanta (sinceramente, ho paura) che se saranno completamente suoi saranno più che mai se stessi. Quindi, mentre gode nel vederli sacrificare perfino le loro innocenti volontà a Lui, odia di vederli allontanare dalla loro natura per qualsiasi altra ragione. E noi invece dovremmo sempre incoraggiarli a farlo. Le più profonde simpatie e i più profondi impulsi di qualsiasi uomo sono la materia prima, il punto di partenza, del quale il Nemico lo ha fornito. Allontanarlo da essi è sempre un punto guadagnato; perfino in cose indifferenti è sempre desiderabile sostituire le misure del mondo, o della convenzione, o della moda, al posto di ciò che veramente piace o dispiace a un essere umano. Per conto mio andrei molto lontano su questa strada. Mi proporrei come regola di sradicare dal mio paziente qualsiasi forte gusto personale, che non sia un vero peccato, anche nel caso che fosse cosa trivialissima, come il tifo per il gioco del cricket della sua provincia, o per la collezione di francobolli, o per il cacao. Tali cose, te lo concedo, non hanno nulla della virtù; ma c’è in esse ima specie di innocenza e di umiltà e di dimenticanza di sé della quale non mi fido. Colui che gode veramente e disinteressatamente di una qualsiasi cosa nel mondo, per se stessa, e senza che gliene importi un fico di ciò che ne dice la gente, è per ciò stesso armato contro alcuni dei nostri più sottili modi di attaccare. Dovresti sempre preoccuparti di far sì che il tuo paziente abbandoni le persone o il cibo o i libri che veramente gli piacciono in favore delle persone «migliori», del cibo «giusto», dei libri «importanti». Ho conosciuto un essere umano che ha trovato la difesa contro forti tentazioni di ambizione sociale in un gusto ancor più forte per la trippa e le cipolle.

Rimane da considerare il modo di riparare al disastro. La gran cosa è di impedirgli di farne alcunché. Non importa la sua opinione, anche se elevata, intorno al nuovo pentimento, purché non ne faccia un principio d’azione. Fa’ in modo che il piccolo bruto si avvoltoli in esso. Vi scriva su magari un libro, se ne sente una qualche inclinazione; è spesso un modo eccellente di sterilizzare i semi che il Nemico pianta in un’anima umana. Lasciagli fare qualsiasi cosa, purché non venga all’azione. Nessuna quantità di pietà nella sua immaginazione e nei suoi affetti potrà recarci danno, se riusciamo a tenerla lontana dalla sua volontà. Come ha detto uno degli esseri umani, le abitudini attive sono rafforzate per mezzo della ripetizione, ma le passive vengono indebolite. Più spesso egli sentirà senza agire e meno sarà capace di passare all’azione, e, coll’andar del tempo, sarà meno capace di sentire.

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche

Testo raccolto a cura di Luca Fumagalli