giovanni

«Se una donna ti ama, tu parli e invece canti.

Le parole sono la musica del cuore»

(Osservazioni di uo qualunque, “La bohème)

Tempi brutti per l’amore, troppo spesso ridotto a farfalle che svolazzano nello stomaco (la psicologia moderna suggerisce che esistano colonie di bruchi pronti a sbocciare nel nostro stomaco non  appena ci si innamora) o a brutale possesso dell’altro. Se si vuole comprendere cosa sia realmente l’amore è bene prendere in mano uno dei tanti «racconti di vita familiare» di Giovannino Guareschi.

L’elemento fondamentale nell’innamoramento è – come scrive Guareschi – il destino: «chi ha la parte più importante è il destino: Dio li fa e poi li accompagna. Un uomo X è nato per sposare una donna Y. E viceversa. Quando l’uomo X incontra la donna Y ecco che si sposano», ovvero: «ogni donna sposa suo marito e ogni uomo sposa sua moglie». Spiegato così, l’innamoramento parrebbe una sorta di equazione e, in parte, lo è. Un uomo è creato per innamorarsi di una sola donna, che dovrà amare con tutte le sue forze ogni giorno della sua vita e per la quale dovrà essere disposto a sacrificare anche la propria vita. L’amore di due innamorati è scolpito nell’eternità del  cielo, come scrive – con maggior delicatezza – T.S. Eliot: «ti ho amato dall’inizio del mondo, perché prima che io e te nascessimo, l’amore che ci ha uniti esisteva già».

Nei racconti di Guareschi, l’innamoramento è legato a doppio filo con la fedeltà e con il pudore. Nella terza ed ultima storia che introduce «il mondo di “Mondo piccolo”», si racconta la vicenda di un giovane ragazzo che – dopo esser tornato dal servizio militare – scopre che la ragazza di cui si era innamorato è morta, bruciata in un incendio. Nonostante il ragazzo sia un fior fior di marcantonio e venga spesso invitato a far bisboccia con gli amici, egli afferma: «Ragazze? No, niente ragazze. Se si tratta di fare un po’ di baracca all’osteria, una cantata, sempre pronto. Niente altro però: io ho già la mia ragazza che mi aspetta tutte le sere vicino al terzo palo del telegrafo lungo la strada del fabbricone». Il fantasma della ragazza, dopo il rogo che ha bruciato la casa e il pruno che li aveva fatti innamorare, continua ad aspettare il suo innamorato lì, sotto il palo del telegrafo. Ecco come, in tre righe, Guareschi affresca l’immagine dell’amore fedele, ovvero di quell’amore che vince ogni cosa e che «va oltre i confini della Morte, della Sintassi, della Grammatica e dell’Ortografia».

Il pudore è la seconda caratteristica dell’amore guareschiano. Poichè non sapremmo dirlo meglio, lasciamo la parola ad un grande amico di Guareschi, Giovanni Mosca: «se parla di sua moglie, si vergogna di dire o di scrivere questa affettuosa parola. Ricorre a frasi, a lunghi ironici giri: “la dolce signora che mi rese padre”, “la dolce signora che, una volta, con la scusa di farmi ammirare certi pregevoli affreschi del ‘500, mi indusse a entrare, celibe, in una chiesa per uscirne di lì a poco coniugato a vita”, “la gentile socia della mia malinconica azienda”, “la gentile creatura che non mi volle più signorino”. E il figlio non è chiamato mai per nome. Si parla di lui sempre come del “piccolo mascalzoncello”. Pochi hanno come Guareschi il pudore dei propri sentimenti. I quali sentimenti, però, puoi nasconderli quanto vuoi, anche cento braccia sottoterra, ma vengono sempre a galla. E l’ironia di Guareschi è affetto, e la rusticità è freno all’affetto, che altrimenti traboccherebbe con grande vergogna di Guareschi».

Il fidanzamento, per Guareschi, porta immancabilmente al matrimonio che, al contrario di ciò che si blatera al giorno d’oggi, «non è una burletta. È una cosa che si fa in dieci minuti, ma dura tutta la vita. È un atto grave, solenne, anche se viene celebrato nel modo pià modesto e semplice. Ci sono dei regolamenti: abbiate pazienza. Il matrimonio non è uno zabaione nel quale si prendono le uova, si sbattono assieme e in dieci minuti tutto è fatto».

È nel matrimonio che si realizza l’amore: «ecco: due creature del buon Dio, un giovane uomo e una giovane donna, un bel giorno si prendono a braccetto: “Camminiamo insieme”, decidono. Cominciano a camminare in fretta, in gran fretta: la strada da percorrere è lunga, difficile e piena di promesse. Bisogna fare alla scelta, non c’è tempo da perdere se si vuol arrivare ai monti sconosciuti che si intravedono, laggiù, sulla linea d’orizzonte. A un bel momento, le due creature del buon Dio si fermano di scatto: chi chiama, nascosto dietro il cespuglio che sorge in mezzo a quel prato verde, pieno di fiori gialli e blu? Si abbandona la strada maestra, si corre in mezzo all’erba: dietro al cespuglio c’è un affarino, piccolo piccolo, con due gambette corte corte. Una rosea gabbietta di strilli. Le due creature del buon Dio si fermano. Lo si riprenderà dopo, il viaggio sulla strada maestra, verso le montagne dell’orizzonte! Quando anche quel minuscolo uomo potrà camminare. Si farà la strada insieme, allora. Così, si sosta nel prato verde a fianco della strada maestra e, a poco a poco.si dimentica che esiste una strada che conduce a sconosciuti colli e il prato, coi suoi fiori gialli e blu, diventa il punto d’arrivo. Quando il piccolo arnese urlante sarà diventato un grosso giovinetto, ci si ricorderà diella strada lasciata a metà e dei monti lontani: ma ormai sarò troppo tardi per rimettersi a camminare. Le gambe non reggerebbero più. Camminerà lui, per la strada, e arriverà lui ai colli lontani. Invece anche lui si fermerà e troverà un piccolo arnese che lo chiamerà, celato dietro un cespuglio. Questa è la vita degli uomini qualunque: a un bel momento, l’uomo qualunque si trova seduto a fianco della compagna di cammino, in un prato verde, a guardare un piccolo mascalzoncello che dorme con un piedino in bocca».

Il che, come direbbe Guareschi, è bello ed istruttivo.

Testo di anonimo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso