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E anche per quest’anno il Festival è finito: Radio Spada l’ha seguito con un po’ di ironia ma anche con una buona dose di sopportazione. In un mondo marcio e fradicio di massonismo, anche il Festival di Sanremo è marcio.  In un sistema dominato dai “padroni del mondo” anche il Festival di Sanremo risponde alle medesime leggi e si fa cartina di tornasole dei medesimi trend culturali e politici. Nihil sub sole novi. Ora ecco le pagelle di Radio Spada. Buona lettura e alla prossima! (Piergiorgio Seveso)

 

Simone Cristicchi: apparso sfasato, scordato, stonato durante tutta la kermesse festivaliera. L’”omaggio” a “Canzone per te” di Sergio Endrigo (Sanremo 1968) si è rivelato tortuoso e a tratti torturante, l’intera partecipazione si è rivelata incolore e poco incisiva. Del testo pessimo e anticattolico di “La prima volta che sono morto” si è già detto. Voto: 2

 

Simona Molinari (con Peter Cincotti): la coppia (più o meno) funziona, buono swing, atmosfere retrò, la riproposizione di “Tua” di Jula de Palma (Sanremo 1959) è stata nobilitata dalla presenza di Franco Cerri e non molto di più. Si sarebbero auspicati abiti più castigati per lei. Voto: 6

 

Raphael Gualazzi: “Sai (ci basta un sogno)” ha preso quota pian piano ma è rimasta nell’oscuro sottobosco jazz, poco adatto alla sensibilità sanremesi. La versione di “Luce” della fu Elisa (Sanremo 2001) è stata a dir poco sconcertante, in senso negativo. Voto: 4/5

 

Max Gazzè: indubbiamente un affermato musicista che ha stupito con effetti speciali, anche se venerdì la versione di “Ma che freddo fa” di Nada ha rasentato lo scolastico. A questo si aggiunga che il testo di “Sotto casa”, per chi è riuscito a decrittarlo, ha lasciato l’amaro in bocca per una sottile satira anticattolica e antireligiosa che lo pervadeva da cima a fondo. Voto:5

 

Marta sui Tubi: appena ammansiti da Antonella Ruggiero nella versione di “Nessuno” di venerdì, sono tornati urlanti e indisponenti nella giornata di sabato (anche se il solista ha fatto più attenzione all’intonazione). Il verso della loro canzone “Vorrei” ovvero “chiedo scusa alla pastorizia” entra negli annali della storia del Festival. E come per i BluVertigo, per i Quintorigo, i Negrita e gli Afterhours, grazie e a mai più rivederci. Voto 2

 

Maria Nazionale: sicuro mestiere, bel canto napoletano (ma ci domandiamo se una canzone cantata esclusivamente in veneto o in molisano sarebbe stata ammessa al Festival), una versione di “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri (Sanremo 1988), degna del miglior festival di Napoli. Anche qui sarebbero stati ben accetti abiti più modesti: voto 6 e mezzo

 

Malika Ayane (la “e” non si pronuncia): la sua canzone “E se poi” si è rivelata tra le migliori per arrangiamento, orchestrazione e partitura, la esegue con le consuete smorfie e mossettine sostanzialmente superflue ma con una voce bella e singolare. Anche “Ma cosa hai messo nel caffè” di Riccardo del Turco (Sanremo 1969) si rivela un garbatissimo omaggio. Voto 7 (ma poteva essere di più)

 

Daniele Silvestri: la sua “A bocca chiusa” era essenzialmente una ballata radical chic, cantata con la consueta voce disarmonica e affaticata. Meglio i motivetti allegri: i margini di manovra sono almeno maggiori. La sua versione di “Piazza Grande” di Lucio Dalla (Sanremo 1972) si è avvicinata al vilipendio musicale di cadavere. Voto: ¾

 

Chiara: per non essere tacciato di campanilismo accademico, dico che la prima canzone (quella eliminata) era certamente migliore (per testo e musicalità) e che la sua voce e la sua presenza sono stati notevoli, anche se forse presentare al primo Sanremo “Almeno tu nell’universo” è stata una scommessa troppo impegnativa. Mille auguri per un futuro sicuramente roseo. Voto: 7

 

Annalisa: la sua “Scintille” è stata, a mio modestissimo avviso, la migliore canzone di quest’anno. Musicalità radiosa, ben cantata, con misura e sicurezza. La versione di “Per Elisa” (Sanremo 1981) eseguita con Emma (Marrone) è stata molto caratterizzata da quest’ultima e dai suoi tonitruanti vocalizzi. Voto: 8 (ma poteva essere di più)


Almamegretta (rectius “Alma negletta”): “Mamma non lo sa” si è rivelata per quello che era: un tedioso e fumante polpettone politico-ideologico, reso ancora più indigesto dalla voce di Gennaro della Volpe, solista del gruppo. Dobbiamo alla sua conversione all’ebraismo talmudico l’assenza nella serata del venerdì. Gli strampalati sostituti che hanno eseguito “Il ragazzo della via Gluck”, inneggiando ad un’ “erba” che probabilmente non era nelle corde di Celentano quando aveva eseguito la canzone a Sanremo 1966, l’hanno egregiamente sostituito (il che è tutto dire). Voto: 1

 

Modà: arrivati terzi, alla fine rappresentavano il minore dei mali nel terzetto finale. L’estetica musicale dei Modà è un pop semplice, un po’ gridato, vagamente moraleggiante e sentimentale. La versione di “Io che non vivo” di Pino Donaggio (sanremo 1965) è stata appassionata e sicura, pur nella sua semplicità. Come però cantavano Morandi, Tozzi e Ruggeri a Sanremo 1987: si può dare di più. Voto: 7

 

Elio e le storie tese: anche prescindendo per un istante dall’orrenda “Dannati for ever”, gli “Elio e le storie tese” rappresentano perfettamente ciò che il mondialismo chiede oggi alla musica: non sense post-razionale, confusione di generi, disimpegno assoluto, pasticcio postmoderno, una concezione meramente estetica e ludica della vita, unita ad un’indubbia maestria musicale. Ovviamente iperpremiati a Sanremo, secondi classificati. Voto: 5 (0 per “Dannati forever”)

 

Marco Mengoni: il vincitore annunciato. Da bravi radiospadisti avevamo pensato e sperato avrebbe perso. Non ci piace il suo stile, la sua posa, il suo perfettismo lezioso e funesto: rappresenta il tipico cantante utile a questi tempi infami. L’omaggio a Tenco con “Ciao amore ciao” (Sanremo 1967) era stilisticamente perfetto ma tale da sembrare costruito, come l’emozione e tutto il resto. Ed andrà pure all’Eurofestival 2013 che si terrà in Norvegia a Maggio. L’Essenziale? Guardarsi alle spalle… Voto: 5/6