SANREMO ITALIAN SONG FESTIVAL

Modà: un paio di canzoni  cantate con passione (forse migliore la prima) ma molto nello stile del gruppo. Sembra a volte di riascoltare sempre “Arriverà”. In generale si tratta di una sorta di moraleggiante manuale per “vivere bene”, ovviamente senza riferimenti (nemmeno indiretti) alla trascendenza.

Simone Cristicchi: poco più che una penosa e stonata filastrocca la prima canzone (“Mi manchi”), una devastante anticatechesi sui Novissimi la seconda (“La prima volta che sono morto”) .  Cristicchi si rivela sempre fedele alla sua linea ideologica: anticristianesimo, naturalismo spinto, riduzione della realtà a mera esistenza intramondana.

Malika Ayane: consueti birignao, pose da diva della canzone, tatuaggi degni di un bagno penale alla Cayenna. La prima canzone ricca di assonanze moleste, la seconda più melodica e forse musicalmente più indovinata.

Almanegretta:  canzoni (?!) dalle atmosfere mediterranee o forse meglio dire mediorientali (date le origini di Gennaro della Volpe, “voce” e leader del gruppo). La voce praticamente incomprensibile rendeva i testi di questa specie di Afterhours  del Sud pochi intellegibili: la prima iperpolitica, la seconda, vicina alle sonorità dei Tiromancino, risultava (lievemente) meno sgradevole.

Max Gazzè: dai tempi di “Una musica può fare” ne è passata di acqua sotto i ponti e specialmente nel primo motivo gli anni si sentono tutti. Più brillante la seconda melodia, anche se forse parzialmente incomprensibile per l’eccessiva rapidità del tempo.

Annalisa: gradevole e piacevolmente melodica la prima canzone (“Scintille”) che segnalo alla vostra attenzione, la seconda simile a mille altre. Presenza scenica garbata e non eccessiva.

Elio e le storie tese: pessima e miserevole satira anticristiana la prima canzone (“Dannati forever”), invito ad analizzare bene il testo violentemente derisorio nei confronti della morale e della vita cristiana, i cantanti vestiti da chierichetti aumentavano lo strazio dell’ignobile farsa. Pubblico in sala plaudente al ben tristo spettacolo. Peccato perché invece la seconda canzone (“La canzone mononota”) è stata un divertente e ben congegnato divertissment musicale: impossibile però dimenticare la prima canzone. Scherza coi fanti ma lascia stare i santi.

Sezione giovani

Renzo Rubino: nella storia ci sono state canzoni dal tema orrendo ma musicalmente gradevoli e accattivanti. Questa canzone (“Il Postino”)che è apologia pura dell’omosessualismo, risulta orrenda sia tematicamente, sia musicalmente: volgarissima sia nella scelta dell’immagini, veementemente antitradizionale, grottesca per la presenza di un tenore. Sanremo ha toccato un (nuovo) fondo. Canzone (non è nemmeno il caso di dirlo) promossa alla fase finale.

Il Cile: confusa “ballata” con testi politico-sociali (tra Liceo e Università), un po’ Rino Gaetano dei poveri, un po’ cantore di tardi amori metropolitani. In un Sanremo “normale” non avrebbe probabilmente cantato.

Irene Ghiotti: sospirosa, svampita, lievemente sgraziata, il tutto in una sorta di deliquio postmoderno.  Segnalo il verso “Baciami nelle pozzaghere di acqua gelida”.

Blastema: i più “convincenti” tra i giovani, il che è tutto dire. Gruppo “giovane” indie-rock: mettere un po’ di Radio-Head, un po’ di Vibrazioni, look “metro sexual”, atmosfere vagamente decadenti, agitare bene e poi servire in tavola. Povera patria.

Note a cura di Piergiorgio Seveso