
Ebbi la fortuna di visitare nel 2004 la Tanzania e di partecipare ad un safari. Fu un’esperienza straordinaria e suggestiva perchè mi accorsi che l’elemento naturalistico e gli animali, erano qualcosa di assolutamente dominante. Mi sentivo come si sentirebbe un elefante fermo al semaforo a New York….fuori luogo. Un turista qualunque io, stordito dalle meraviglie di questo mondo tra cui quella della fierezza dei masai. I fieri guerrieri della savana premono sul governo della Tanzania per ottenere un’autostrada di 400 chilometri che dovrebbe tagliare in due l’immenso parco del Serengeti. L’ecosistema sarebbe minacciato, unitamente al businnes dei safari, ma agli ecologisti ribattono: “non siamo turisti, anche noi abbiamo diritto allo sviluppo”. Biologi, rangers e attivisti lanciano appelli per fermare il cantiere, ma il capo tribù (già parlamentare della Tanzania) Moringe ole Parkipuni ribatte: “Non aspettiamo altro, ora ci vogliono due ore per l’ospedale più vicino…ma gli animali sono più importanti degli esseri umani?”. Sapremmo noi, riscaldarci ancora con i falò, fare decine di chilometri a piedi in mezzo alle paludi, mangiare una volta al giorno, bere acqua non potabile, andare a caccia e curarci solo con le erbe? I masai hanno già perso molti villaggi per far posto alle riserve di caccia per gli sceicchi del Golfo ma oggi hanno contro i professori di Princeton, gruppi su facebook, Unesco e la Società zoologica di Francoforte. L’autostrada che collegherebbe la città di Arusha con le rive del Lago Vittoria, taglierebbe in due il parco. Due volte l’anno milioni tra gnu e zebre attraversano la zona per giungere in Kenia…questo autentico spettacolo della natura con la presenza di predatori come iene, leoni e leopardi (e fiumi pieni di alligatori) che cercano lauti pasti, attira duecentomila turisti ogni anno. A Ovest ci sono un milione e mezzo di abitanti in un’area sottosviluppata anche per gli standards della Tanzania, che vogliono collegarsi al centro del Paese, ma se le mandrie non dovessero più guadare il fiume Mara soccombendo di fame e di sete, si ridurrebbero da un milione a trecentomila esemplari. Forse la soluzione è quella indicata da Nature: evitare di asfaltare solo il tratto di strada (una cinquantina di chilometri) che attraverserà il parco. In effetti il turismo dà lavoro a centinaia di migliaia di persone in Tanzania e la meraviglia del Serengeti è un patrimonio assoluto della Terra. I diseredati dell’Ovest e i guerrieri che sfidano i leoni con le loro danze ipnotiche e i loro bastoni di austeri pastori della savana, avrebbero almeno la possibilità di uno sviluppo economico. Questa vicenda dovrebbe insegnare molto a noi occidentali, ricchi, con mille comodità e in perenne ansia con la sindrome NIMBY, tentati dalle teorie sulla cosiddetta ‘decrescita felice’.Tali teorie si basano sulla contraffazione dei dati e sulla demonizzazione delle posizioni contrarie e ciò è stato dimostrato, anche involontariamente, nello scandalo che ha visto partecipe Phil Jones sulla questione del global warming.
La speculazione finanziaria ha già ipotecato il mercato dei ‘diritti ad inquinare’ che rappresenteranno l’ennesimo affare dopo l’esplosione delle bolle immobiliari. Il Club di Roma che già da anni prepara un clima favorevole ad un cambiamento di mentalità in Occidente, non è solo. Paul Joseph Watson (Fonte: Infowars.com) ci svela lo scambio di informazioni tra gli organizzatori della conferenza Bilderberg 2010: questi ‘elitisti’ considerano le persone con reddito medio ‘una minaccia’ ai loro ordini del giorno e sono intenti ad abbassare il tenore di vita mediante un aumento della povertà con sistemi per indebolire le popolazioni introducendo tasse più elevate, misure di austerità, prelievi fiscali sul CO2 ed altri loschi progetti. I dettagli della conversazione sono stati rivelati da Charlie Skelton negli ultimi blog Bilderberg per il sito web «Guardian». Il neo-malthusianesimo (che è una raffinatissima forma di razzismo eugenetico) si è fuso con l’ecologismo e trova nell’ONU le sue massime espressioni di dominio culturale, presupposti del Pensiero Unico, base di un Governo Mondiale. Da tutto ciò non è alieno il tecnoguru Casaleggio che profetizza un neoprometeismo del quale il comico Beppe Grillo sarebbe il Profeta: democrazia universale in cui la rete digitale dal basso contratta con un Mega Potere accentrato i destini del mondo. Ma più le decisioni strategiche saranno concentrate in organismi internazionali ineleggibili, in autocrazie apolidi e minore sarà il peso specifico di quella spinta dal basso delle comunità localiL’élite insomma, vede un ceto medio prosperoso, o persino coloro che stanno beneficiando di un reddito più modesto, come ‘minaccia’ contro il loro monopolio di potere. Effettuando la loro promessa ‘di una rivoluzione postindustriale’, alleata con ‘un’economia verde’ che in realtà paralizzerà le economie una volta prospere, gli ‘elitisti’ sperano di rendere tutta la popolazione povera al punto che la loro principale preoccupazione non sarà più quella di protestare contro la riunione di 200 elitari presso una località di villeggiatura di lusso ma quella di come arrivare alla fine del mese. L’avanzare di nuove potenze (non solo di quelle del B.R.I.C.S.) sconvolgerà il quadro delle gerarchìe politiche ed economiche (dollaro e USA tremano, l’Europa è uno addirittura uno zombie), da qui la necessità di frenarne l’ascesa. Non a caso già dagli anni ’70 negli ambienti di potere anglosassoni viene propagato il mito della ‘decrescita felice’.
L’auspicata desertificazione industriale in Italia, trova gli “ambientalqualunquisti” (parafrasando Angelo Mellone che denuncia col suo poema teatrale “Acciaiomare” sull’ILVA, l’orgoglio della civiltà industriale), pieni di “grilli” per la testa, pienamente in sintonìa con i progetti ormai noti dei vari Bilderberg. I poveri della Terra intanto insorgono per avere una minima parte del nostro benessere. Cruciale sarà allora la politica di potenza dei blocchi geopolitici, specie in chiave energetica, infrastrutturale e di accaparramento delle risorse e della loro gestione. Basti pensare che solo la Cina tra 40 anni consumerà tutto il petrolio che oggi viene consumato in tutto il mondo. Due miliardi tra cinesi e indiani vogliono i nostri elettrodomestici e i nostri standards sociali, centinaia di milioni tra latinoamericani e africani si oppongono alle politiche sui biocarburanti che sottraggono terre all’agricoltura e ai progetti che pretendono di lasciare quelle terre meravigliose solo come ‘paradisi per turisti’. Questa vicenda della Tanzania dovrebbe insegnarci una volta per tutte che di insostenibile, c’è soprattutto il sottosviluppo. Se è vero che la paura è spesso uno strumento di potere, questo vale anche per quei poteri che holliwudianamente minacciano catastrofismi ed apocalissi. Rimpiango, davanti a questi sciacalli senza volto, i vecchi colonialismi paternalistici che almeno costruivano scuole, strade, ponti..
Pietro Ferrari