Listener

“La vita è la più straordinaria delle avventure

ma solo l’avventuriero lo scopre”

(G. K. CHESTERTON)

 

Davvero pochi scrittori come Chesterton hanno la capacità di emozionare. Ogni libro infatti è una sorta di dolce sogno, culla e coccola il lettore, per poi farlo svegliare improvvisamente. Non sii intende naturalmente il mero sentimentalismo, ma quella capacità straordinaria, così tipica dello scrittore inglese, di muovere ogni più piccola fibra dell’anima in direzione della Verità, di quel Cristo morto per redimere la malvagità dell’uomo, quel Dio incarnato a cui lo stesso Chesterton si arrese durante la sua vita.

Ecco allora che ogni pagina riverbera di quella certezza che la Chiesa cattolica tramanda di generazione in generazione. Ogni parola è una festa della semplicità e della commozione, di tutto quello che rende l’uomo degno, di quell’impasto di senso che viene molto prima dei diritti umani, perché essenza dei diritti del Creatore. Disarmato, il lettore si trova innanzi ad una prosa provocatoria e “surrealista” che smonta ogni certezza ma che restituisce quella gioia di vivere  sotto lo stendardo di Cristo, all’insegna della devozione e della santità.

La recente ripubblicazione dell’opera chestertoniana a cura della “Morganti edizioni” ha permesso finalmente anche al pubblico italiano di attingere non solo ai grandi classici dello scrittore, ma anche e soprattutto ai libri cosiddetti “minori”, di fatto tradotti e pubblicati in Italia per la prima volta (corredato anche da un ottimo apparato di note esplicative). Definire “minori” questi romanzi è evidentemente solo un’etichetta di comodo per distinguerli dai progetti letterari più celebri come i racconti di Padre Brown, L’osteria volante, L’uomo che fu giovedì o Il Napoleone di Nottingh Hill e non un giudizio qualitativo. Infatti un filo rosso collega tutto il lavoro di Chesterton che, stagliandosi in un orizzonte integralmente cristiano, non può quindi che essere tutto interessante ed avvincente, perché solo Gesù, con la sua presenza storica, è in grado di soddisfare integralmente i bisogni dell’uomo.

Il ritorno di Don Chisciotte fa parte di questo nutrito gruppo. Pubblicato per la prima volta a puntate su un periodico, il libro è rimasto incompiuto e completato solamente postumo per motivi editoriali da mano ancora ignota. Tutto questo non ha però minimamente rovinato lo stile originale del testo che conserva i tipici paradossi e i funambolismi dello scrittore britannico; l’unico limite rimane forse la conclusione narrata nell’ultimo capitolo che risulta troppo affrettata e repentina rispetto all’andamento generale della vicenda.

La storia, in sintesi, racconta la divertente ed incredibile vicenda del giovane Michael Herne, bibliotecario di Seawood Abbey. Quando Olive Ashley decide di mettere in scena la commedia Blondel il Trovatore, il timido bibliotecario è coinvolto nella piece teatrale per impersonare un trovatore. Poco dopo, però, gli si chiede di interpretare un ruolo diverso, per cui, sopra la calzamaglia verde da trovatore, indosserà le vesti ben più impegnative del protagonista: Riccardo Cuor di Leone. Inizialmente l’insicuro bibliotecario si dimostra refrattario al gioco delle parti, ma rimane poi vittima delle suggestioni della commedia. Capisce quindi d’aver trovato nel ruolo recitato il suo vero Io e il senso della vita. Rifiuta così di togliere il costume di scena, muovendosi e pensando come un uomo medioevale.

Il grande scrittore inglese trasforma il bibliotecario nella riedizione del don Chisciotte di cervantesiana memoria, regalando a questo nuovo paladino dell’idealismo una simpatia che il personaggio di Cervantes non ebbe. Lo seguirà nel suo peregrinare la personificazione dell’uomo altruista, Douglas Murrel, novello Sancho Panza e straordinario personaggio letterario.

Un’epica del quotidiano sincera e appassionata che fa da sfondo non solo alla ricerca del senso della vita da parte di un uomo che riscopre nel medioevo cristiano il culmine della civiltà umana, ma anche un’occasione per discutere diffusamente del programma distributivista, quella formula economica basata sulla riscoperta del corporativismo medievale elaborata in collaborazione con Hilaire Belloc e Padre McNabb su ispirazione di Leone XIII. E il paradosso che sorregge l’intera vicenda è proprio la messa in discussione radicale del sedicente progresso del mondo moderno e laico, giocato anche in un atto d’accusa nei confronti sia del capitalismo selvaggio che del socialismo massificante. E’, in sintesi, un appassionato processo all’homo economicus, all’homo modernus che, credendo di aver ottenuto tanto, ha in realtà rinunciato alla sua umanità, l’unica cosa che realmente conta.

Lancia in resta, la più straordinaria avventura vi attende…

 

Luca Fumagalli