Billot Louis(cardinal de 1911 a 1926)

Iniziamo su Radio Spada la pubblicazione  a puntate (indicativamente 15) dell’opera di S.E.R. Cardinale Louis Billot (1846-1931), Principe della Chiesa dal 1911 al 1926, gesuita, su “L’immutabilità della tradizione, contro la moderna eresia dell’evoluzionismo [dogmatico]”, scritto quanto mai attuale OGGI, ancora più importante perchè proviene dalla penna di figlio degno e fedele della Compagnia di Gesù.  La offriamo ai nostri lettori come pungolo alla riflessione, nella traduzione di Francesco Pentagrammuli.  Buona lettura!


Proemio


Il Concilio Vaticano [I], alla Costituzione Dei Filius, cap.4, aveva detto: “La dottrina della Fede, rivelata da Dio, non è posta agli umani ingegni quale un ritrovato della filosofia, da perfezionarsi, ma è consegnata alla sposa di Cristo quale divino deposito, perché sia fedelmente custodita, ed infallibilmente dichiarata.

Per questo, è da mantenersi in perpetuo tale senso dei sacri dogmi, che fu un tempo dichiarato dalla santa madre Chiesa, e mai si deve da tal senso, di superiore intelligenza per nome e per bellezza,
allontanarsi”.


Quindi, al canone 3° circa la fede e la ragione: “Se qualcuno avrà detto che sia possibile, in qualche momento, secondo il progresso della scienza, attribuire ai dogmi posti dalla Chiesa un senso diverso da quello che intellesse ed intellegge la Chiesa, sia anatema”.


Ciò non ostante, in opposizione a questo insorge oggi una nuova scuola, che percorre la via iniziata nel secolo scorso da Anton Guenther, che attribuisce alla nostra religione una evoluzione kantiana e chiaramente razionalistica; che pone una mutazione del dogma da
una forma all’altra, da un senso all’altro, secondo le varie condizioni degli interpreti, e i successivi stati della cultura dell’intelletto; che proclama essere l’intero complesso della dottrina cristiana in un mutamento continuo ed indefinito, come un feto ed una certa
elaborazione dell’umana ragione sotto la pressione del cuore e del sentimento religioso;
che infine, pervenendo alla sua cruda e piena espressione in due famosi libelli di recente pubblicazione, sfidò quasi a duello i Padri, i Dottori, i Pontefici, e tutta la Chiesa di ogni epoca con insolente e superba provocazione, dicendo:
“La fede non ha sulla terra una stabile dimora, ma sempre indigente vaga fra accampamenti di passaggio. Invano cercarono di mantenerla in forme già antiquate, accomodate ad un’altra mentalità, nulla più possono essere se non venerabili monumenti di un tempo passato. Ora infatti, nelle presenti condizione della cultura intellettuale, non è più possibile all’uomo che giudichi secondo i criterii anche del solo senso comune, conciliare ciò che vede e legge nella Scrittura, con ciò che i nostri teologi sembrano affermare circa la verità assoluta e universale
della Scrittura stessa. Non è più possibile conciliare la storia della dottrina cristiana con ciò che i nostri teologi sembrano asserire circa la sua perpetua e sempre perseverante identità [non variabilità ndt].


Non è più possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici, anche e soprattutto di quelli autentici, con ciò che i nostri teologi insegnano, o sembrano insegnare, circa la coscienza e scienza di Gesù Cristo. Non è più possibile mantenere, come adeguata alla economia della salvezza, la teoria concepita nell’ignoranza della storia dell’uomo sulla terra, e della storia della religione nell’umanità stessa, etc. Perciò, finalmente, è tempo di porre al sicuro la fede, ovunque vacillante, circa l’autorità delle Scrittura, mostrando chiaramente cosa realmente siano i Sacri Libri, e quale genere di verità occorra attribuir loro.

E’ tempo di porre al sicuro la fede vacillante circa la redenzione e la salvezza, cercando sotto le formule o le idee ore defunte un principio immutabile di verità che si nasconde in fondo ad esse, e una nozione di nuovo intelligibile di quelle parti che Cristo ha nella rigenerazione morale dell’umanità.
E’ tempo di porre al sicuro la fede vacillante circa la resurrezione del Salvatore e la sua presenza eucaristica, con il maggior penetrare il mistero della immortalità di Cristo, perennemente vivente in Dio e nella sua opera, etc. E’ tempo infine che la Chiesa cattolica ripensi seriamente che già da lungo tempo non ha sufficiente timore di scandalizzare i dotti; e che lo stesso cattolicesimo è destinato ad una
fatale rovina, fintantoché la sua predicazione sembrerà imporre alle menti una concezione del mondo e della storia discorde da quella che le fatiche dei secoli scorsi hanno restituita; ma soprattutto, finché i fedeli saranno mantenuti nella paura di offendere Dio con il pensare e l’ammettere, nell’ordine filosofico, scientifico, storico, conclusioni ed ipotesi che i teologi del medioevo non avevano previste”


[Autour d’un petit livre, Ma non senza motivo, forse, ti parrà che verrà un tempo,in cui tali super-uomini si ritrarranno da tanta arroganza e superbia nda].


In realtà, non si potrebbe concepire una negazione più radicale di tutti i principii e leregole della fede cristiana cattolica. Si perviene infatti, non solo per deduzione logica ed ineluttabile conseguenza, ma anche per la formale ed eloquente ammissione degli autori, fino alla categorica negazione di ogni rivelazione, cioè della autentica e propriamente detta parola di Dio. Ma questa eresia, se tale può esser definita, non rivestì subito la forma completa sotto la quale ora si presenta.
Ebbe le sue radici in un falso concetto della tradizione cattolica, come se questa tradizione fosse senza dubbio riposta nel puro e semplice fatto umano storico, i cui testimoni possano e debbano venir trattati secondo quei medesimi criterii e quelle medesime regole, né più né meno che qualsiasi altro monumento della antichità. Di qua
venne il cosiddetto “metodo storico” negli studi di teologia positiva; e, a tale metodo informati, alcuni eruditi sembrarono invenire una manifesta opposizione fra il senso del dogma presso i più antichi dei Padri, specialmente i pre-niceni, e il senso che i Concilii e i
Dottori di un’epoca successiva adottarono.

Quindi, conseguentemente reintrodotto in materia dogmatica quel progresso guentheriano già condannato dal Concilio Vaticano [I], aggiunta soltanto una certa apparenza di novità ricavata dalla teoria dell’evoluzione, che ottenne dietro Darwin tanto favore in ogni ambiente, esso diede anche origine alla nozione, come essi dicono, di fede vivente, cioè di fede che prima era contenuta in germe, e poi, come uscendo di un uovo, e passando di specie in specie, al modo dell’animale darwiniano, per via della selezione e dell’influsso dell’ambiente, si trasforma sempre verso il meglio.

E perché nessuno avesse, per caso, ad occuparsi di come conciliare tale teoria coi principii circa l’infallibilità della tradizione, o magistero ecclesiastico, fu opportunamente resuscitato ciò che produsse il Guenther: il concetto di verità relativa. Ora, dicono verità
relativa, per opposizione alla verità pura e semplice, alla quale vi fu, finora, secondo quanto era possibile, una maggiore o minore approssimazione, da lontano tuttavia, e lontanamente distante dalla ignota verità assoluta, che forse sarà avrà ad essere rivelata.
Ma dal momento che dalla verità relativa è facilmente preparata la discesa fino alla negazione di ogni verità oggettiva, così coloro che procedettero più oltre tirarono fuori dai laboratori della filosofia kantiana l’idea del dogmatismo morale, o di un dogma che
nulla è più che una soggettiva elucubrazione dell’intelletto sotto la determinazione della volontà. Infine si è arrivati al sistema completo, che nell’opera L’Evangile et l’Eglise viene esposto in compendio. In esso infatti la Trinità, l’Incarnazione, la Redenzione, la Chiesa, i Sacramenti, tutti insomma i nostri dogmi, secondo ed in quanto sono oggi da noi
creduti, altro non sono che idee mistiche in una certa fase della evoluzione.

In esso, la critica storica e la fede vengono comparate l’una all’altra in modo tale che nulla venga trovato in esse contraddittorio, poiché la fede sarebbe circa la presente forma rivestita dall’idea cristiana, e la critica a sua volta sarebbe competente circa le forme, totalmente
diverse da come erano in origine.

Di queste cose intendiamo trattare secondo l’ordine proposto, e innanzitutto di ciò che ha aperta la via a tutto il resto della teoria, cioè dell’erroneo concetto di tradizione. E poiché il concetto erroneo non viene notato se non attraverso i veri principii, occorrerà
tener bene a mente, a fianco della disputa, questi stessi principii.

 

[continua]