Il Diavolo…quello spirito orgoglioso…
non può tollerare di venir canzonato.
(Tommaso Moro)
Qualche giorno fa, dopo molto tempo, mi è ricapitato fra le mani il bellissimo romanzo di C. S. Lewis Le lettere di Berlicche. Rovistando fra i libri un po’impolverati della libreria, il mio sguardo è caduto sull’agile volumetto e, approfittando di una pausa dagli impegni, l’ho riletto tutto d’un fiato, rimanendone nuovamente colpito e, in un certo senso, frastornato, esattamente come era capitato quando l’avevo letto la prima volta, qualche anno fa. Ho deciso di scrivere così qualche riga di introduzione a questo capolavoro della letteratura cristiana, piccoli commenti sparsi, compilati, si direbbe, sull’onda dell’entusiasmo. Nulla a che fare con una dettagliata recensione, ma un semplice invito alla lettura condito da qualche fugace suggestione.
Le lettere di Berlicche, pubblicate per la prima volta nel 1942, fanno parte di quell’ambito narrativo della letteratura di Lewis che si suole individuare con l’etichetta di “filone apologetico”. Si tratta di romanzi e saggi accumunati dal desiderio di dimostrare all’uomo moderno – scettico, sfiduciato e in balia delle temperie culturali del momento – la ragionevolezza del cristianesimo. Lewis a tal proposito unisce il genio del romanziere al rigore del professore universitario, dipingendo un cristianesimo autenticamente vissuto, non un vago sentimentalismo afasico, ma la granitica certezza che sostiene il senso di tutta un’esistenza.
Così è anche nel romanzo in esame, composto da una serie di epistole che Berlicche, diavolo esperto, invia periodicamente al suo nipote Malacoda, demone tentatore alle prime armi che, sin da subito, si dimostra desideroso di apprendere dallo zio le più perfide tecniche per condurre l’anima del suo “paziente” all’eterna dannazione. Il lettore è così condotto in un viaggio che lo mette a contatto con la vicenda di un giovane di recente conversione che, come tutti, si trova a combattere una drammatica battaglia quotidiana tra bene e male, tentando di fuggire le occasioni di peccato preparate dall’astuto diavolo.
Il libro, dedicato a due colossi del cattolicesimo del XX secolo come lo scrittore J. R. R. Tolkien e Monsignor Francesco Olgiati, celebre docente dell’Università Cattolica, e reso ancora più godibile dal geniale espediente letterario, va quindi letto in chiave antifrastica, come un ribaltamento della realtà. Ecco allora che il “Nemico” altri non è che Dio stesso e gli insegnamenti del demonio sono presentati in modo tale che il lettore li rigetti, quasi avesse per la prima volta l’occasione di guardare in faccia la realtà. L’opera di Lewis ha infatti questo grandissimo pregio, quello cioè di togliere il velo che copre i nostri occhi di poveri peccatori e di trasportarci nel mondo dello spirito, quell’ eterno a cui siamo destinati, dove si combatte la battaglia dell’evangelica rinuncia a se stessi, così sintetizzata da Berlicche stesso in una delle sue lettere: «Come preliminare allo staccarlo dal Nemico dovevi staccarlo da lui stesso, e avevi già fatto un poco di progresso su questa linea. Ora tutto è disfatto. Naturalmente, so benissimo che anche il Nemico vuole distaccare gli uomini da se stessi, ma in modo diverso. Ricorda sempre che a Lui quei piccoli vermi piacciono veramente, e che pone un assurdo valore assoluto sulla distinzione di ciascuno di loro. Quando dice che debbono prendere il loro io, intende solamente dire che debbono abbandonare la volontà propria; una volta fatto ciò, in realtà dà loro indietro tutta la loro personalità, e si vanta […] che se saranno completamente suoi saranno più che mai se stessi».
Questo è solo uno dei molti straordinari passaggi di questo romanzo che assume davvero i connotati tipici degli esercizi spirituali ignaziani, un’occasione per scavare in se stessi e per riordinare la propria vita alla luce di una nuova consapevolezza del destino che ci attende. Si coglie infatti come sia facile per l’uomo cadere nella trappola delle tentazioni e come, organizzando superficialmente la propria vita, i pericoli aumentino grandemente. Anche la scelta di una singola amicizia sbagliata può condurre all’Inferno, il luogo in cui si sconta la sofferenza eterna sotto lo sguardi di Satana, colui che più di tutti odia l’uomo. Il piacere effimero del peccato è infatti nulla più che un passo verso l’autodistruzione, l’asservimento al male e l’annichilamento. Le lettere di Berlicche, esattamente come la Messa o il momento della preghiera, ha quindi il grande merito di fermare il tempo, di allontanare per qualche momento il lettore dalla mondanità, dal caos degli impegni quotidiani e dall’assurdo vociare di chi si accontenta di prostituirsi ad una moda passeggera, per ricondurlo faccia a faccia con Cristo, il suo unico e vero destino.
Luca Fumagalli