Cari bambini, oggi voglio insegnarvi oggi un bel gioco, il gioco del relativismo.
Funziona così: i giocatori “attivi” si dividono in due squadre, la squadra A e la squadra Z, mentre i giocatori “passivi” costituiscono quello che gli esperti chiamano “test panel”, ma noi possiamo semplicemente chiamare “popolo bue” o “plebaglia”. I giocatori della squadra A devono convincere la plebaglia (o “test panel”) che le idee portate avanti dalla squadra Z sono “relative”, che valgono solo per chi le accetta e non possono assolutamente essere considerate “verità assolute” e pertanto devono essere “professate in privato” e mai e poi mai imposte a chi non le condivide; allo stesso tempo devono convincere il popolo bue (o “test panel”) che le idee della propria squadra sono “valori di civiltà”, “basi della convivenza civile”, “sinonimo di progresso”, “verità scientifiche” e che pertanto è assolutamente necessario da parte di tutti propagandarle, difenderle e, se necessario, imporle, perché chi non le dovesse accettare sarebbe solamente un “pazzo”, uno “squilibrato” un “estremista” o un “talebano”.
Ovviamente la squadra Z deve cercare di fare il viceversa.
Vince il gioco “ai punti” chi riesce a convincere almeno il 51% del test panel.
Vince il gioco “per KO” chi, dopo aver convinto il 100% del test panel (in tedesco “Gesindel”) riesce a convincere anche i giocatori della squadra avversaria della “relatività” dei propri valori.
Ecco perché, quando sento qualche prete dire che “Cristo, per chi ci crede, ha salvato il mondo” o che “l’adulterio, per noi cristiani, è un peccato”, o che “il papa, per noi cattolici, è il Vicario di Cristo” (quest’ultima in realtà non la sento mai) e quando invece NON sento mai qualche politico dire che “la democrazia, per chi ci crede, va difesa”, o che “la libertà, per noi massoni, è un valore importante”, o che “la laicità dello stato, per noi atei, è fondamentale”, capisco che abbiamo già perso…
Forse però – mi dico – non avevamo capito bene le regole!
Pierfrancesco Palmisano
Il relativismo, secondo me, diventa una trappola mentale e morale, altrimenti come potrebbe mai essere teorizzato il “diritto di morire”? Se tutto è relativo…ha ragione Roberto Saviano nello scrivere su facebook che:
“La libertà di scegliere di morire non soffrendo, divorati da una malattia incurabile, è un diritto. Negarlo significa permettere l’eutanasia clandestina. Vietarlo significa costringere solo i più ricchi a poter andare in Svizzera. Vietarlo è un atto di barbarie, fatto in nome di principi religiosi o di chissà quale visione umana della vita. L’eutanasia legale che solleva le persone dalla morte di dolore è un atto di vita. Per la vita. Non c’è nulla di umano nel dover soffrire sino allo strazio. Io firmo per EUTANASIA LEGALE come atto d’amore per la vita e per la dignità umana.”
su eutanasia/suicidio vorrei scrivere un pezzo a breve, vedremo…
Bene, lo leggerò volentieri.
Si…abbiamo perso, chi afferma una verità e si sforza di definirla ha perso. La non-verità ha sempre vittoria facile e si incavola solo quando pragmaticamente fai notare che anche affermare la relatività di ogni fede è fede e scivola più di quanto si creda nel fideismo e nella superstizione. Certo che Dio è eterno, infinito, Principio irriducibile, indefinibile in Sè stesso, ma Lui si rivela a noi, ammettere la nostra finitezza è il primo serio passo verso l’Infinito.