“Spiritualmente, siamo tutti semiti”
Cit. dal discorso pronunciato da Papa Pio XI ai pellegrini belgi all’indomani della promulgazione delle leggi razziali in Italia.
Nello scantinato delle trite e ri-trite accuse mosse alla Chiesa vi è quella alquanto infamante di anti-semitismo, nata prevalentemente dal mancato distinguo tra moderato antigiudaismo teologico, proprio del Magistero della Chiesa, e antisemitismo biologico, da sempre condannato dal medesimo Magistero, la cui differenza è tutt’altro che sottile. Da ciò derivano le conseguenti leggende nere di pogrom anti-ebraici fomentati da ecclesiastici durante e successivamente il Medioevo.
Di fronte a tale accusa, un’attenta lettura del Magistero ecclesiastico riguardante il giudaismo farà facilmente cadere ogni falsità a riguardo, basti citare come esempio quanto affermato da Papa Nicola III nella sua Enciclica Vineam Sorec (1278): “Noi che immeritatamente siamo vicari in terra di Colui che non respinge dalla Sua misericordia neppure l’incredulità dei Giudei, di buon grado affrontiamo ogni sforzo per l’accecamento di questo popolo, affinché il nostro desiderio accompagnato dalla clemenza divina lo liberi dalle tenebre dopo che avrà conosciuto la luce della verità che è Cristo.” e “E affinché come risultato i suddetti Giudei accolgano quel sentimento che la madre Chiesa ha per la loro salvezza, col massimo affetto da parte nostra, raccomanda ai Prelati ed ai Signori dei luoghi ove devono vivere quelli tra i Giudei che la grazia divina ha portato a ricevere il sacro Battesimo che, a compensazione delle dracme perdute per grazia di Dio, mostrando al figliuol prodigo che ritorna il vitello dell’esultanza, li proteggano con carità, li trattino con generosità e diano loro appoggio, non permettano che siano molestati indebitamente nella persona o nei beni cose né da Giudei né da altri ed anzi li assistano in tutto con aiuto idoneo ed opportuno.” Tali citazioni sarebbero di per sè sufficienti, ma ritengo utile riportare anche quanto detto precedentemente da Papa Innocenzo III nella Costituzione Licet Perfidia Iudaeorum (1119): “Sono loro i testimoni viventi della vera fede. Il cristiano non deve sterminarli nè opprimerli, perché non perda la conoscenza della Legge. Come essi, nelle loro sinagoghe, non devono andare al di là di ciò che permette la Legge, così noi non dobbiamo arrecare pregiudizio all’esercizio dei privilegi a loro concessi. Pertanto, anche se preferiscono restare nell’indurimento del loro cuore piuttosto che cercare di comprendere le predizioni dei Profeti ed i segreti della Legge pervenendo alla conoscenza di Cristo, senza dubbio non hanno per questo meno diritto alla nostra protezione. Poiché chiedono il nostro soccorso, spinti dalla mansuetudine della pietà cristiana e seguendo le orme dei nostri predecessori di felice memoria Callisto II, Eugenio III, Alessandro III, Clemente III e Celestino III, Noi accogliamo la loro richiesta e accordiamo lo scudo della nostra protezione. Ordiniamo, in effetti, che nessun cristiano li costringa al Battesimo fisicamente o contro la loro volontà; ma se uno di loro viene liberamente a cercar rifugio nella Fede cristiana, dopo che la sua volontà sia stata accertata, divenga cristiano senza alcuna vessazione. Non si crede certo che abbia la vera Fede della Cristianità qualcuno di cui si sappia che non spontaneamente, ma suo malgrado, è giunto al Battesimo dei cristiani. Ugualmente, nessun cristiano deve permettersi di ledere senza scrupoli la loro persona al di fuori di un giudizio del signore locale, o di togliere loro i beni con la forza, o di modificare le buone usanze adottate sino a quel momento nella regione in cui abitano. Ancora, nessuno, in alcun modo, li turbi a colpi di bastone o di pietre in occasione della celebrazione delle loro feste; nessuno imponga loro in quei giorni opere che possono compiere in altre occasioni; nessuno cerchi di esigere da loro servigi non dovuti, ad eccezione di quelli che avevano essi stessi costume di rendere in passato. Inoltre, per far fronte alla depravazione e alla brama di guadagno di uomini malvagi, Noi decretiamo che nessuno debba avere l’audacia di violare o disprezzare un cimitero ebraico, o ancora di disotterrare corpi già inumati per trovare soldi. Saranno scomunicati coloro che violeranno questo decreto […] Tuttavia vogliamo che beneficino di questa protezione solo coloro che non si permettano di dedicarsi a macchinazioni per sovvertire la fede cristiana.”
A prova della carità che la Chiesa dimostrò nei confronti del popolo ebraico, spesso difendendolo da ingiuste persecuzioni, vi è un documento contenuto negli Atti dell’Assemblea degli israeliti di Parigi e dei verbali del Gran Sinedrio del 1807, nel quale vengono esplicitamente ringraziati la Chiesa e i Pontefici per il loro operare in favore degli ebrei perseguitati ingiustamente: “I deputati israeliti dell’Impero di Francia e del Regno d’Italia, nel sinodo ebraico decretato il 30 maggio scorso, colmi di gratitudine per i continui benefici che il clero cristiano ha elargito nei secoli passati agli israeliti di più stati d’Europa; pieni di riconoscenza per l’accoglienza che diversi Pontefici hanno prestato agli israeliti di vari Paesi, quando la barbarie, i pregiudizi e l’ignoranza, riuniti, perseguitavano ed espellevano gli ebrei dalle società, dichiarano che l’espressione di tali sentimenti sarà annotata nel verbale di questo giorno perché resti per sempre una testimonianza autentica della gratitudine degli israeliti di questa assemblea per i benefici che le generazioni precedenti hanno ricevuto dagli ecclesiastici dei diversi Paesi d’Europa.”
Tali documenti andrebbbero, a mia modesta opinione, fatti leggere a coloro che con convinzione sostengono il pullulare durante il Medioevo di tanti piccoli Mengele indossanti, vince che la consueta uniforme nera, il saio di qualche ordine predicatore.
Altro aspetto importante che va a costituire il nutrito corpo di accusa è la ben nota preghiera del Venerdì Santo della liturgia tridentina, la quale afferma: “Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur.”. A chi non ha dimestichezza col latino salterà subito agli occhi in maniera negativa l’aggettivo perfidis, erroneamente tradotto con il dispregiativo epiteto perfidi. A onor del vero bisognerà quindi spiegare che la corretta traduzione è increduli/che non credono: se da un lato infatti tale parola veniva usata anche (ma non solo) per indicare una persona molto malvagia (per = molto; foedus = malvagio), in un ottica cristiana l’unica traduzione sensata, dati il contesto e le finalità di questa preghiera, è quella di incredulità/infedeltà (perfidis è infatti sinonimo di infidelis), nella fattispecie intesa come una mancata accoglienza di Cristo da parte degli ebrei. Di fronte a queste considerazioni, la corretta traduzione integrale di questa Prece Solenne del Venerdì Santo è la seguente: “Preghiamo anche per gli ebrei increduli/che non credono, affinché il Signore e Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi riconoscano Gesù Cristo Signore nostro. Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure l’incredulità/il non credere degli ebrei esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre.”.
Testo di anonimo raccolta a cura di Piergiorgio Seveso
Vorrei sottolineare che la non accettazione di Cristo ed il rifiuto
del battesimo sono discrimine inesorabile riguardo la salvezza.
Chi crederà (a Cristo) e sarà battezzato sarà salvo, gli altri no.
La preghiera per i “senza fede” è necessaria e la vera carità verso i giudei consiste proprio nel ricordare loro che la mancata conversione a Cristo è la causa prima della loro perdizione.
La perfidia nella accezione latina è una ostinazione perversa, una volontà
pertinace a restare su posizioni erronee o viziate.
Tale termine quindi in una traduzione letterale coerente è più che appropriato. Tradurre perfidis con la parola “increduli” è una forzatura lessicale e un cedimanto ideologico oltre che strumentale privo di reale
coerenza metodologica e teologica. La traduzione corretta di perfidis
è e resta perfidi. Quello che poi va fatto è spiegare il senso e la connotazione corretta di quel termine in quella specifica circostanza.
Ciò che andrebbe fatto non è cambiare le parole, ma tradurre correttamente
le parole e poi spiegarle nel modo corretto.
Va spiegato che il termine perfidi in quella preghiera identifica coloro che si ostinano in una posizione perversa.
Ora certo possiamo anche dire che un incredulo si ostina in una posizione perversa, ma è evidente che i due concetti non sono intercambiabili
senza uno stravolgimento della semantica e del significato teologico
di fondo.
Il punto è che chi si ostina a non credere non si salva, chi invece pur non credendo (per ignoranza o altro) potrebbe credere e sarebbe disponibile a farlo ma non ci arriva è in una condizione differente.
Nel primo caso il non credere (incredulità) è atto deliberato di volontà
e si determina in piena avvertenza e deliberato consenso, nel secondo caso (sempre di incredulità si tratta) ovviamente no.
Utilizzare quindi il termine “incredulo” in sostituzione del termine
perfido (ovvero perseverante nell’errore) è errato sul piano semantico
e teologico ed è sul piano pastorale e morale una mancanza di carità
a cui i giudei hanno invece diritto, perchè la correzione fraterna
e l’ammonimento del peccatore sono fondamentali opere di carità spirituale.
Chi crede di fare un favore ai giudei dando loro il contentino irenista
di una traduzione erronea e rimediaticcia in realtà fa esattamente l’opposto e se lo fa in buona fede meglio per lui, ma se lo fa per tornaconto e utilità “politica” faccia bene i suoi conti perchè non è tradendo
la verità trinitaria dell’unico vero Dio che otteniamo merito per il cielo.