In mancanza di veri pastori di anime nel mondo odierno,raccontiamo la vita di un vero imitatore di Cristo e del Santo di Assisi(quello autentico) che fu veramente tale,predicando il Vangelo in terre
lontane ed ostili fino al martirio .
Parliamo del Beato Padre Salvatore Lilli,nato a Cappadocia nel 1853,un piccolo paese di montagna in provincia dell’Aquila,ultimo di sei figli ben presto comprese la sua vocazione alla vita religiosa e all’età
di 17 anni espresse il desiderio di diventare francescano.
Conclusi gli studi,finalmente il 6 Aprile 1878 ricevette l’Ordinazione sacerdotale(tu es sacerdos in aeternum) dal patriarca di Gerusalemme Mons. Bracco.
Così scrisse alla sorella suor Maria Pia,religiosa della Trinità per esprimere la propria gioia:
‘’ Vi notifico dunque che il giorno 6 aprile avrò la bella sorte di essere annoverato tra i Ministri del Signore col essere solennemente ordinato Sacerdote, e che più posso io desiderare, se ormai sono raggiunti i miei voti ? Ah sì che ne provo una stragrande consolazione ! La quale
poi si raddoppia per più ragioni. Prima di tutto per la grazia singolarissima di essere stato innalzato a tanta dignità…; Secondariamente poi, perché offro quel Sacrificio nel luogo stesso
ove fu compiuto. Chi ha cuore giudichi, se più propizia poteva essere la circostanza….’’
Restò ancora due anni a Gerusalemme e successivamente,nell’agosto del 1880 partì per la missione a Marasc in Turchia con la qualifica di “missionario apostolico”. Per questo apostolato dovette studiare
la lingua turca,armena e quella araba che risultarono poi di grande aiuto per la sua missione in terra straniera.
Il nostro, intensificò le pratiche spirituali introducendo ad esempio la recita del Rosario,il Presepio, il Mese di Maggio e addirittura nel 1894 fu inaugurata la nuova cappella grazie anche all’aiuto del popolo,la forza della sua fede e l’efficacia della sua parola provocarono un grande risveglio religioso nel villaggio di Marasc ed egli conquistò in breve tempo l’affetto dei fedeli ed il rispetto delle autorità.
Nel 1885 ritornò per una breve “pausa” in Italia tra le persone a lui care e si dovette difendere dall’accusa di renitenza alla leva e vale la pena citare le parole con le quali si difese in quella occasione:
“<< Signori del tribunale, sappiate che io non sono stato un disertore, ma un Missionario di Cristo, che ha portato in terra straniera il lume del Vangelo e della civiltà(..) Voi pertanto, volendo punire me, punite uno che ha illustrato il nome d’Italia, e diffuso l’Italiana Favella in
Oriente>>.
Dopo quasi due anni di assenza raggiunse di nuovo Marasc poco prima del Natale del 1886 e riprese così la sua missione che si diffuse anche tra i paesi vicini ai quali non fece mai mancare il suo aiuto e
sostegno alle anime e corpi dei loro abitanti,percorreva ore di cammino a cavallo anche tra le neve per predicare ed amministrare i sacramenti.
Nel 1890 così scriveva alla sorella suor Maria Pia:
“Il Signore dà la lana secondo le stagioni; poiché oltre che mi conserva in ottima salute, in questi funesti giorni tale mi sentivo un coraggio, che l’andare presso il coleroso, toccarlo, amministrargli medicine, fargli frizioni, rivoltarlo ed altro in simili casi, sembravami cosa
ordinaria, cosicché io che non aveva visto mai colera, invece di sbigottirmi, parea un vecchio soldato di battaglie, tanto mi sentiva in coraggio; ripeto che solamente il ministro della Chiesa cattolica, compenetrato dall’alto mistero che occupa, fidente in quel Dio che lo sostiene, sprezza i pericoli, e corre ad alleviare il misero fratello che tante volte si trova abbandonato anche dai suoi cari’’.
Riuscì inoltre a dar lavoro ai cristiani della zona grazie alla proprietà agricola acquistata precedentemente,garantì l’istruzione con la scuola del centro missionario e proprio mentre otteneva questi grandi risultati per il benessere della popolazione nel 1895 i turchi scatenarono una persecuzione armata feroce contro la minoranza cristiana della regione.
Egli rifiutò ogni invito a lasciare la missione rispondendo che “Dove sono le pecore ivi deve essere il pastore”, il popolo scese in strada pregandolo di rimanere e fedele alla propria missione decise di non abbandonare quella gente,di non privarla dei conforti religiosi
“Non posso abbandonare le mie pecorelle; preferisco morire con loro, se è necessario”.
La sera del 19 novembre 1895,un gruppo di soldati invase il villaggio di Mujuk-Deresi e giunti alla residenza del Padre lo ferirono ad una gamba dinanzi al suo rifiuto di conversione all’islam che così
motivò:
“Mio Dio liberaci da questa tentazione, non accetterò mai di essere musulmano, al di fuori di Gesù Cristo, non presto fede a nessuno”.
Dopo tre giorni di violenze e insulti il battaglione incendiò e distrusse il convento e la chiesa per poi abbandonare il villaggio con il “bottino” composto dal nostro eroico pastore ed alcuni abitanti del luogo
tra i quali una bambina che sarà testimone della morte del missionario e dei suoi compagni.
Dopo circa due ore di cammino i soldati rinnovarono l’ordine di rinnegare Gesù Cristo per abbracciare l’islam ed a questo ennesimo invito il nostro così rispose:
“Io credo a Cristo Signore, io non cambio la fede in Cristo con il vostro Maometto, sono sacerdote e credo solo a Gesù Cristo” ed invitava i suoi compagni a non rinnegare la fede” Figli miei non fatevi musulmani: questo mondo è passeggero. “ detto questo fu crivellato dalle baionette,era il 22 novembre 1895.
“Ultimamente” noi cattolici ci scusiamo sempre con tutti,anche quando non dovremmo farlo, ma nessuno chiede mai le scuse di chi in nome di una falsa fede uccide uomini come Padre Salvatore che fedeli al Vangelo predicavano la Verità che rende liberi popoli e nazioni oppressi dalla menzogna.
Visto che ci siamo ricordiamo anche gli otto martiri francescani uccisi nel 1860 a Damasco al grido di “Oh, com’è dolce, oh, com’è soave massacrare i cristiani!” . . . . . .
Alessandro Pini
Chiedo a questo Martire la forza di testimoniare sempre Cristo, opportune et importune. Normanno