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Premessa. Nel 1965 la rivista dei gesuiti inglesi “The Month” pubblicava uno studio minuzioso sulla situazione in cui versava la Chiesa Olandese, in esso si legge: “è la sua crisi più difficile dai tempi della Riforma [che sfocia in] un pericoloso relativismo dogmatico, unito ad un falso ecumenismo, e nel venir meno della vita personale di preghiera in gran parte dei nostri cattolici” [R. De Mattei, CV2 una storia mai scritta, Lindau, p. 537]; grave crisi che portava, nel 1966, alla pubblicazione del Nuovo catechismo (detto olandese) in cui l’ecclesiologia stessa veniva alterata, diveniva praticamente di dottrina “non cattolica”, il concetto di peccato era mutato, i dogmi relativizzati, ed i toni si facevano dialoganti, aperti” ad una conoscenza differente. Nel 1969 il Consiglio pastorale olandese, con voto favorevole dei nove vescovi che ne facevano parte, approvò la Dichiarazione di indipendenza in cui si mirava esplicitamente a rifiutare alcuni insegnamenti di Roma [Ivi.]. E’possibile affermare che dal 1966 ad oggi, in Olanda il cattolicesimo è praticamente scomparso o limitato a piccoli e circoscritti ambienti, lasciando posto alla totale degenerazione nel tessuto sociale ed all’avvento dell’Islam e di filosofie newage.

Il lettore si domanderà: ma come può accadere tutto ciò in una società monarchica come la Chiesa?

Cercherò di fornire una risposta esaustiva.

Sul Primato dell’autorità del Romano Pontefice. La Chiesa lo ha sempre creduto ed ha sempre combattuto contro gli eretici che sostenevano il contrario; si deve inoltre affermare che la vittoria definitiva dell’autorità del Romano Pontefice [esplicitamente] contro il concetto di Conciliarismo va individuata nel Concilio di Firenze (1439 – 1445), Conciliarismo che comunque sopravvisse marginalmente in sporadici ambienti e che trovò la massima espressione nell’eresia successiva che fu il Gallicanesimo (pur riconoscendo al papa un primato, ne contesta il potere assoluto, in favore dei consigli generali della Chiesa). Tuttavia alcune ideologie malsane sono dure da annientare del tutto, difatti l’eresia Conciliarista oggi sembra ripresentarsi mascherata probabilmente nella Collegialità.

Il Conciliarismo non va assolutamente confuso con la dichiarazione meramente legislativa di eccezionalità del Concilio di Costanza, nel famoso decreto Haec sancta (6 aprile 1415).

Concilio di Firenze, Sessione VI del 6 luglio 1439:

Definimus sanctam apostolicam sedem et romanum pontificem in universum orbem tenere primatum, et ipsum pontificem successorem esse b. Petri principis apostolorum, et eorum patrem, ac doctorem existere; et ipsi in b. Petro pascendi, regendi, ac gubernandi universalem ecclesiam a D.N. Iesu Christo plenam potestatem esse traditam; quemadmodum etiam in gestis oecumenicorum conciliorum et in sacris canonibus continetur. Renovantes insuper ordinem traditum in canonibus ceterorum venerabilium patriarcharum, ut patriarcha constantinopolitanus secundus sit post ss. rom. pontificem, tertius vero alexandrinus, quartus autem antiochenus, et quintus ierosolimitanus, salvis, videlicet, privilegiis omnibus et iuribus eorum” [S. Alfonso Maria de Liguori, Storia delle eresie, cap IX, art. II].

Ora è necessario esporre con efficacia e determinazione quella differenza che v’è fra il potere di ordine ed il potere di giurisdizione, differenza che dopo il Concilio Vaticano II (dipende dall’opinione dei vari autori)  pare scomparsa de facto. In Sant’Alfonso, Verità della Fede, Capitolo X [1], abbiamo imparato le motivazioni e le necessità della condanna alla Collegialità che è una eresia prossima all’Episcopalismo e mira a demolire il Primato di Pietro che è, appunto, Primato di giurisdizione (e non primato di mero onore come in alcune occasioni sembra aver sostenuto anche mons. J. Ratzinger [2]).

Ma di cosa stiamo parlando precisamente?

Credo che mons. Guerard del Lauries spieghi bene  e semplicemente il concetto:

“La Chiesa è Gesù Cristo comunicato. Questa comunicazione comporta due aspetti organicamente legati, la cui fenomenologia è divinamente rivelata. Da un lato, la MISSIO: “Andate, insegnate, battezzate, educate…” (Matteo XXVIII, 18-20). Ed ecco, nella Chiesa militante, “fino alla fine del secolo”, la catechesi, i sacramenti, il governo (delle anime). D’altro canto, la SESSIO: “ Voi che mi avete seguito, sarete seduti anche voi sui dodici troni, giudicando…” (Matteo XIX, 28). Ed ecco instaurata, anche nella Chiesa militante, la gerarchia che manifesta e realizza la cattolicità. La distinzione e l’unità fra Missio e Sessio sono talmente inerenti alla Chiesa, da essere omologate dal Diritto canonico (CjC anno 1917), sia nell’universale che nel particolare”.

D’istituzione divina, la sacra gerarchia comporta, tenuto conto dell’ordine [ratione ordinis]: Vescovi, sacerdoti, ministri; tenuto conto della giurisdizione [ratione jurisdictionis]: il sommo pontificato e l’episcopato subordinato…” (can. 108.3). Così, la sacra gerarchia, una, ed unica, comporta tuttavia DUE rationes: la ratio ordinis rientra nell’ambito della Missio, la ratio jurisdictionis in quello della Sessio. [Il problema dell’autorità nella Chiesa, C.L.S., 2005, pp. 71 e 72].

La potestà d’ordine è data direttamente da Cristo nella consacrazione episcopale, la potestà di giurisdizione, invece, è concessa esclusivamente dal Papa; potestà d’ordine e potestà di giurisdizione nell’episcopato non sono simultanee, basti pensare alla vicenda degli abati durante l’evangelizzazione dell’Irlanda (ci torneremo); essi avevano sì giurisdizione ma non avevano alcun ordine episcopale.

Ai fini del nostro studio si consideri che:

il criterio che reggeva il vecchio CjC (can. 223) era quello della giurisdizione: partecipavano al Concilio (§ 1) i Cardinali (anche non Vescovi) e gli Ordinari: i Vescovi residenziali anche non consacrati, gli Abati e Prelati nullius, gli altri Abati e superiori maggiori: moltissimi membri di diritto al Concilio non avevano pertanto ricevuto la consacrazione episcopale”. [V. Bibliografia, Sodalitium].

Questa distinzione, che secondo alcuni autori si evidenzia particolarmente solo dopo il XIII secolo, nella realtà è sempre esistita, come fa notare il Bellarmino è insita nella stessa natura monarchica della Chiesa, ed abbiamo riferimenti espliciti – anche meramente iconografici – sin dal secolo VIII (James Charles Noonan, The Church Visible). Di questa verità e necessità ce ne parla abbondantemente anche l’Aquinate nel supplemento della Summa Teologica (q. 40, a. 5, tratto da 4 Sent. D. 24, q. 3, a. 2, qc. 2):

Al termine ordine si possono dare due significati. Primo, quello di sacramento: e in tal senso ogni ordine, come abbiamo spiegato prima (q. 37, aa. 2 e 4), è ordinato all’Eucarestia. E poiché in questo il vescovo non ha un potere superiore a quello sacerdotale, l’episcopato non è un ordine. Secondo, può indicare un ufficio relativo a certe funzioni sacre. E in tal senso il vescovo, avendo sul corpo mistico un potere relativo ad atti gerarchici superiore a quello del sacerdote, l’episcopato è un ordine…”. Alla difficoltà secondo la quale “i vescovi possono conferire dei sacramenti che non possono conferire i sacerdoti, come la cresima e l’ordine sacro” San Tommaso risponde (ad 2): “L’ordine, in quanto sacramento che imprime il carattere, è ordinato direttamente all’Eucaristia, in cui è contenuto Cristo medesimo: poiché il carattere ci rende conformi a Cristo. Perciò, sebbene al vescovo nell’ordinazione venga conferito un potere spirituale rispetto ad altri sacramenti, tuttavia tale potere non ha valore di carattere. Ecco perché l’episcopato non è un ordine, considerando l’ordine come sacramento” [3]

Altri autori confermano esattamente la necessità della differenza che v’è fra potere di ordine e potere di giurisdizione, fra i quali possiamo citare: San Bonaventura, Riccardo de Middleton, Giacomo da Viterbo, Egidio Romano, Sant’Alberto, Alessandro di Arles, Pierre de la Palu, Hervaeus Natalis, ecc…  

Cerchiamo di approcciare brevemente alle varie ipotesi.

Juan de Torquemada, nella Summa de Ecclesia: “gli Apostoli ricevettero la potestà di giurisdizione non da Cristo ma da Pietro”; secondo il Gaetano (De comparatione auctoritatis – Tommaso de Vio alias Cajetan) i primi Apostoli, i contemporanei a Gesù Cristo, in via extraordinaria ricevettero un potere detto universale da Cristo, tuttavia dalla loro morte la potestà di giurisdizione si trasmette esclusivamente attraverso Pietro.

In J. de Torquemada:

Quilibet fidelis tenetur credere unam esse sanctam ecclesiam catholicam; sed ad unitatem ecclesiae requiritur quod omnium praelatorum potestas iurisdictionis derivetur a Romano Pontifice; ergo necesse est quod quilibet fidelis hoc teneat ed credat”. (Summa de Ecclesia, II, al num° 32)

Differentemente dai molti autori su citati, per Francisco Vitoria era invece opportuno credere che gli Apostoli trasmettevano (non delegavano) la potestà ordinaria del proprio ufficio episcopale, quindi giurisdizione immediatamente umana e non da Cristo.

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Posto che il Concilio di Tento definì dogmaticamente il carattere indelebile dell’Ordine, uno dei sette Sacramenti, bisognava definire precisamente la separazione dei 2 poteri per contrastare definitivamente l’eresia protestante (quando alla dignità dell’episcopato), quindi nella sessione del luglio 1547 si confrontarono a tal proposito vari illustri esperti “teologi minori”, fra cui Massarelli, Cervini, Musso, De’ Nobili, Pasquali, Lippomani, Catarino, Bonucci. Nulla si risolse data la particolare rilevanza della questione, e vi fu una proroga sine die.

Nel 1551 Eberhard Billick sottolineò una evidente distinzione tra il sacramento e la gerarchia (dell’Ordine), tuttavia non si giunse ad una precisa formulazione, se non a due canoni specifici in cui non era ben evidente la differenza che noi qui cerchiamo di documentare, ma anche in questo caso la sessione fu sospesa e rinviata poiché non erano presenti i teologi esperti di protestantesimo. Il Concilio venne quindi interrotto durante il pontificato di Giulio III e fu riaperto da Pio IV nel 1562; questo terzo periodo fu caratterizzato specialmente dal dibattito sull’Ordine Sacro e nuovamente alcuni “teologi minori” contrapposero le loro ipotesi, fra i nomi noti possiamo ricordare Juan Fonseca, Anton de Grossuto, Amanzio di Brescia, Pedro de Zumel

Il 13 ottobre del 1562 fu consegnato ai Padri lo schema elaborato dalla Commissione presieduta dal Vescovo di Zara, mons. Calini; sorse dunque una nuova disputa teologica in seno al Concilio poiché nello schema non veniva fatta menzione allo iure divino, che invece secondo il Guerreo era un concetto presente con evidenti riferimenti nella Scrittura, quindi di Diritto divino. Il tema venne dibattuto per lungo tempo, fin quando gli uomini della Curia Romana richiamarono l’esplicito riferimento del Concilio di Lione II (1274) sul Papa, definito “rector universalis ecclesiae e director gregis dominici”, pertanto al Pontefice e solo a lui spetta il titolo di Vicario di Cristo, e solo lui possiede lo stesso potere di Pietro; i vescovi, detti istituiti da Cristo, i quali succedono al posto degli Apostoli, ricevono il regendi potestatem nella loro diocesi, da Pietro, dal Papa.

Si contrapposero alla tesi i vescovi Francesi, probabilmente antesignani dell’eresia Gallicana, ma ricevettero dura opposizione specialmente dal canonista Francisco Foriero OP, grazie anche al card. Borromeo si arrivò alla formulazione del Canone VII in cui compariva la parola “hierachia”, inerente esclusivamente la potestà d’ordine, non veniva risolta ancora l’origine della potestà di giurisdizione, quindi veniva praticamente riaffermata la superiorità dei Vescovi sui presbiteri quanto all’ordine. Il Canone VIII risolse ulteriori problemi collegati piuttosto alla residenza (obbligo di Diritto ecclesiastico di risiedere presso una Diocesi).

Bovio (De Rescidentia) affrontò il problema della residenza ed individuò nella Scrittura quegli elementi di Diritto divino (Atti 20; 1Tm 3) secondo cui un Vescovo non può esistere nel suo ufficio se non risiede presso la Diocesi che gli viene assegnata dal Pontefice, verrebbe meno l’adempimento del suo dovere; istituzione e attribuzione di uno specifico gregge, sebbene per loro natura si trovino nella stessa persona del Vescovo, tuttavia “queste 2 cose sono per natura separate e traggono origine da principi differenti”.

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Definire di Diritto divino la residenza, poteva comunque inficiare il Primato di giurisdizione di Pietro, difatti numerose eccezioni furono mosse dal Limpo, da Del Monte, dal Saraceni che forniva una più chiara esegesi delle parole del Cajetan a tal proposito. Dopo una accesa votazione che non forniva precisa risposta al quesito, il 20 aprile del 1562 Papa Pio IV proibì ogni ulteriore dibattito sullo ius divinum ed i Legati accusarono il Seripando di avere prodotto una simile scissione in seno al Concilio.

Dopo ulteriori accese disputazioni teologiche il Decreto fu approvato in maniera quasi unanime e non si pronunciava sul fondamento giuridico dell’obbligo di risiedere, se di Diritto divino o di Diritto ecclesiastico, ma piuttosto parlava di un precetto divino di “esercitare la cura pastorale presso il gregge”, precetto che comunque era assoggettato alla dichiarazione rivelata “Pasce oves meas”, quindi solo a Pietro, e di conseguenza anche agli Apostoli, Cristo aveva affidato il compito di pascere le pecorelle.

Facevano notare i teologi che se i Vescovi avessero avuto la potestà di residenza, il Pontefice non avrebbe potuto privarli di tale diritto (se “secondo l’ordine di Dio”) e questo era da escludere poiché, nella storia della Chiesa, il Pontefice aveva più volte operato in tal senso, senza per questo andare contro il Diritto divino, quindi era certamente ovvio che il Papa non aveva ricevuto limiti da Cristo nell’esercizio della sua piena e sovrana autorità di Governo. Posta questa premessa, quindi evidenziato il primato di giurisdizione, il Concilio di Trento non definì precisamente ma, come era sempre stato, ciò era giusto da credere e sostenere.

Purtroppo il problema non si estinse del tutto, difatti l’Episcopalismo post Tridentino trovò numerosi sostenitori specialmente nell’ambiente secolare, considerando che all’epoca molti Vescovi venivano “presentati” o “nominati” dai vari regnanti o dai Capitoli, donde si sviluppò anche un certo giurisdizionalismo che vietava ai Pontefici di interferire nelle nomine delle Chiese locali.

La massima espressione di Episcopalismo si ebbe con la Rivoluzione massonica francese, in netta contrapposizione ed in odio con la struttura prettamente monarchica della Chiesa, così come voluta da Cristo; organigramma monarchico ove la potestà si realizza per differenti gradi, partendo da Cristo che ne possiede l’assoluta pienezza, trasmessa quindi a Pietro ed ai suoi successori, mentre essi aiutano il Romano Pontefice a governare la Chiesa sotto la sua giurisdizione.

Nelle varie ipotesi presentate e comparate, secondo il Bellarmino (Opera oratoria postuma, II, 118), il Pontefice è prorex, definito dal Santo “summa rei christianae”, e fu proprio Pietro che ricevette da Cristo l’ordinazione e, a sua volta, consacrò gli Apostoli; fu Pietro che ricevette le potestà di ordine e di giurisdizione ed a sua volta la trasmise ai suoi successori (ipotesi 1).

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Nel De Romano Pontifice, t. I, lib. I, cap. XI, 335: solamente Pietro fu depositario del potere giurisdizionale supremo e fu pastore ordinario, mentre gli apostoli

fuerunt capita, rectores, et pastores ecclesise niversse, sed non eodem mode quo Petrus: illi enim habuerunt summam atque amplissimam potestatem ut apostoli seu legati, Petrus autem ut pastor ordinarius: deinde ita habuerunt plenitudinem potestatis, ut tamen Petrus esset caput eorum, et ab illo penderet, non e contrario”.

Il Bellarmino, per fugare ogni dubbio, argomenta:

Argomento 1: Il Bellarmino comunque conclude che è certo che gli Apostoli ricevettero la potestà di giurisdizione immediatamente da Cristo (Gv 20,21, At 1,15-26; Gal 1,1), creati tali da Gesù (Lc 6,12-16; Gv 6,70) e da Lui destinatari della potestà di giurisdizione (1 Cor 5,1-13), tuttavia ciò non scalfisce minimamente il Primato di Pietro (De Romano Pontifice, t. I, lib. I, cap. XI, 334), mentre è altrettanto certo che, morti i primi Apostoli, i Vescovi ricevono la potestà di giurisdizione dal Papa, ciò viene confermato dall’analogia con AT: Pontefice nella Chiesa “eum locum habere, quem habuit Moyses in populo Judaeorum”. (Ivi. lib IV, cap. XXIV, 521);

24 Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole del Signore; radunò settanta uomini tra gli anziani del popolo e li pose intorno alla tenda del convegno. 25 Allora il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani” (Numeri 11). Ricordando Sant’Agostino, il Bellarmino fa presente che il “prendere lo spirito” da Mosé non equivale a diminuirne la potestà.

Argomento 2: San Bellarmino, per confermare la necessità del primato di giurisdizione, quindi della netta differenza fra potere d’ordine e potere di giurisdizione, adduce anche la evidente motivazione detta “monarchica”, proprio per il fatto che nella Chiesa, società visibile e gerarchica fondata da Cristo con a capo Pietro, è certo che l’Autorità risiede in uno e “ad illo in alios derivatur; sic enim se habent omnes monarchiae” (Ibid.)

Argomento 3: Ricordando le quattro similitudini adoperate da san Cipriano, il Bellarmino paragona la Sede di Pietro alla testa, alle radici, alla fonte e al sole, paragone che evidenzia l’unità della Chiesa fondata “super unum Petrum” (Ivi. lib I, cap. XII, 339).

Argomento 4: “Nam si Deus immediate conferret episcopis jurisdictionem, omens episcopi heberent aequalem jurisdictionem, sicut habent aequaliter ordinis potestatem: Deus enim non determinavit unquam episcoporum jurisdictionem; at modo unus episcopus habet unum oppidum, alius centum oppida, alius multas provincias; non igitur a Deo, sed ab homine datur ejusmodi jurisdictio” (Ivi. lib IV, cap. XXIV, 521).

Argomento 5: Emerge dalla storia. Qualora i Vescovi avessero la potestà di giurisdizione direttamente da Cristo, il Pontefice non potrebbe privarli o mutarli, poiché diversamente agirebbe contro una disposizione divina, e dato che spesso ciò è accaduto, è più che evidente che i Vescovi ricevono il potere di giurisdizione esclusivamente dal Papa e non direttamente da Cristo.

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Tempo fa “tradussi” e pubblicai su Radio Spada uno studio sulla “Necessità dell’infallibilità del Pontefice e sulla condanna della Collegialità” [4], breve approfondimento che possiamo adesso richiamare poiché il Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, evidenziò in maniera ancora più chiara questa specifica necessità (Papa capo supremo, superiore anche al Concilio) che è riconducibile al Diritto divino.

in Verità della fede, parte III, cap. VIII, il Liguori scrive:

Niente ancora importa che ne’ secoli passati alcun pontefice sia stato illegittimamente eletto, o fraudolentemente siasi intruso nel pontificato; basta che poi sia stato accettato da tutta la chiesa come papa, attesoché per tale accettazione già si è renduto legittimo e vero pontefice. Ma se per qualche tempo non fosse stato veramente accettato universalmente dalla chiesa, in tal caso per quel tempo sarebbe vacata la sede pontificia, come vaca nella morte de’ pontefici. Così neppure importa che in caso di scisma siasi stato molto tempo nel dubbio chi fosse il vero pontefice; perché allora uno sarebbe stato il vero, benché non abbastanza conosciuto; e se niuno degli antipapi fosse stato vero, allora il pontificato sarebbe finalmente vacato.”

Nella versione del testo Verità della Fede, Volume primo, Giacinto Marietti, Torino, 1826, alla pagina 142, si leggono le parole del santo Dottore:

La seconda cosa certa si è, che quando in tempo di scisma si dubita, chi fosse il vero papa, in tal caso il concilio può esser convocato da’cardinali, e da’ vescovi; ed allora ciascuno degli eletti è tenuto di stare alla definizione del concilio, perchè allora si tiene come vacante la sede apostolica. E lo stesso sarebbe nel caso, che il papa cadesse notoriamente e pertinacemente in qualche eresia. Benché allora, come meglio dicono altri, non sarebbe il papa privato del pontificato [potestà di giurisdizione] dal concilio come suo superiore [difatti è inferiore], ma ne sarebbe spogliato immediatamente da Cristo, divenendo allora soggetto affatto inabile, e caduto dal suo officio.”

E’ di rilevanza notevole comprendere, quindi, l’indipendenza che c’è fra la potestà d’ordine e quella di giurisdizione, come è altrettanto necessario, per fede cattolica, accettare integralmente la dinamica monarchica nella successione di Pietro prima e nell’Episcopato poi, la sudditanza totale ed esclusiva al Pontefice. Cristo conferisce il potere di giurisdizione a Pietro, questi ai Vescovi. Non viceversa, né necessariamente in contemporanea all’Ordine episcopale.

Difatti, come feci già presente nello studio sulla “Perpetuità ed immutabilità della Chiesa” [5] il Barbier specifica (Tesori di Cornelio ALapide, V. Chiesa):

La Chiesa cattolica, apostolica, romana rimase invariabile da Gesù Cristo in qua per la sua unità nella fede, nei sacramenti, nelle sue leggi, nel’ suo capo. Ella ha veduto succedersi alla sua testa una non interrotta genealogia di sommi Pontefici e di vescovi; noi ne siamo certi per le storie e per i monumenti autentici che ci notano la successione dei primi pastori non solamente di secolo in secolo, ma di anno in anno. E non importa se si è talvolta protratta per mesi ed anche per anni l’elezione di un nuovo Papa, o se sorsero antipapi; l’intervallo non distrugge la successione, perchè allora il clero ed il corpo dei vescovi sussiste tuttavia nella Chiesa, con intenzione di dare un successore al defunto Pontefice non appena le circostanze lo permettano.

Quindi chiara la distinzione: il papato “poggia” sulla giurisdizione e non sull’ordine.

In Denzinger (H2ba): “Il Papa ha ricevuto direttamente da Cristo l’intero suo potere giurisdizionale” [Lettera a Mekhithar, katholicos degli armeni, Clemente VI, Denz. 1054; Concilio di Costanza, contro John Wyclif, Denz. 1187; Pio VI, Exequendo nunc, Denz. 2592; Concilio Vaticano I, Pastor Aeternus, Denz. 3060, 3061; 3113] (I due ultimi documenti citati sono particolarmente chiari ed essenziali per contrastare ancora oggi le eresie Gallicane e della Collegialità).

Quanto alla potestà di giurisdizione nell’Episcopato, devo dire che il Denzinger (revisione Karl Rahner, “postconcilio”) diventa più confusionario, quasi poco chiaro (o ambiguo), o forse sono io che sono ignorante e non capisco. In questo contesto mi è stata molto utile la rivista teologica e di attualità Sodalitium che ha fugato ogni mio “dubbio”. Si legge …

La dottrina della Chiesa (cf can. 108 § 3 del CjC, 1917): “Per divina istituzione, la sacra gerarchia è composta, in ragione dell’ordine, di vescovi, sacerdoti e ministri; in ragione della giurisdizione del pontificato supremo e dell’episcopato subordinato”. Non a caso, questo canone non ha un canone corrispondente nel nuovo codice del 1983 di Giovanni Paolo II (aggiunge il redattore). 

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Pare che con il Concilio Vaticano II (lo vedremo) questa regola di fede sia stata in qualche modo “innovata”. Secondo J. Ratzinger, la totale subordinazione dell’Episcopato al Pontefice quanto al potere di giurisdizione, quindi probabilmente l’Istituzione monarchica stessa, sarebbe un’aggiunta postuma di epoca medievale:

La Chiesa diventa per così dire la Chiesa particolare, propria dell’imperium germanico (…) La Chiesa è ora un apparato giuridico, un tessuto di leggi, di ordinamenti, di diritti da rivendicare, che in linea di principio sono caratteristici di qualsiasi società (…) l’Eucaristia stessa è spezzata in riti distinti (…)io credo che bisognerebbe avere l’onestà di riconoscere e vederela tentazione di Mammona nella storia della Chiesa e di vedere come realmente sia una potenza che ha agito in maniera deformante sulla Chiesa e sulla teologia e che le ha corrotte fino al loro centro più intimo: la separazione tra il ministero come diritto e il ministero come rito è stata mantenuta da rivendicazioni di prestigio e da preoccupazioni di sicurezza finanziaria ” [V. nota 3, p. 25 e 26; J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale, Morcelliana, Brescia, 1986, pp. 147 – 150].

Nel 2005 Benedetto XVI, o chi per lui, sostituisce la tiara monarchica con la mitra nel suo stemma. Già Paolo VI aveva venduto la sua tiara al cardinale Francis Joseph Spellman, arcivescovo di New York, utilizzandone il ricavato per le missioni africane. L’uso del triregno è sostituito con quello della comune mitria.

Difatti in Lumen Gentium, al n° 21 del cap. III si legge:

Insegna quindi il Santo Concilio che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, somma del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio”.

Ancora, Il canone 375 § 2 del nuovo Codice di Diritto Canonico, 1983, recita:

Con la stessa consacrazione episcopale i Vescovi ricevono, con l’ufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e governare, i quali tuttavia, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio”.

Ricordiamo che gli uffici di “governare ed insegnare” corrispondo alla potestà di giurisdizione, potere che viene conferito da Cristo al Pontefice, e dal Pontefice ai Vescovi, così come abbiamo studiato, e non “con la stessa consacrazione episcopale”, ma in momenti anche differenti ed i due poteri possono inoltre aversi indipendentemente.

Viene inserito inoltre il concetto di “Collegio” episcopale che era totalmente ignorato dal CjC del ’17. Il commentatore di Sodalitium fornisce un’analisi dettagliata e nutrita di note e citazioni, quindi rimando i lettori al testo per approfondimenti. Si riporta anche la dottrina di San Leone Magno e di S. Innocenzo I, che certo non erano “medievali germanici”, con espliciti riferimenti che meglio chiariscono i motivi per i quali “la giurisdizione dei Vescovi non viene direttamente da Dio con la consacrazione episcopale, ma mediatamente, tramite il Papa”.

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Pio VI nel Breve Deessemus: “ricordava al Vescovo ribelle di Mottola, Stefano Cortez (alias Ortiz), che la dignità episcopale quanto all’ordine, viene immediatamente da Dio, ma quanto alla giurisdizione viene dalla Sede Apostolica”. Contro il canonista massone Eybel, sempre Pio VI: “Da lui (il Romano Pontefice) gli stessi Vescovi ricevono la loro autorità, come egli ricevette da Dio il suo supremo potere”.

Non è mia intenzione duplicare, quindi credo che questo breve studio possa ritenersi concluso, non prima di ricordare al lettore che la medesima dottrina è stata sostenuta – come richiama nel dettaglio Sodalitium – da Papa Pio XII per ben tre volte: Mystici Corporis del 29 giugno 1943; Ad sinarum gentem del 7 ottobre 1954; Ad Apostolorum principis del 29 giugno 1958.

Differenza e totale indipendenza della potestà d’ordine e di quella di giurisdizione, che sono evidenti anche e anzitutto nella figura del Pontefice. Pio XII, difatti, ricorda che

Se un laico venisse eletto Papa, egli non potrebbe accettare l’elezione se non alla condizione di essere atto a ricevere l’ordinazione e disposto a farsi ordinare (…) Il potere di insegnare e di governare, come il carisma dell’infallibilità, gli sarà accordato all’istante della sua accettazione, anche prima dell’ordinazione”.

Daltronde senza questa distinzione oggettivamente essenziale, crollerebbe probabilmente l’edificio monarchico che è la Chiesa di Cristo; Leone XIII, Satis Cognitum:

Deve dunque Gesù Cristo aver preposto alla Chiesa un sommo reggitore a cui tutta la moltitudine dei cristiani sia sottomessa e obbedisca. (…) Quale sia poi questo potere, a cui debbono tutti i cristiani debbono obbedire, non si può altrimenti determinare che dopo aver esaminata e conosciuta la volontà di Cristo. (…) prima di privare la Chiesa della sua corporale presenza gli fu necessario destinare qualcuno che in suo luogo ne avesse cura. Quindi disse a Pietro prima dell’ascensione: pasci le mie pecore. Gesù Cristo quindi diede alla Chiesa per sommo reggitore Pietro (…). E infatti fece quell’insigne promessa a Pietro, e a nessun altro: Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa (Mt 16, 18).

Credo che la vicenda della ribellione olandese, primo dei tanti esempi che oggi è possibile citare, sia diretta conseguenza della Collegialità molto prossima all’Episcopalismo; demolita la struttura monarchica della Chiesa, annientata la tiara, creduto il Primato di Pietro quale di “mero onore“, quindi minato il DOGMA, i frutti non possono essere altro che satanici, di odio, di separazione, di scisma e di perdizione. Ripeto, mi permetto esclusivamente di ipotizzare, nulla di più (non voglio sconfinare oltre i miei doveri ed inoltre credo di non averne neanche le competenze) …

 Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)

Note:

[1] https://www.radiospada.org/2013/08/sulla-necessita-dellinfallibilita-del-pontefice-e-sulla-condanna-della-collegialita/

[2] https://www.radiospada.org/2013/07/j-ratzinger-e-il-primato-di-pietro/

[3] Sodalitium, anno XXII, n°1, Febbraio 2006, p. 24

[4] https://www.radiospada.org/2013/08/sulla-necessita-dellinfallibilita-del-pontefice-e-sulla-condanna-della-collegialita/

https://www.radiospada.org/2013/06/linfallibilita-della-chiesa-e-del-papa-magistero-universale-e-ordinario/

[5] https://www.radiospada.org/2013/09/sulla-perpetuita-ed-invariabilita-della-chiesa-anche-in-caso-di-sede-vacante/

Bibliografia:

Marek Sygut, Natura e origine della potestà dei Vescovi nel Concilio di Trento e nella dottrina successiva (1545 – 1869), Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1998 (RICERCA MOLTO UTILE, FONTE PRINCIPALE del mio studio)

P. Ballerini, Apologia sulla infallibilità pontificia, Francesco Bernardi, Verona, 1829, con Imprimatur

Ab. Barbier, I Tesori di Cornelio ALapide, ver. italiana a cura del sac. Giulio Albera, Vol. 1, Società Editrice Internazionale, 1948, con lettera introduttiva a nome di SS. Papa Pio IX

Sant’Alfonso Maria de Liguori, Verità della Fede, Storie delle eresie, Varie edizioni

Il romano pontefice vero vescovo di tutta la Chiesa universale di Gesù Cristo, trattato teologico, Poggioli, Roma, 1803, con approvazione

Sodalitium, anno XXII, n°1, Febbraio 2006