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«Quale paradiso è mai quello che si acquista al prezzo della salvezza eterna?»

Ogni volta che entro nell’aula studio sento sempre lo stesso odore.
Penetrante, dolciastro: cannabis.
Proviene da quel gruppo di ragazzi vestiti in modo “alternativo” (rasta, espansioni, maglie di gruppi musicali ma sentiti nominare…), buttati a fumare stravaccati su sedie e divanetti.
A volte leggono (sempre libri alternativi, ovvio: Mull, Saramago ed Hesse sono molto quotati).
Se vi avvicinaste per chiedere loro se si sentono rivoluzionari, vi risponderebbero di sicuro “sí”.
Non so perché, ma  questi “rivoluzionari” sono quelli che consumano piú erba. Forse si sentono diversi, credono di sputare sulla società borghese che tanto detestano (sebbene non abbiano alcuna idea costruttiva su come renderla migliore. Sputare invece è facile, la saliva è gratis), ma per il momento la loro rivoluzione consiste nell’occupare interi settori dell’università, ricoprirli di graffiti e murales antireligiosi e adesivi antifascisti, e poi portarci dei divanetti per fumare piú comodamente discutendo di alta filosofia (sí, certo, molti di loro si dicono “filosofi” e discutono di Hegel come se fosse un loro amico d’infanzia… Il fatto che stiano all’università da cinque anni e abbiano dato quattro esami è secondario).
Propongo di regalar loro delle vanghe.

Comunque, parlavamo di cannabis, erba o hashish che dir si voglia. È uno degli stupefacenti piú diffusi tra i giovani: economico, efficace, relativamente “sicuro” (non provoca dipendenza ma assuefazione solo dopo un consumo prolungato, spesso di anni, e inoltre non produce veri e propri stati allucinogeni, ma permette di mantenere una certa coscienza). Ovviamente, la cannabis è altrettanto infida delle altre droghe e forse ancora piú insidiosa, proprio perché considerata poco pericolosa ed essendo cosí diffusa (alle feste gira come coca cola).
La domanda è: perché è pericolosa?
Perché, come tutte le altre droghe e dipendenze conduce all’inferno, ma in modo piú sottile, meno appariscente, se vogliamo.
La cannabis è la porta su un mondo dove il potere della mente si moltiplica: la musica si trasforma in colore, il colore in musica, gli oggetti della vita quotidiana assumono forme bizzarre e fantasiose. Ma c’è sempre un prezzo: la volontà si annulla.
I pensieri vanno e vengono nella mente senza che si possa in alcun modo comandarli o fissare la propria attenzione su qualcosa in particolare.
Dicono che la cannabis non produce stati allucinogeni: in effetti, essa ha piú che altro il potere di gonfiare a dismisura il nostro io, con i suoi sentimenti e pensieri, dandogli l’illusione di possedere il controllo assoluto sulle cose esterne (Ahimé, vana illusione: privo della volontà, quale tipo di controllo potrà esercitare?). L’uomo viene proiettato in uno spazio superiore in cui nulla può ferirlo né farlo soffrire. Anzi, egli sente un amore filantropico e benevolo nei confronti di tutta l’umanità, tanto si sente distaccato dal numero dei comuni mortali: nessuno sente ciò che egli sente, nessuno prova ciò che egli solo prova.
E si crede diventato un Dio, mentre in realtà è solo uno schiavo.
«I veleni eccitanti —diceva Baudelaire (che di droghe se ne intendeva)— mi sembrano non soltanto uno fra i mezzi piú terribili e sicuri di cui disponga lo spirito delle tenebre per arruolare ed asservire la miserevole umanità, ma anche una delle sue più perfette incarnazioni».
Infatti, logicamente, se l’uomo rinuncia alla volontà, rinuncia alla sua capacità di esercitare una scelta.
E dopo raggiunto l’annullamento nirvanico della volontà, perso nel suo Io moltiplicato a dismisura, non cercherà piú Dio altrove se non in sé stesso e dunque, dal momento che «chi non è con me, è contro di me», finirà per passare sotto l’altro stendardo.

«Chi rinuncia alle condizioni della vita, vende l’anima sua».
Tutti desidereremmo un posto dove fuggire quando stiamo male, ma (suono prosaico dirlo, lo so) la vita va affrontata in ogni sua manifestazione: i momenti di dolore e di amarezza sono il fuoco nel quale Dio ci tempra, per renderci piú forti.
Onde per cui, fuggire significa rinunciare, alzare a prescindere la bandiera bianca, rendersi sordi alla voce di Dio.

«Questi sventurati che non hanno né digiunato, né pregato e hanno rifiutato la redenzione tramite il lavoro, chiedono alla magia nera (ndr la droga) i mezzi per elevarsi di colpo all’esistenza soprannaturale».
In effetti spesso questi cannati/filosofi/rivoluzionari non sono del tutto atei, ma credono in un soprannaturale vago e indistinto, tra il Buddha, il karma, l’hari-krishnianesimo e via dicendo. La cannabis assume per loro il valore mistico di un ponte tra il reale e questo vago “divino”.
Addirittura, molti di costoro ammirano Gesú come figura storica, mitologica o poetica (a credere che sia Dio non ci arrivano), lo considerano un rivoluzionario come loro, un precursore del comunismo («il discorso della montagna!!») una specie di figlio dei fiori, messia dell’era dell’Acquario. Jesus-Christ Superstar regna, insomma.
In effetti Gesù era un rivoluzionario, per il semplice e ovvio fatto che era Dio e che il mondo (da sempre governato da quel principe che ben conosciamo) va contro Dio.
Però in fondo (molto in fondo forse) credo che tutti questi giovani cerchino qualcosa, ma dalla parte sbagliata: forse stanno cercando un Ideale vero in cui credere, che non si chiama Stalin e non può morire, magari —forse non hanno il coraggio di ammetterlo nemmeno a se stessi— cercano Dio. Non Krishna né Buddha, ma il Dio incarnato e fatto Uomo. Ma non vogliono saperne delle conseguenze che il credere in un tale Dio comporta.
E così accendono una canna e via, tutto diventa possibile, anche vivere senza di Lui.
Ma la loro ribellione è come il fumo dell’erba dei sogni, è il velo di Maya che nasconde l’essenza delle cose.

Ehi fratello, perché non provi a mollare la ganja e a farti una dose di realtà? Funziona.

Vic