[Dopo una prima lettera, a cui ha replicato Filippo Savarese, riceviamo e pubblichiamo dal sig. Dal Bosco.]

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Carissimi amici di Radiospada,
mi si consenta di controreplicare, articolando il discorso in vari punti, al comunicato del Sig. Savarese, portavoce di Manif Italia. Toccherò sia questioni sollevate dal messaggio del portavoce di Manif sia questioni da me precedentemente portate alla luce ma che il Savarese non ha trattato.
Andiamo con ordine.

1) L’«insperato successo» di «alcune migliaia di persone» partecipanti di cui scrive il Savarese parrebbero essere un caso di infrazione dell’ottavo comandamento.
Ho rifatto oggi un giro di telefonate a persone che hanno partecipato alla Manif, e tutti mi hanno assicurato che si può concedere che in piazza vi fossero al massimo 500 persone. Credo dunque sia anche il caso di smettere di urlare al «complotto dei giornali che non parlano di Manif»: non ne parlano perché un evento da 500 persone è per lo più insignificante, un assembramento più scarso di quello creato da una partita di pallavolo femminile. I giornali c’erano, e la prova è che il vaticanista Marco Tosatti ha pubblicato in real time su Lastampa.it le foto del grande Cardinale Burke tra i partecipanti. Non parlando della poca gente (il cui esiguo numero è peraltro assolutamente visibile dalla foto allegata all’articolo) in realtà i giornali hanno davvero graziato la Manif. Altro che cospirazione: «se c’erano 4.000 persone come dice Avvenire io sono alta un metro e ottanta» mi ha detto una partecipante della Manif che a questa misura arriverebbe solo se indossasse un impossibile tacco 14. Qualcuno mi ha suggerito l’idea che Avvenire avrebbe copiato semplicemente il dato del comunicato di Manif. Sulla ragione per cui questo numero pompato sia stato rilanciato com’è dal giornale dei vescovi – abituato a ridurre certe cifre – lascio galoppare l’immaginazione del lettore.

2) «La Manif Pour Tous Italia sta riempiendo uno spazio del dibattito pubblico italiano che si candidava a rimanere colpevolmente vuoto»: scrivendo questo Manif incorre nel peccato capitale della Superbia. Davanti ad una tale roboante dichiarazione non è dato di sapere infatti come debbano reagire i soggetti che in questi mesi tanto si sono spesi – e con più sostanza, e più successo – nella lotta all’avanzata del Gender.
Penso soprattutto alle sigle aderenti, di cui ho pure descritto le magagne, ma ai cui militanti non posso non riconoscere un certo attivismo, e che ora mi tocca pure di difendere. Penso alle Sentinelle in piedi, che sono partite con una azione concreta – e scenograficamente meno fallimentare – da diverso tempo.
Penso al MEVD che con Famiglia Domani (la quale non credo abbia aderito a Manif) ha organizzato a Verona un Convegno sul Gender di poderose dimensioni, dove se tutto va bene c’erano davvero più spettatori che alla Manif. Penso agli altri convegni sul tema a Milano, e al caso del Campidoglio negato per una conferenza stampa a Roma. Penso all’esempio vivente di un’altra organizzazione aderente, il Gruppo Lot di Luca di Tolve, un ente incredibile che la battaglia in questione la affronta nella carne da anni.
Insomma, qualcosa sul tema si era fatto, la gente si era spesa anche alacramente, con molto più successo di pubblico e di stampa di Manif (penso soprattutto al caso di Verona). Non so se un rappresentante del MEVD sia intervenuto ai microfoni alla Manif, non so quanto abbia parlato Luca di Tolve, ma so che il discorso di Pietro Invernizzi delle Sentinelle in piedi è stato interrotto con i classici gestacci («e taja!»). Invece proprio i politici, che in questi mesi sul tema non hanno fatto nulla (se non, come Gigli, hanno fatto danno concreto), credo abbiano parlato tutti tranquillamente. “Colpevolmente vuoti”, dunque, sono i parlamentari – molti dei quali da molti cattolici sono chiamati anche “traditori” – di cui Manif doveva essere, negli intenti, la scintillante vetrina popolare.

3) «Proprio a motivo di queste finalità specifica, non c’è cosa più rischiosa che iniziare ad installare dogane per permettere l’adesione alle iniziative de La Manif. Chiunque può partecipare, se condivide il fine». Benissimo, Manif raccolga questa sfida allora: faccia entrare Forza Nuova tra i suoi partecipanti alla prossima manifestazione: mettano il suo nome sul volantino assieme a quello delle altre associazioni, o quantomeno faccia parlare un suo rappresentante dal palco come si è fatto con tutta la serqua di politici che abbiamo visto. Sul serio: Forza Nuova ha la medesima posizione di Manif sulle “famiglie” omosessuali, e non si capisce perché quindi deve comiziare Gigli (tecnicamente quasi un “padre” della legge Scalfarotto) e non qualcuno che invece che mai nella vita ha operato per far passare questa legge.
Se Forza Nuova non va bene perché extraparlamentare, si scelga qualche altro personaggio magari anche da quel segmento verde di arco costituzionale che con Fedriga e Molteni già frequenta la Manif: si prenda, ad esempio, l’ex sindaco leghista di Treviso Giancarlo Gentilini. Se c’è qualcuno che si è battuto per la famiglia tradizionale, anche con sortite “calde” davvero, quello è Gentilini. Immaginando che la prossima volta arrivi dal Veneto a Roma portando diversi pullman di suoi sostenitori, lo si farebbe parlare sul palco di Manif poco prima di Volontè? Un domani potrebbe tornare in sé e ritirare le sue recenti affermazioni filo-gay anche Borghezio: attenderemo alla Manif anche un suo comizio subito dopo Gigli? E se un giorno bussasse anche Casapound? E il Veneto Fronte Skinheads? Padre Floriano Abramowicz? La Westboro Baptist Church? Tutti sul palco?
Quanti altri personaggi e sigle “scomodi” devo tirare fuori perché si capisca quanto pretestuoso è il discorso di Manif di pretendersi “aperta” quando invece è asservita agli interessi particolari dell’attuale potere mainstream?

4) Caso Gigli. Dispiace che il Savarese non abbia letto bene, ma nella mia precedente lettera (se la vada a rivedere) riportavo proprio il vero. Non ho detto infatti che Gigli ha votato la legge (prima di scrivere in genere controllo un po’ le fonti, e in questo caso è stato consultato un noto avvocato vicino proprio a Manif): Gigli ha fatto qualcosa di molto più allucinante – ha reso possibile il ddl Scalfarotto e poi non l’ha votato, in un capolavoro assoluto di opportunismo politico, un’inarrivabile performance polimorfismo democristiano. Spero che prima o poi a coloro che hanno lasciato intervenire Gigli dal palco (senza tirargli, chessò, dei finocchi, come facevano un tempo gli estremisti alle premières di Pasolini) e soprattutto a coloro che lo hanno invitato entri in testa la cosa, una volta per tutte: Gigli è uno dei padri della legge Scalfarotto. Lo rivendica lui stesso appena dopo il voto in aula a settembre: «il testo sul contrasto all’omofobia licenziato oggi dalla Camera è profondamente diverso rispetto a quello inizialmente depositato. Particolarmente ridimensionato ne appare l’impianto ideologico, mentre molto potenziate sono le garanzie per la libertà di opinione e di insegnamento (…) Il raggiungimento di questo risultato è stato reso possibile da un intenso lavoro con il quale è stato attivamente ricercato un difficile consenso, coagulatosi infine attorno al subemendamento proposto dall’on. Gitti, con il quale sono stati recepiti i contenuti degli emendamenti di salvaguardia presentati in precedenza (in particolare dallo stesso on. Gigli, ndr)». Il Gigli, in pratica, si vanta del proprio apporto alla legge, cioè il suo ridicolo emendamento cosmetico, senza l’effetto del quale, a pensarci, non si sarebbero create le condizioni di voto per il resto SC e fors’anche per i cattolici PD. L’ineffabile deputato montiano esterna quindi «la soddisfazione per aver contribuito a limitare il danno, tenendo conto dei rapporti di forza in Parlamento che avrebbero potuto far passare comunque una legge ben peggiore». Eccolo, il compromesso, la riduzione del danno, il male minore. Ma è a questo punto che c’è il colpo di scena: Gigli, quello che alla discussione alla Camera il 5 Agosto aveva detto «sarebbe bello (…) poter vedere questa legge approvata da un larghissimo schieramento», quello che si vanta di essere materialmente uno dei fattori di questa legge, dice che «essa potrà essere usata per aprire, per via giudiziaria, varchi nell’attuale diritto di famiglia» (tutto queste dichiarazioni le trovate qui). Al lettore spaesato assicuriamo che non si tratta di un caso di schizofrenia: si tratta di una manovra a suo modo sopraffina, l’acrobazia del Gigli di lotta e di governo. In pratica, spianando il percorso della legge ha obbedito a chi voleva una resistenza semi-simbolica a base di emendamenti (è la linea seguita in modo più deciso da un altro che dicono piaccia ai vescovi, il suo compagno di partito Lorenzo Dellai, ex DC fan della RU486); rifiutandosi di firmarla all’ultimo momento, il Gigli si lascia aperta la possibilità di fare ancora la vedette della piazza cattolica, per esempio alla Manif. Non so se gli organizzatori di Manif conoscono il passato del loro Gianluigi: Gigli si impose all’attenzione nazionale – probabilmente guadagnando lì l’accesso porcellum al parlamento nel partito di Todi SC – con il caso di Eluana, quando si lanciò come attivissimo, esagitato raìs cattolico in camice bianco, disposto ad azioni eclatanti per fermare l’omicidio della ragazza nel “suo” Friuli. Prese delle denunce (era l’epoca in cui Beppino Englaro denunciava anche il tabaccaio se lo guardava storto…), ma nessuna – chissà perché – finì in qualcosa di serio.
Ecco, il lato di cattolico di piazza di Gigli – quello per cui con probabilità fu notato dal CT della Nazionale neodemocristiana – non votando la legge Scalfarotto, da lui stesso in parte scritta (!) come rivendicato con orgoglio, è salvo. Il prodotto Gigli, catto-leader sintetico, è pronto per essere ripiazzato sul mercato, e abbiamo visto che gli acquirenti mancano.
Aggiungo un ricordo personale su Manif e Gigli. Dovete sapere che io stesso partecipai alla Manif in passato: il sit-in del 25 luglio davanti a Montecitorio, la première della Manif Italia. A quel tempo si era tutti imbavagliati, e della serqua di politici inservibili che poi avrebbero fatto la parte del leone alla Manif di sabato scorso, praticamente non v’era traccia. A parte Gigli, che con una impudenza immane fece un giro di perlustrazione poche ore dopo aver detto alla conferenza stampa dei Giuristi per la Vita – sentito con queste mie orecchie – che avrebbe votato il ddl Scalfarotto e che (non solo il sottoscritto in sala era esploso in una evidente protesta) noi cattolici dovevamo rassegnarci perché oramai «siamo una minoranza». In quella sala dell’Hotel Nazionale credo vi fossero anche alcuni dirigenti di Manif Italia, perché alla fine della conferenza lessero un comunicato per lanciare il sit-in della sera stessa.
Che non abbiano sentito quel che diceva Gigli? Che abbiano dimenticato le proteste della sala? Che non riescano a resistere al suo fascino magnetico? Che glielo abbia “consigliato” qualcuno?

5) Rinuncio a chiedere chi abbia passato alla Manif l’esigenza di far intervenire dal palco il sig. Guido Guastalla, l’ebreo errante del mondo prolife italiano: vedermelo spuntare un po’ dappertutto, nei siti ciellini e nella lista pazza di Ferrara come pure in qualche altro evento venturo mi aveva altresì causato della curiosità, in ispecie per la sua apologia del suo ottocentesco concittadino rabbino Elia Benamozegh, che in quanto cattolico mi considera «scimmia rispetto all’Uomo» che è la persona ebraica. Pazienza. Se mi rifilate la solfa dei valori condivisi e del pluralismo giuro che mi accontento.

6) Voglio invece spendere una parola su Homovox. Non mi è chiara la situazione: ho sentito parlare la vecchia portavoce della Manif francese Frigide Barjot di assemblee dove i Manif transalpini applaudivano coppie gay che si abbracciavano e si dichiaravano amore eterno dopo aver fatto professione di supporto alla famiglia naturale père et mère.
Quella, mi vien da dire, è la Francia. Vogliamo che sia così anche l’Italia?
La direzione di Manif Italia deve infatti chiarire se considera l’omosessualità come condizione “naturale”, quindi pienamente rispettabile come scelta di vita. Crediamo di sì, altrimenti non avrebbe dato il palco ad Homovox, i “contronatura per la famiglia naturale” (un po’ come i “marxisti per Tabacci”, i “nazisti per il Talmud” o i “Pisani per Livorno”). Ci pare di capire che si dà caso che esista una “via Manif all’omosessualità”. Si può essere omosessuali e perfettamente accettati pubblicamente dalla società: ecco il terzo sesso, e il quarto, il quinto e via aumentando a seconda di quanto ancora aumenteranno le lettere della sigla LGBTQIQ. Se è così, se l’omosessualità è una condizione naturale pienamente ammissibile dal consorzio sociale, ci chiediamo: perché mai la legge naturale dovrebbe discriminarli?
Se invece si ritiene – come fa il magistero della Chiesa Cattolica e pure certa psicanalisi – l’omosessualità come una patologia o un disturbo che confligge con la società e ancora prima con la psiche della persona stessa, perché mai si dovrebbe prendere a pubblico esempio un soggetto affetto da un tale squilibrio, invece di soggetto che questo squilibrio lo ha, magari con molto dolore, risolto? Se l’omosessualità è una perversione – come si sosteneva nei libri di psichiatria fino a poco fa – perché mai uno che ne è affetto dovrebbe pontificare da un palco pro-famiglia? Perché sì ad un Homovox e no a un Sado-masovox? Perché quindi non un Guardonvox, un Onanvox, un Orgiavox?
Delle due l’una: con o contro Sodoma? Si spieghino.
Così potremmo capire meglio anche la non troppo sbandierata presenza alla Manif, certo non pubblicizzata come quella degli Homovox, del benemerito Gruppo Lot del bravo Luca Di Tolve, che propone la prospettiva della cura dell’omosessualità per tramite della “terapia riparativa”: ossia della sua soluzione, non del suo “addomesticamento”. Quale idea dobbiamo farci se sul sito di Manif (e su Il Foglio) finisce la testimonianza dell’Homovox Delaume-Myard (così prodigo di ringraziamenti all’on. Volontè…) e non quella – più autentica, risolutiva – di Luca Di Tolve?.

7) «Ci auspichiamo un nuovo Family Day? Assolutamente si!». Questa ammissione non fa che testimoniare proprio quello che si ostenta a negare il Savarese, e cioè che Manif va «in piazza per lanciare assist ad una formazione politica formata o “formanda”». Che un venturo Family Day si configuri come una formazione politica formata e formanda – un vero blocco, in realtà – penso sia chiaro a chiunque: basterà guardare i nomi di chi aveva animato l’ultimo Family Day per capire di che si tratta. Alcuni dei nomi del 2007 – guarda guarda – sono gli stessi del palco della Manif.
Ciò conferma la previsione riguardo l’imminente inevitabilità di un evento-massa che vada a vidimare la truppa neo-DC. Ho già scritto che l’idea del Family Day nei circoli dell’NCD e dei movimenti affini (come Alleanza Cattolica) circola da mesi, e che è stata rilanciata fortemente dal palco della Manif e perfino dal sito di Radio Vaticana quando parla, senza nominare il flop di partecipazione, del sabato della Manif (vale la pena vi guardiate la pagina con la notizia: per non mettere foto della magra affluenza alla Manif Italia, Radio Vaticana ha messo una fotina della Manif francese, con la gente in maniche corte – qualche santo in paradiso questi ragazzi devono avercelo). Sarebbe davvero bello se gli organizzatori della Manif condividessero con il pubblico le riflessioni in merito fatte anche con i loro mentori – pardon, ospiti – politici. Immaginiamo infatti con quale nostalgia una oratrice della Manif, l’on. Eugenia Roccella, ricorda il Family Day, di cui era portavoce assieme al sindacalista Savino Pezzotta. La presenza di quest’ultimo – che fu boss del sindacato con tutta la potenza di fuoco annessa – ci fa capire quanto l’evento, pur grande ed importante, non possa definirsi totalmente “spontaneo”, grassroots, come invece furono le gloriose Manif francesi. Un aiutino istituzionale, d’apparato, insomma, al Family Day sarà arrivato. Diventa enorme a questo punto il dubbio che questa massa che vuole tornare, sintetica o meno che sia, sia poi sviata in un qualche confusionario compromesso di cui sappiamo capaci la Roccella e la fantasiosa compagine democristiana: ricordiamo quando la Roccella per opporsi al progetto Scalfarotto, voleva introdurre l’omofobia come aggravante comune, suscettibile perciò di essere applicata a tutte le fattispecie del codice penale (immaginate: turbativa d’asta con aggravante omofoba, guida in stato di ebbrezza con aggravante omofoba, rapina con aggravante omofoba, bancarotta fraudolenta con aggravante omofoba, abigeato con aggravante omofoba).

8) Caso Volontè. Ho tanto scritto di Luca Volontè nel mio j’accuse, che speravo che una parola su questo misterioso personaggio da parte del Savarese saltasse fuori. Invece niente. Eppure, da tutte le parti raccolgo testimonianze della grande vicinanza di questo euro-personaggio – con l’euro-mandato in scadenza – a Manif Italia. Trovai nella piazza della Manif del luglio scorso un fiancheggiatore dell’evento, un soggetto di un certo livello, che mi disse che Volontè stava dando un “aiuto” alla Manif Italia – lui del resto ama talmente tanto la Manif francese che si presenta su internet con una foto che lo ritrae mentre benedice dall’alto la milionata di manif parigini.
La curiosità verso il personaggio è tanta anche perché in passato, quando era deputato alla Camera, emerse che aveva mandato una lettera ad una quantità massiva di parroci per chiedere di mandargli i testi di giaculatorie per un libro che doveva scrivere. Il tutto con carta intestata della Camera e ovviamente a carico del contribuente: è, certo, una colossale opera di spamming cartaceo effettuata con 39 mila euro danaro pubblico (lo sostiene un sacerdote genovese che si inviperì, Don Farinella) che in realtà sarebbe anche una modalità subdola e furbissima per farsi bei contattoni elettorali.
Ora il Volontè ha fatto il salto evolutivo dello spamming: ha messo in piedi la versione italiana di Citizengo, quindi è entrato nel business contattifero delle raccolte firme online. Firmi la petizione una volta, e la tua email, i tuoi dati e i tuoi orientamenti sono suoi per sempre. Come schedario elettorale, specie adesso che si avvicinano le elezioni europee, niente male davvero.
Capite quindi che vederselo che spadroneggia alla Manif – ma per casualità si aggirava anche a Milano in piazza San Fedele quando le Sentinelle ebbero una incomprensione con Forza Nuova – implica il porsi qualche interrogativo. Tutto qua – avrei interesse a capire come funziona la collaborazione con Volontè: ha aiutato l’acquisto del logo dai francesi? Ha dato qualche consiglio? Ha tirato fuori qualche soldino?
Chiedo….

Infine, un’ultima parola sulla solita lagna, quella contro chi vuol «dividere forze ed intenti» con cui conclude il suo testo il Savarese. Dicolo la solita lagna perché pare di sentire quei “cattolici” che rifiutano di parlare di aborto e di eutanasia in quanto temi “divisivi”. In agguato c’è sempre chi tira fuori l’etimo della parola diavolo, dia-ballo, il “separatore”, la rava e la fava.
Va ricordato ora e sempre che su un determinato tipo di “divisione” si è espresso anche il Maestro (Matteo 10, 34-36):

Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.
Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera:
e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.

Sono parole che chi frequenta il sito che ospita questa mia lettera – con quel nome… – forse conosce.
Sì, la spada.
La spada va brandita contro il nemico ma anche in casa. Innanzi all’avversario come innanzi al tiepido, al bugiardo, al vigliacco, al traditore, al confuso, al codardo.
Perché la spada, se è quella di Cristo, rimette le cose a posto, e caccia i nemici che l’uomo non vede anche se vivono nella sua stessa casa.

Roberto Dal Bosco