La Sacra Scrittura ripetutamente ci ammonisce a cercare sollecitamente Dio. Perché, quantunque Dio non sia “lontano” da noi, — l’Apostolo dice che «noi viviamo, ci muoviamo e siamo in Lui» (Act. 17, 28), — noi tuttavia siamo lontani da Lui. E se non disponiamo il nostro cuore ad ascendere Verso di Lui, anzi se non ci procuriamo delle scale per salire al cielo; se non ci mettiamo con tutto l’animo a cercare Iddio, ci succede come al figliuol prodigo che, allontanatosi dal padre per recarsi in paese lontano, si ridusse a pascere i porci.
Per far capire come possa darsi che Dio non sia lontano da noi e noi siamo lontanissimi da Lui, dirò che Dio ci è vicinissimo perché, avendo sempre presenti tutte le cose, sempre ci vede; e non solo ci vede, ma sempre pensa a noi, «avendo Egli cura di noi» (I Petr. 5, 7); e si può dire che sempre ci tocca, perché «ogni cosa sostiene colla sua possente parola» (Hebr. 1, 3).
Noi invece siamo lontanissimi da Dio, perché non lo vediamo e non lo possiamo Vedere, «abitando Egli una luce inaccessibile» (I Tim. 6, 16); anzi, se « non siamo capaci di pensare alcuna cosa da noi come da noi; ma la nostra idoneità è da Dio» (II Cor. 3, 5), tanto meno saremo capaci di giungere a Lui con slanci d’amore e di unirci a Lui s’Egli non ci riceve e ci attrae a sè colla sua destra. Perciò il regale Profeta[1], dopo aver detto: «dietro a Te va anelando l’anima mia», immediatamente aggiunge: «la tua destra mi ha sostenuto» (Ps. 62, 9).
E siamo molto lontani da Dio non solo perché non Lo Vediamo nè Lo possiamo vedere; non solo perché ci riesce difficile pensare a Lui ed elevarci a Lui con gli affetti del nostro cuore; ma anche perché, immèrsi in tante faccende che ci stringono e ci tirano da ogni parte, facilmente ci dimentichiamo di Dio, e le nostre preghiere si risolvono in una fatica delle labbra.
E’ questo il motivo per cui lo Spirito Santo, nelle Sacre Scritture, tanto spesso ci esorta a cercar Dio: «Cercate Dio e l’anima vostra vivrà » (Ps. 68, 33). «Cercate sempre la sua presenza » (Ps. 104, 4). «Buono è il Signore con coloro che sperano in Lui; con l’anima che lo cerca» (Thren. 3, 25). «Cercate il Signore finché lo potete trovare» (Is. 55, 6). «Cercatelo nella semplicità del vostro cuore» (Sap. 1, 1). «Quando avrai cercato il Signore Dio tuo, lo troverai, se l’avrai cercato con tutto il cuore » (Deut. 4, 9),
Tutti i fedeli devono aver questa sollecitudine di cercare Iddio; ma in modo speciale ne hanno il dovere i Ministri della Chiesa; è sentenza dei Ss. Padri Agostino, Gregorio, Bernardo, per non citare che i principali. Essi affermano che l’Ecclesiastico non può esser utile a sè ed agli altri se non ha la cura di nutrire la propria mente coll’assidua meditazione delle cose divine. S. Agostino nel Libro XIX de «La città di Dio» dice che la meditazione della verità richiede molta quiete; e che, se per caso la si deve interrompere per un’opera di carità si badi a non perdere perciò l’unione con Dio. E nel libro X, al capo 40 delle «Confessioni »[2] parlando di se stesso, e della sua frequente meditazione di Dio studiato nelle creature, scrive: «E torno spesso a far questo, che è mia delizia, e sempreché ho un po’ di respiro dalle mie necessarie incombenze, mi raccolgo in questa prossima gioia».
San Gregorio nella sua opera dedicata ai sacri Pastori, dice: «Sia il Pastore a tutti vicino per la compassione; ma più di tutti unito a Dio per mezzo della contemplazione; in modo da accogliere in sè, per pietà verso gli altri, tutte le necessità del prossimo ed elevarsi sopra se stesso per l’altezza della meditazione e per il desiderio delle cose invisibili». Ed aggiunge l’esempio di Mosè e di Cristo. Mosè assai spesso entrava nel tabernacolo e ne usciva; entrava per studiare i segreti di Dio e ne usciva per portar rimedio alle necessità del prossimo. E Gesù Cristo stesso, passava i giorni predicando ed operando prodigi a Vantaggio del prossimo; e passava le notti insonni pregando e meditando.
San Bernardo[3], nelle sue considerazioni a Papa Eugenio[4], che era stato suo discepolo, lo esorta a non darsi interamente all’azione, ma a dedicare qualche ora del giorno al raccoglimento per nutrire il suo spirito col cibo celeste della verità. E, non contento di esortarlo alla meditazione, gli indica anche un buon metodo per tale esercizio affinchè da questo traesse forza di ascendere a Dio e di trasformarsi in Lui coll’intelletto c col cuore.
Nè fa buone le scuse che Eugenio avrebbe potuto addurre, come fanno tanti, delle sovèrchie occupazioni che sono inevitabili nel governo della Chiesa e che non lasciano un briciolo di tempo da consacrare alla meditazione delle cose divine. E’ certo infatti, che, anche tra le più gravi e pressanti occupazioni, si trova sempre il tempo di mangiare, di bere e di dormire. E se il corpo ha diritto di aver cibo e riposo, quanto più lo avrà lo spirito per rifornirsi di energie per soddisfare ai suoi gravi doveri?
Ora, cibo dell’anima è l’orazione, riposo la contemplazione : e sono come ali per ascendere e vedere Dio come si può vedere in questa valle di lacrime. E per noi la scala per innalzarci fino a Dio sono le sue opere. Perché coloro che per singolare dono di Dio furono ammessi al cielo dove videro gli arcani di Dio che non si possono narrare agli uomini, non si dice che ascesero, ma che furono rapiti. Lo confessa di sè San Paolo quando dice: «Fui rapito in Paradiso ed udii parole arcane che non si possono ridire agli uomini» (Il Cor. 12, 4).
Che l’uomo possa ascendere alla cognizione e all’amor di Dio contemplando le sue opere, ce lo attestano il Libro della Sapienza – «Vani son tutti quegli uomini che non hanno cognizione di Dio: e dalle buone cose che si vedono, non son giunti a conoscere Colui che è, nè dalla considerazione delle opere conobbero chi ne fosse l’artefice» (Sap. 13, 1) – l’Apostolo nella sua Lettera ai Romani[5] e la stessa ragione. Dagli effetti si conosce la causa efficiente, e dall’immagine l’esemplare; non si può porre in dubbio che tutte le cose create siano opera di Dio. Che l’uomo e l’angelo poi siano non solo opere di Dio ma anche sue immagini, ce lo dice la Sacra Scrittura.
Tratto da: San Roberto Bellarmino, opera Elevazione della mente a Dio, ed. II, Pia soc. S. Paolo, Roma, 1943, Prefazione, pp. 9-13
vorrei contattarvi per poter comperare il libro : Elevazione della mente a Dio: di san Bellarmino mi potete indicare dove comperarlo perche’ non lo trovo? grazie caterina roma
Eccolo:
http://www.ebay.it/itm/ELEVAZIONE-DELLA-MENTE-A-DIO-RELIGIONE-ALTRE-RELIGIONI-S-ROBERTO-BELLARMINO-/360884968703?pt=IT_Libri_Romanzi_Narrativa&hash=item54066b9cff&_uhb=1
Grazie per l’interessante articolo. Rileviamo che negli Atti non viene riportata n’rodinazione petrina degli Apostoli.
I dodici ricevettero tutti assieme lo Spirito Santo Dio nel giorno di pentecoste e la tradizione crede che in tale occasione Dio abbia ispirato a ciacino di essi una delle dodici righe che compogono il Credo Apostolico. Lo Spirito Santo conferì il dono della profezia e della sapienza ad ognuno di essi, e non solamente al primo papa che fu il primo a parlare alal folla, ma non l’unico. Gli Atti dicono chiaramente che santo Stefano protodiacono e martire fu ispirato da Dio e da un angelo non meno di peitro.
La tradizione afferma che Gesù assegnò ai Dodici una delle Dodici nazioni in cui era divisa la terra. Resta un mistero speigare come vi siano potuti arrivare da Gerusalemme, almeno per quanto non credano alla Sacra Scrittura e al teletrasporto istantaneo dei diacono Filippo da Gerusalemme ad Azòto. La cuas aprima è lo stesso Dio che dopo la Resurrezione appare in lughi differenti (Emmaus e Gerusalemme) muovendosi ocn la velocità del pensiero. La medesima facoltà è propria dell’Arcangelo Raffaele dopo la cacciata del demone Asmodeo in Egitto, descritta nel Libro di Tobia. Il teletrasporto è proprio di qualsiasi angelo, compresa la gerarchia dei demoni, così come di ogni essere umano che come Filippo partecipi in massimo grado la sostanz adi Dio e i Suoi doni. Tale concetto si chiama Comunione dei Santi.E’ più ragionevole credere al telerrasporto nella nube che avvolse Mosè ed Elia sul Tabor piuttosto che alla trasformazione dei pescatori in moderni “Marco Polo”in grado di attraversare l’Asia o l’Europa a piedi e con un pugnale per difendersi (es. san Giacomo epolto qui in zona da dove scrivo) .
Secondo l’articolo, Gesù Cristo Dio istituì il primato di giurisdizione assegnando una meta agli apostoli, mentre Pietro li avrebbe consacrati per imposizione delle mani.
In contrario, Atti 19 mostra che san Paolo battezza i Dodici di Efeso pe rimposizione della mani: il testo parla di secondo Battesimo in acqua e Spirito Santo, successivo a quello di solo acqua amministrato a tali Ebrei dal Battista nelfiume Giordano. Sappiamo quindi che la prima Chiesa Apsotlcia nacque ad Efeso e riprodusse i dodici di Gerusalemme, e che essa fu amministrata da Dodici EBREI-GRECI. Diversamente, dovremmo ipotizare che i Dodici di Efeso siano gli stessi apsotoli di Gesù, raccolti nel primo concilio della chiesa..e tuttavia sarebbe poco ragionevole ipotizzare che Paolo avesse consacrato gli altri, senza essere stato presente nel giorno di Pentecoste. Eppure Saulo era bereo, ancorchè un ebreo greco, come suggerito dal nome, e ed ere uno dei cpai che decisero di far uccidere santo Stefano.
In entrame le ipotesi, Paolo impone e mani PRIMA di incontrare Pietro a Roma.
Sul primato pietrino aggiungiamo una semplice domanda: se erano assegnati agli estremi confini della terra, come potevano comunicare tra loro: per posta o col piccione viaggiatore?? è evidente che la Chiesa primitiva ebbe dodici re con dodici papi e un solo supeiore sorano: lo Spirito Santo Dio che ispirava loro parole ed opere, consentendogli di comnicare tra lorper telepatia, come ogni buon cirsitiano dovrebbe essere capace di fare con Dio e col suo angelo custode. “Ispirazione2 è una parola insulsa e fuorvinte che dovrebbe essere sostituita col temrine “effusione” il quale ci rende consapeovli del fatto che la mente sia l’unico modo di comunicare con sostanze invisibili e incorporee quali sono gli angeli e lo Spirito Santo Dio. La telepatia dovrebbe quindi essere la nroma.
L’ultima domanda rigurda l’opporitnità di distinguere potestà di giurisdizione e potestà d’ordine sena stabilire una gerarchia delle fonti del diritto. Se Cristo stabilì la giurisdizione dei Dodici, mentre Pietro si occupò di consacrarli, allora la giurisdizione ha il primato sull’ordine poichè venne diretamente da Dio e tale schema di cause-effetti si deve replicare anche con tutti isuoi successori. Infatti, la chiesa ha sempre condannato la piaga dei “clerici vagantes”, dei consacrati privi di una parrocchia o di una diocesi a cui sovrintendere. Del resto, è naturale che sia così: se il Sommo Pontefice è “servus servorum Dei”, anche i suoi vescovi necessitano di una giurisdizione cui sovrntendere per servire Dio nel prossimo. Diversamene, il sacramento dell’ordine, privato di unagiurisdizione, rischierebbe di trasformarsi in un privilegio privato, ftto d titoli, otti, araldica e onori, ma privo di corrispondenti obbligazioni da assolvere. Si creerebbe una csta sacerdotale identica a quella dei brahmini indiani o al clero di chiese non cristiane caratterizzato dall’assenza di una giurisdizione univocamente definita.
Se quindi i vescovi ordinati necessitano di una giuridisdizione di una diocesi di assegnazione, non è vero il contraio:possiamo avere vecovi “de facto”, ma non “de iure”,quali furono e saranno i missionari conacrati diaconi o pesbiteri che si sono storicamente trovati e che anche in futuro si troveranno ad amministrare diocesi grndi quanto una provincia ecclesiasitica di grandi dimensoni. in questo caso, la distinzione arriva in soccorso della chiesa: si pensi all’Anticristo in Vaticano o a un papa non santo che ha tradito Cristo per Lucifero…i i vescovo che nominerà saranno tutti della sua corrente e verso.
La nozione giuridica di potestà di giurisdizione non permetterà di sottrarre diaconi e sacerdoti dal governo dele regioni che saranno riuscito a evangelizzare e di poter imporre un romano vescove massone e satansita per disperdere il loro gregge.
Ecco perché la distinzione va difesa, ricordando però che esiste un ordine: dobbiamo avere la giurisdizione episcopale senza l’obbligatorietà dell’ordine, mentre dobbiamo proibire che possano esistere vescovi ordinati e per anni privi di diocesi titolare. Aggiungiamo che la giursdizione è part della chiamata. Crsito scelse i nmi dei Dodici, ma anche il luogo nel quale avrebbero esercitato il loro ministero pastrale. Pertanto, il diritto canonico dovrebbe rimettere a Dio -e non ai “capricci” del pontefice- la scelt della diocesi di assegnazione. Nulla ci dice che il Papa sia la persone più titolata a parlare con Dio e a rivelarci tale destinazione dei singoli vescovi. In contrario, la stess averità potrebbe essere al meglio notificata alla gerachia ecclesiastica e alal chiesa universale da un qualsiasi mistico dalla vita santa, inabitato da Dio nel proprio cuore come fu Itala Mela. Per non prlare dell’angelo incarnato che chiude il Vangelo di Giovanni, l’apostolo che mai avrebbe lasciato la chiesa e che si trova in uno dei cardinali del Vaticano. In lui speriamo.