Breve commento critico al significato pratico dell’editoriale: «Contro-rivoluzione liturgica - Il caso “silenziato” di Padre Calmel»

Leggo sul sito Conciliovaticanosecondo.it, l’editoriale «Contro-rivoluzione liturgica – Il caso “silenziato” di Padre Calmel», data 2 febbraio 2014, di Cristiana de Magistris. Mi soffermo su varie proposizioni in articolo, presto rilanciate anche su Facebook con metodo massivo e da numerosi utenti:

  1. «[…] su un punto ben preciso la resistenza di questo figlio di san Domenico raggiunse l’eroismo: la Messa […];
  2. «[…] Il 1969 fu l’anno fatidico della rivoluzione liturgica, lungamente preparata e infine imposta d’autorità ad un popolo che non l’aveva chiesta né la desiderava […];
  3. «[…] Padre Calmel, che con i suoi articoli fu assiduo collaboratore della rivista Itinéraires, aveva già affrontato il tema dell’obbedienza, divenuto nel post-concilio l’argomento di punta dei novatores. Ma, egli affermava, è esattamente in virtù dell’obbedienza che bisogna rifiutare ogni compromesso con la rivoluzione liturgica: “Non si tratta di fare uno scisma ma di conservare la tradizione”»;
  4. «Il 27 novembre 1969, tre giorni prima della data fatidica in cui entrò in vigore il Novus Ordo Missae, padre Calmel espresse il suo rifiuto con una dichiarazione d’eccezionale portata, resa pubblica sulla rivista Itinéraires. “Mi attengo alla Messa tradizionale – dichiarò -, quella che fu codificata, ma non fabbricata, da San Pio V, nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. […] Rifiuto dunque l’Ordo Missæ di Paolo VI. Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, permessa o voluta dal Papa attuale, e che riveste, per il momento, la maschera dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969. È diritto di ogni sacerdote rifiutare di portare la maschera di questa rivoluzione liturgica. E stimo mio dovere di sacerdote rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco. Se accettiamo questo nuovo rito, che favorisce la confusione tra la Messa cattolica e la cena protestante – come sostengono i due cardinali (Bacci e Ottaviani) e come dimostrano solide analisi teologiche [ho aggiunto il link al Breve Esame …., NdA]– allora passeremmo senza tardare da una messa intercambiabile (come riconosce, del resto, un pastore protestante) ad una messa completamente eretica e quindi nulla. Iniziata dal Papa, poi da lui abbandonata alle Chiese nazionali, la riforma rivoluzionaria della messa porterà all’inferno. Come accettare di rendersene complici?».

Fatta salva la ricerca storica, come commentare il significato (o senso) pratico dell’editoriale strumentale? Come commentare questa – certamente involontaria – apologia alla disinformazione neogallicana?

Posto che stimo l’editorialista e mi complimento per la sua ricerca, pertanto – come comunque sempre si conviene – il mio vuol essere esclusivamente un tentativo di confutazione sul piano dottrinale; posto inoltre che affronterò, credo adeguatamente, la materia nel testo di futura pubblicazione APOLOGIA DEL PAPATO per i tipi di EFFEDIEFFE, adesso proseguo …

Risposte brevi:

*** 1) Il senso pratico dell’editoriale spinge il lettore oltre, fino a travalicare il limite – nei diritti e nei doveri – rispettivamente di Chiesa docente e di Chiesa discente. I sostenitori di siffatte oscure e già condannate ipotesi (qui strumentalizzate a mo’ dogma) facilitano tanta belligeranza, dunque, fra Chiesa docente e Chiesa discente, mutilando, depravando o alterando l’ecclesiologia.

Il Decreto della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio  del 3 luglio 1907, «Lamentabili Sane Exitu»[1] già condanna determinate proposizioni poi riesumate dal neo Modernismo, ed oggi in qualche maniera vendute per «tradizionalismo»: 

       «Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. […] Le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto: – n° 6 “Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente”; – n° 7 “La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati”; – n° 8. “Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane”; – n° 53. “La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione”; – n° 55 “Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa”».

Stando al parere personale di alcuni – in un certo senso – addirittura oggi il «gregge» (Chiesa discente) diverrebbe «infallibile» mentre la «colonna» (Chiesa docente) sarebbe «fallibile» e ciò  secondo lo spirito incarnato appunto dal Modernismo […] o comunque celebrando astutamente le più perniciose proposizioni procacciate dal Protestantesimo [2] dietro svariate facce ed oggi riciclate maldestramente ma con abbondante convincimento pubblico. Probabilmente tutto ciò accade anche dietro parvenza di «tradizionalismo», perfino dietro la mascherina di una certa apologia della «Messa di sempre»[3]. (Cf. Apologia del Papato, C. Di Pietro, EffediEffe, pp. 8 ss.) 

*** 2) Brevemente introduco dei concetti di Magistero attingendo alla nota «Enciclopedia del Papato»[4]. Si legge sull’obbedienza che si deve al Papa (ed al Magistero):

       «[…] Di fronte a una parola o a un Documento pontificio il cristiano dovrà regolare la sua sottomissione e il suo assenso non tanto tenendo conto dell’argomento trattato, cioè dell’oggetto materiale che esso tocca, quanto dell’autorità, delle intenzioni che esso manifesta» 

Sotto quali forme e da quali segni si riconosce l’autorità pontificia nell’esercizio della funzione dottrinale? 

       «[…] le definizioni ex cathedra non sono le sole manifestazioni del Magistero apostolico che s’impongono al rispetto, all’obbedienza, al religioso assenso o alla fede esplicita dei fedeli. I Padri del Concilio Vaticano [I] lo hanno voluto ricordare, e lo stesso fa il Codice di Diritto Canonico[5]: “Evitare la depravazione eretica non basta; bisogna anche evitare coscienziosamente gli errori che sono più o meno legati ad essa; e per questo tutti devono osservare anche le Costituzioni e i Decreti con cui la Santa Sede condanna e interdice questo genere di false opinioni” (Can. 1324)».

Il Papa è vero successore di san Pietro, è pertanto preservato da ogni errore nel suo insegnamento (talvolta anche solo verbale[6]), perché la sua Missione è di continuare l’insegnamento stesso di Gesù Cristo, e perché Dio non può permettere al suo Rappresentante in terra di condurre le anime all’errore[7]. Credere in Gesù Redentore è credere nella Chiesa, e credere nel­la Chiesa è credere nel Papa. (Op. cit., pp. 26 ss.) 

*** 3) La «testimonianza»[8] è continua nella Chiesa da parte dei successori degli Apostoli e dei discepoli di Cristo fino alla fine dei tempi; essi devono per «mandato»[9] trasmettere fedelmente la dottrina di Gesù anche a costo della vita[10]; questa è la condizione indispensabile per essere  riconosciuti da Gesù davanti al Padre[11]. […] L’oggetto primario del Magistero costituisce il «Deposito della fede», ovvero tutto quello che Dio ha rivelato al genere umano, sia esplicitamente che implicitamente, e che deve essere creduto, praticato e seguito. Esso riguarda i dogmi, le leggi (anche la legge naturale), l’Istituzione Chiesa, i poteri, il governo, i mezzi di santificazione e consacrazione, il culto che si deve al vero Dio, il vero culto che si deve a Dio, ecc … Sostanzialmente tutto ciò che riguarda[12]  l’ordine rivelato e soprannaturale. Tutti i teologi, i Padri e Dottori della Chiesa, i Papi ed i Concilii – senza alcuna eccezione ma tranne certi contemporanei ribelli – ammettono che in tutte queste materie il Sommo Pontefice possiede una competenza ed un’autorità indiscusse. Non c’è dubbio che l’oggetto primario o secondario del Magistero pontificio, sia esso diretto o indiretto, si estende a questi diversi ordini di verità e di giudizi, implicando certamente il carisma dell’infallibilità su tutte quelle questioni che il Pontefice «ha da Dio attraverso i suoi Apostoli di cui è il legittimo successore». (Op. cit., pp. 32 ss.)

*** 4) Così come è facilmente comprensibile leggendolo, l’editoriale «Contro-rivoluzione liturgica – Il caso “silenziato” di Padre Calmel» si inserisce nel filone gherardiniano del rapporto Magistero/Tradizione. Questi insegna: «Occorre dir anzitutto che il Magistero non è una superchiesa che imponga giudizi e comportamenti alla Chiesa stessa; né una casta privilegiata al di sopra del popolo di Dio, una sorta di potere forte al quale è doveroso obbedir e basta». Avendo già dato parola ai Papi sull’argomento (nel libro), ed appresso tantissimi altri ne seguiranno (che lo smentiscono, ed il lettore liberamente saprà valutare), si capisce che in realtà questa affermazione può prestarsi a varie interpretazioni e, se dedotta in questo modo, certamente potrebbe far disaffezionare il fedele dalla Chiesa docente, con gravissime conseguenze.

Il Monsignore […] conclude l’affermazione così: «[Il Magistero, NdA] non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera»[13]. Mi dispiace, ma il Magistero manifesta l’intenzione della Chiesa docente di essere ascoltato, capito e obbedito da tutta la Chiesa discente, dato che la Chiesa docente ha la missione di istruire, illuminare e preservare dall’errore. È parzialmente vero che il Magistero «non è una superchiesa che imponga giudizi e comportamenti alla Chiesa», e questo non in senso assoluto. Poniamo il caso che un losco figuro[14] – già privato di autorità da Dio – infiltrato nella Chiesa e non attualmente «defenestrato» dall’uomo (rimosso dal governo), riesca a «sovrapporre il [suo “Magistero”] alla Chiesa» stessa, è proprio grazie a questa «superchiesa che impone giudizi e comportamenti alla Chiesa», che la Sposa di Cristo, obbedendo a questa «sorta di potere forte», riesce a smascherare il «demonio»[15], a rimuoverlo e ad annullare la sua azione già di per sé (giuridicamente e autorevolmente) nulla[16], ma non ancona incriminata da tutti apertamente. Questo serve ad annientare anche il cosiddetto relativismo dogmatico che, a mio avviso, il Monsignore invece, così scrivendo, favorisce[17] a dismisura. (Op. cit., pp. 234 ss.) 

*** 5) E CONCLUDO. Io credo che oggi ci sia grande confusione fra la visibilità di fede definita (e rivelata) e quella mediatico finanziata. È innegabile che le note distintive che danno visibilità alla vera Chiesa (una, santa, cattolica, apostolica), non esistono nella «chiesa» postconciliare (come anche l’editoriale della Cristiana de Magistris ammette). Pertanto la Messa della vera Chiesa (una, santa, cattolica ed apostolica) è celebrata solo da alcuni sacerdoti, ben riconoscibili. Il resto è visibilmente antichiesa poiché manca o di unità o di santità, da cui procede l’annientamento della cattolicità. Bisogna anche vedere se in loro sussiste l’apostolicità, avendo variato forma e/o materia delle ordinazioni, secondo il concilio di Trento sarebbero ben oltre che dubbie (non è questa la sede per affrontare l’argomento). Chiarimenti maggiori li fornisce Papa Leone XIII nella «Apostolicæ Curæ». Il problema essenziale, difatti, non è la «comunione con Bergoglio» in quanto tale (comunque già sacrilega: menzione nel rito detto «una cum» – vetus o novus che sia), bensì l’appartenenza ad una società che è oggi visibilmente antichiesa, date le sue note distintive. Ciò che cito è insindacabile (in assoluto, non nel caso specifico), poiché è di fede rivelata. È la Rivelazione (tramite il Magistero) che definisce e qualifica la società Chiesa e le società antichiesa, con le rispettive note distintive, assolute nel primo caso e relative nel secondo. Il discorso inerente la «comunione con Bergoglio» è secondario e può essere analizzato o teologicamente o secondo diritto, o secondo le due discipline in riferimento al Diritto divino. Il dato grave, sempre e comunque (fatta salva la buona fede), è l’adesione ad una visibile antichiesa, della quale Bergoglio sarebbe il capo – o il simbolo – di disunità, di non santità, di non cattolicità … probabilmente anche di non apostolicità. […] anche se non comprendiamo esplicitamente le motivazioni di alcuni provvedimenti, abbiamo appreso che non è lecito giudicare l’operato del Vicario di Cristo, come non è lecito resistervi abitualmente, specie perché la liturgia (per tornare al caso concreto) celebra ed esalta in forma rituale e solenne, numerosi dogmi.   Cosa ci dice, per esempio, il già citato Papa Leone XIII in «Sapientiæ christianæ»[18]? 

       «Nel determinare i limiti dell’obbedienza nessuno creda di dover obbedire all’autorità dei sacri Pastori, e specialmente del romano Pontefice, solamente in ciò che riguarda il dogma, il cui ostinato ripudio non può essere disgiunto dal peccato di eresia. Anzi, non basta neppure accettare con sincera e ferma approvazione quelle dottrine [di] Magistero ordinario ed universale, e si devono credere come “di fede cattolica e divina […]”»[19].           

Papa Pio XII nella «Mystici Corporis»[20] insegna: 

       «Come osserva acutamente e sottilmente il Bellarmino[21], questo appellativo del Corpo di Cristo non deve spiegarsi semplicemente col fatto che Cristo debba dirsi Capo del Suo Corpo mistico, ma anche col fatto che Egli talmente sostenta la Chiesa e talmente vive in certo modo nella Chiesa, che essa sussiste quasi come una seconda persona di Cristo. Anche il Dottore delle Genti lo afferma, quando, scrivendo ai Corinti, senz’altra aggiunta, denota la Chiesa col nome di “Cristo”[22], imitando in ciò lo stesso Maestro il quale a lui che perseguitava la Chiesa aveva gridato dall’alto: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”[23]. Anzi, se crediamo al Nisseno, spesso la Chiesa vien chiamata dall’Apostolo semplicemente “Cristo”[24]; né vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quel detto di Agostino: “Cristo predica Cristo”[25]. […] Tuttavia tale nobilissima denominazione non deve essere presa come se appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo con cui il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i beni Suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo. Poiché, per quella missione giuridica con la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come Egli stesso era stato mandato dal Padre[26], è proprio Lui che battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa. Con quell’alta donazione poi, del tutto interna e sublime che abbiamo sopra accennata nel descrivere il modo d’influire del Capo nelle Sue membra, Gesù Cristo fa vivere la Chiesa della sua propria superna vita, permeando con la Sua divina virtù tutto il Corpo di lei, e alimentando e sostentando le singole membra, secondo il posto che occupano nel Corpo, come la vite nutre e fa fruttificare i tralci che le sono uniti[27]».

 […] Poiché non sono pizzi e merletti che fanno la Tradizione, e lo abbiamo ampiamente studiato, […] credo che si debba parlare piuttosto di conservazione della vera fede contro chi «avvelena il gregge». Tale conservazione può avvenire solamente se si è caritatevoli[28], quindi se si preserva la verità e si agisce veracemente[29]. Assodato anche che la Chiesa docente deve perseguire una precisa Missio definita da Cristo con perpetuità ed invariabilità, e facendolo deve usare le «armi» lecite a sua disposizione (Magistero, Liturgia, Legge, ecc…); ove la Missio appare compromessa, è certo – per fede rivelata – che la «sorgente del male» non può ritenersi autentica Chiesa (ma sarebbe antichiesa), pertanto ogni provvedimento partorito da questa sorgente inquinante deve ritenersi non autentico, nullo, è semplicemente da ignorare. Diversa è la lecita resistenza [nel libro Apologia del Papato vi dedico numerosi capitoli, NdA], poiché la Giurisdizione è vincolata alla fede, ed in questo caso non c’è oggettivamente alcuna autorità alla quale resistere.  (Op. cit.,  pp. 317 ss.).

ESEMPIO che smonta ogni eventuale obiezione: esiste il Novus Ordo (e questo è un dato), esiste il Vetus Ordo (e questo è un altro dato). Davanti a questi due dati certi, il fedele a chi dovrebbe domandare quale dei due Ordo è buono o quale non lo è? Ed in base a quale fortunoso criterio? Dovrebbe domandare a Padre Calmel (oggi a preti che la pensano come lui, e solo se ha la FORTUNA di conoscerli) oppure dovrebbe domandare alla Chiesa (quindi CERTAMENTE al Papa)? La risposta è semplice ed è di fede rivelata: il fedele DEVE ascoltare la Chiesa (quindi il Papa) e non l’opinione del singolo soggetto, nei suoi pruriti e venti di dottrina; soprattutto in questioni fondamentali ed universali come quella della Santa Messa. Pertanto il Novus Ordo o è Messa o non lo è, non esistono alternative, inoltre Dio NON permette che la SUA Chiesa promulghi universalmente un Ordo satanico e/o protestante (sarebbe come permettere universalmente ed imporre un falso culto al vero Dio, oppure un culto al falso dio). Non esiste un solo documento di Magistero che neghi l’assistenza divina nelle cose riguardanti il Culto universale della Chiesa. La Quo Primum Tempore di Papa san Pio V può chiarire le idee ai dubbiosi. Da una parte abbiamo la Chiesa CERTA, dall’altra abbiamo il singolo, le ipotesi, la FORTUNA, la superstizione (FALSO CULTO o CULTO AL FALSO), le chiacchiere ….

Il nulla teologico sull’argomento si apprende amaramente anche dalla Risposta della Pontificia Commissione Ecclesia Dei a due “dubia” su “legittimità” in Universae Ecclesiae. La Pontificia Commissio Ecclesia Dei (PROT. 156/2009), ad un’obiezione simile alla presente, arriva a dire: “Questa Pontificia Commissione si limiterebbe a dire che legitimas è da intendersi nel senso di 1 (a). Al secondo [dubium] è risolto da questa risposta. [ius ecclesiasticum  e non anche divinum ius]”. Dove il senso 1 (a) è: “debitamente promulgata da opportune procedure di diritto ecclesiastico (ius ecclesiasticum)”, mentre l’obiezione 2 (b), non risolta, è “In accordo sia con diritto ecclesiastico e diritto divino (divinum ius), cioè né dottrinalmente non ortodossa né altrimenti non gradita a Dio”. Non c’è altro da aggiungere, poiché si commenta da sola come risposta, unitamente all’editorialista che, quasi estasiato (forse non capendo il peso reale della risposta), dice: “Con questa risposta, il PCED chiarisce che coloro che vogliono la forma più antica della messa non devono ammettere che le pratiche come la comunione in mano, o le chierichette, ecc, sono buone”. Ciò è, di suo, inconciliabile sul piano del Diritto divino (e non sto certo riferendomi al puerile capriccio della “comunione sulla mano”). Il rito può essere considerato legittimo per la legge ecclesiastica se è appunto giuridicamente valido, ovvero promulgato da legittima autorità (potestà conferita “secondo l’ordine di Dio” al solo membro del Corpo Mistico, non all’etnico ed al pubblicano, Cf. Mystici Corporis, Papa Pio XII), ovvero rispondente a criteri stabiliti ed imposti dal Diritto divino ed imprescindibili. Nel qual caso nessuno può avere nulla a pretendere, e non lo dico certo io, ma basta studiare il Liber Pontificalis e tutte le sentenze pontificie (o conciliari / sinodali) sin dal secolo II sulle questioni liturgiche, per rendersene conto!

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)


[1] Nel quale si elencano 65 proposizioni che stravolgono la dottrina cattolica  pur presentandosi come derivate e fondate sulla stessa dottrina.  Il decreto è una sorta di anticipo di ciò che san Pio X esporrà, l’8 settembre successivo, nell’Enciclica «Pascendi Dominici gregis». Con questi due documenti viene condannato il Modernismo che andava diffondendosi all’interno della compagine cattolica.

[2]Il termine Protestantesimo indica l’insieme di religioni che si dicono «cristiane» nate a partire dal XVI secolo dalla separazione dalla Chiesa cattolica. Il movimento politico e religioso noto come «Riforma protestante» nacque dalla predicazione di alcuni «riformatori», fra i quali i più conosciuti sono Martin Lutero e Giovanni Calvino.

[3] A quella che oggi viene definita «Messa di sempre» o «Messa tridentina», si contrappone la «Messa normativa» o «Novus Ordo Missæ» promulgata Montini (Paolo VI) nel 1969 attraverso i lavori del «Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia», del quale era presidente Benno Walter Gut e segretario Annibale Bugnini. Il 30 ottobre del 1962, quando già si paventano venti di «libertà religiosa» e di «aperture ai fratelli separati» sono messe in cantiere anche alcune modifiche all’«Ordo» della Messa, il cardinal Ottaviani, e non fu il solo, interviene duramente: «Stiamo cercando di suscitare il disorientamento e lo scandalo nel popolo cristiano, introducendo delle modifiche in un rito così venerabile, che è stato approvato lungo tanti secoli e che è ora divenuto così familiare? Non si può trattare la Santa Messa come se fosse un pezzo di stoffa che si rimette seguendo la moda, secondo la fantasia di ciascuna generazione». Probabilmente il porporato non immagina ancora che tutto ciò avrebbe portato al «Novus Ordo Missæ». Anni dopo i cardinali Ottaviani e Bacci, facendosi portavoce di una corrente abbastanza numerosa di teologi e sacerdoti che «rigettano» la «Messa normativa», inviano a Montini (Paolo VI) il «Breve esame critico del “Novus Ordo Missæ”», scritto da mons. Michel Guérard des Lauriers e da C. Campo. Nel documento si legge, inoltre, che con il «Novus Ordo Missæ»: «[…] si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto il sacrificio della Messa».

[4] «Multiformis sapientia», collana universitaria diretta da Giacomo Alberione, 7, Ed. Paoline, Catania, 1961, vol. I, «Poteri generali del Papato», p. 36 ss..

[5]Il riferimento è al «Codice di Diritto Canonico» del 1917, detto «Pio-Benedettino». In seguito se ne parlerà.

[6]Quale estensione della predicazione della Tradizione apostolica.

[7] Il dogma dell’infallibilità non si comprende se non viene inquadrato nell’economia generale della Redenzione. Il successore di san Pietro prosegue la missione redentrice di Cristo Redentore perpetuandone l’insegnamento.

[8]La predicazione apostolica toccava più di un oggetto, si occupava di più di un campo: il sociale e il familiare, il temporale e lo spirituale.

[9] Cf. Mc 16,15

[10] Cf. Ap 6,9 ss.; 11,3-12; 17,6; 20, 4

[11]Cf. Mt 10,32

[12] «Tutto quello che nella Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, come pure nella tradizione apostolica, “interessa la fede e i costumi e serve all’edificazione della dottrina cristiana”, è oggetto essenziale e primario del Magistero e può essere oggetto del suo [del Papa] insegnamento ordinario oppure delle sue definizioni infallibili»; Cf. «Enciclopedia del Papato», «Multiformis sapientia», collana universitaria diretta da Giacomo Alberione, 7, Ed. Paoline, Catania, 1961, vol. I, «Poteri generali del Papato», p. 39.

[13] Cf. «Mons. Gherardini sull’importanza e i limiti del Magistero autentico», del 7 dicembre 2011, su «Disputationes Theologicæ»; Cf. «Chiesa-Tradizione-Magistero» di mons. Brunero Gherardini, Ivi., capoverso VII (ver. dig. http://disputationes-theologicae.blogspot.it/).

[14] Il losco figuro non è ignorante e conosce bene la verità, ma vuol sovvertirla spacciando per vero – ed imponendolo all’autentica Chiesa – il suo falso “Magistero”. Parimenti il demonio riconosce molto bene Gesù: «Basta! Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene chi sei: il Santo di Dio!» (Lc 4,34), eppure continua a ribellarsi ed a camminare nelle tenebre portando con se coloro che «non vogliono aprire gli occhi» (Cf. At 26,18).

[15]«E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito» (Mt 17,8).

[16] «[…] voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44).

[17]Dice anche: «Troppo spesso, però, si fa dello strumento [il Magistero, NdA] un valore a sé e si fa appello ad esso [al Magistero, NdA] per troncare sul nascere ogni discussione, come se esso [il Magistero, NdA] fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da accoglier interpretar e ritrasmettere nella sua integrità e fedeltà.  E proprio qui s’evidenziano quei limiti che lo salvaguardano dal pericolo dell’elefantiasi e dalla tentazione assolutistica» (Ivi.). Contesto la proposizione, poiché questa può essere il preludio al relativismo dogmatico. In verità «la mole enorme della Tradizione» è già «accolta, interpretata e ritrasmessa nella sua integrità e fedeltà» proprio dal Magistero e, come insegna la Chiesa, qualora – e solo se allora – dovessero sorgere «discussioni» attorno a questioni di «integrità e fedeltà» della dottrina già definita, è solamente perché qualcuno vuol rifiutare parimenti sia il Magistero che la Tradizione, poiché il primo già acclude la seconda. Ecco perché la «Humani generis», Lettera Enciclica di Papa Pio XII, 12 agosto 1950: «[…] però la storia insegna che parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano più essere discusse». Inoltre la filosofia deve sottomettersi all’autorità (Cf. «Sillabo», Papa Pio IX, n° VIII-XIV).

[18] Cf. «Denzinger», EDB, 2009, n° 3806 in nota 2.

[19] La citazione completa è già presente al capitolo «DOGMATICO O PASTORALE?».

[20] Cf. «Denzinger», EDB, 2009, n° 3806 (ho integrato quelle parti del documento e le note del Pontefice non presenti oggi sul «Denzinger»).

[21]Cf. «De Rom. Pont…», I, 9; «De Concil…», II, 19.

[22] Cf. 1Cor 12,12

[23]Cf. At 9,4; 22,7; 26,14

[24] Cf. Greg. Nyss. «De vita Moysis»; Migne, Part. Gr., XLIV, 385.

[25] Cf. «Serm…», CCCLIV, 1; Migne, Partol. Lat., XXXIX, 1563.

[26]Cf. Gv 27,18; 20,21

[27] Cf. Leone XIII, lett. Enc. «Sapientiæ Christianæ» e «Satis cognitum».

[28]Cf. 1Cor 13,5-6: «La carità […]non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità».

[29]Ebr 10,38: «Il mio giusto vivrà mediante la fede; ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui».