Il Consiglio d’Europa ha accolto il reclamo presentato dalla Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf), che accusava il nostro Paese, a causa dell’alto numero di obiettori, di non garantire il rispetto della legge 194 sull’interruzione di gravidanza. Il Consiglio d’Europa, con 13 voti favorevoli e un solo contrario, ha quindi richiamato il nostro paese perché «l’obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della norma». [fonte: Tempi.it, qui l’articolo completo]
All’indomani delle campagne di UAAR e dintorni per la limitazione dell’obiezione di coscienza all’IVG, che speravamo rimanessero un’amenità del folklore nostrano, da Strasburgo arriva una “novità” che lascia perplessi per più motivi.
Primo: la coerenza. Una precedente risoluzione dello stesso Consiglio d’Europa (che, ricordiamo, non è un organo dell’Unione Europea), sul medesimo tema dell’obiezione di coscienza, aveva espresso nel 2010 una posizione molto diversa. Qui si possono leggere i dettagli.
Secondo: la ratio legis. Autorevole dottrina penalistica italiana ha sostenuto con forza la dignità dell’obiezione di coscienza e ha denunciato l’atteggiamento schizoide della sinistra italiana, ieri convinta assertrice dell’obiezione alla leva, oggi recalcitrante a riconoscere tale libertà al personale sanitario: qui un articolo di Ferrando Mantovani. (Né si può sospettare l’autore di partigianeria, stante il suo storico endorsement dell’aborto terapeutico, sposato poi dalla giurisprudenza che “spinse” culturalmente verso la legge 194: cfr. A. Santosuosso, Diritto, scienza, nuove tecnologie, pp. 48 s.).
Terzo: la coerenza, stavolta dell’Unione Europea. Una vecchia risoluzione (1994) del Parlamento Europeo aveva addirittura riconosciuto nell’obiezione di coscienza un diritto soggettivo, inestricabilmente connesso all’esercizio delle libertà individuali (v. C. Tagliapietra, L’autotutela nella filosofia del diritto, in Aa. Vv., La disciplina dell’autotutela, pp. 590 e 595). Certo, è lo stesso Parlamento Europeo che ha recentemente rischiato di votare il rapporto Estrela, forse è meglio non farsi più illusioni. Ma tant’è.
Quarto: il principio di realtà. Con buona pace della nostra Corte Costituzionale (1975), l’embrione o il feto che si uccide non “deve ancora diventare” persona, perché lo è già, dal momento del concepimento: in tal senso depone tutto il nostro ordinamento (ibidem, pp. 596 s.). Vent’anni dopo, la Cassazione sancisce che l’aborto per la donna è un diritto (Cass. civ., Sez. III, 1 dicembre 1998, n. 12195). Quello che forse sfugge alla più alta magistratura del nostro ordinamento – i giudici delle leggi e i giudici di legittimità, rispettivamente – è che la giurisprudenza legge la realtà, ma non può forgiarla. Se l’aborto è uccisione di un essere umano, l’ordinamento può serenamente ammettere un obbligo di uccidere? A meno di applicare il codice penale militare di guerra agli operatori sanitari (e di considerare il bambino un nemico), no.
Guardiamo dall’alto la questione. Il legislatore del 1978 si era posto come obiettivo dichiarato un bilanciamento tra diritti costituzionalmente tutelati (la vita del figlio, la vita e la salute della madre) e non l’attribuzione alla madre di un diritto potestativo di vita e di morte sul nascituro. Quale sia stato il risultato, è sotto gli occhi di tutti: l’ambiguità della legge 194, che di fatto legalizzava l’omicidio tentando formalmente di salvare capra e cavoli, è divenuta un grimaldello per le abnormità giuridiche di cui sopra.
La via di fuga dell’obiezione di coscienza non è meno ambigua.
Questo perché la “coscienza”, così come è oggi intesa nell’immaginario cattolico postconciliare, è divenuto un concetto bifronte e a doppio taglio. Persino una nota Erinni contemporanea dell’aborto può volgere a proprio vantaggio una citazione di S.S. Pio XII, che nel 1955 affermava “un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutar di prestare i servizi e adempiere i doveri fissati per legge” (v. C. Lalli, C’è chi dice no, p. 32). Superfluo precisare che il Papa si esprimeva in questo modo con riguardo all’obiezione alla leva militare; non ha però tutti i torti l’autrice a rintracciare una frizione tra l’atteggiamento della Chiesa Cattolica di allora di fronte all’obiezione civile e la strenua difesa della coscienza e della sua libertà nel magistero da S.S. Giovanni XXIII in poi. La spiegazione di tale incongruenza, però, esula troppo dal nostro tema.
Se la coscienza è semplice sensibilità individuale e non è invece il luogo intimo, rettamente formato fin dall’infanzia, in cui Dio parla all’uomo, l’obiezione di coscienza è una coperta di Noé per coprire le vergogne di una disobbedienza civile qualunque (e, domani, di una cultural defense che, per decenza, il diritto penale non ammette ancora). Contro l’aborto, un simile strumento è un’arma inceppata.
Non è necessario scomodare lo statuto giuridico dell’obiezione, a fronte di una legge che vorrebbe obbligare ad uccidere l’innocente. Molto semplicemente, la legge arbitraria, “scollata” dal requisito della giustizia, cessa di avere forza obbligante e il fondamento giuridico di un ipotetico “diritto all’aborto” si sgretola all’istante.
…non bisogna dimenticare l’essenziale insufficienza e fragilità di ogni norma di vita sociale che riposi su un fondamento esclusivamente umano, s’ispiri a motivi esclusivamente terreni e riponga la sua forza nella sanzione di un’autorità semplicemente esterna. Dove è negata la dipendenza del diritto umano dal diritto divino, dove non si fa appello che ad una malsicura idea di autorità meramente terrena e si rivendica un’autonomia fondata soltanto sopra una morale utilitaria, qui lo stesso diritto umano perde giustamente nelle sue applicazioni più gravose la forza morale, che è la condizione essenziale per essere riconosciuto e per esigere anche sacrifici. (Pio XII, Summi Pontificatus)
…Noi vediamo che voi siete degni di lode anche per questo motivo: cioè perché nelle quotidiane e lunghe prove, in cui vi trovate, voi percorrete proprio la via giusta, quando prestate, come si conviene a cristiani, rispettoso ossequio alle vostre pubbliche autorità nel campo di loro competenza, e, amanti della vostra patria, siete pronti al compimento di tutti i vostri doveri di cittadini. Ma Ci è anche di grande consolazione sapere che voi, all’occasione, avete apertamente affermato e ancora affermate che in nessun modo vi è lecito allontanarvi dai precetti della religione cattolica, e che in nessun modo potete rinnegare il vostro Creatore, per il cui amore molti di voi hanno affrontato tormenti e carcere. (Pio XII, Ad Sinarum gentem)
Di un Papa giurista ci si può fidare. Ogni aborto è un vulnus gravissimo alla giustizia, ed ogni azione che cerca di frenarlo – dunque, anche la cosiddetta obiezione – è doverosa prima che meritoria; quindi sì, in effetti il mondo abortista ha ragione a dubitare che un medico abbia diritto di obiettare.
Ne ha il dovere.
di Ilaria Pisa
Grande ignoranza di chi ha scritto questo articolo. Il codice civile parla del concepito come “soggetto” e non come “persona”. Non è una sottile differenza
Il codice civile parla di soggetto anche quando trattasi di fattispecie che non riguardano il concepito, ma un qualunque essere umano anche adulto. La persona fisica è infatti soggetto giuridico esattamente come la persona giuridica.
E’ vero che il soggetto giuridico è un concetto differente da quello di persona, ma è pur vero
che il concetto di persona fisica o persona giuridica sono per il codice entrambi soggetti di diritto, d’altro canto un soggetto giuridico non può essere altro che una persona fisica o una persona giuridica, o al limite un qualcosa in tale dualità inscritto ed a tale dualità ordinato.
Il concetto di persona è al di fuori del contesto giuridico ed è un concetto metafisico che investe tanto la forma quanto la sostanza, ovvero l’essenza, sia in termini di atto che di potenza, il suo riconoscimento è razionale prima che giuridico.
In un discorso che riguardi la coscienza come nel caso di fattispecie infatti, il diritto esce dal proprio ambito perchè non ha le categorie specifiche necessarie a definire il concetto di persona e quindi lo mutua utilizzandolo in modo analogico ma ovviamente in ampie parti
insufficiente.
Non riesco neppure a trovare il punto dove l’autrice abbia sostenuto che il codice parli di persona in luogo al soggetto (ragione supposta di ignoranza???) ma concludo rimarcando che la questione sollevata dall’articolo non riguardaun aspetto primariamente giuridico ma primariamente etico e la eventuale discussione e critica ha senso verso tale ambito, emettere una sentenza di “ignoranza” che stralcia il nucleo essenziale per focalizzarsi sulla terminolgia propria della codicistica civile è risibile e sterile.
Esprimo apprezzamento per l’articolo.
Io critico, invece, proprio le grossolane e squisitamente italiane, affermazioni giuridice. Si può leggere: “Con buona pace della nostra Corte Costituzionale, l’embrione o il feto che si uccide non “deve ancora diventare” persona, perché lo è già, dal momento del concepimento: in tal senso depone tutto il nostro ordinamento.” Ma di quale ordinamento parla l’autore? Del suo personale? Perché se parla di quello italiano, “persona”, ex art 1 cc, è l’individuo dotato di capacità giuridica generale, attitudine alla titolarità di diritti e di doveri, che si acquista alla nascita (identificata nei momenti successivi al parto). Il concepito, al contario, gode dello status di “soggetto”, detentore di alcuni diritti. Il feto, “soggetto” per la legge, proprio perché dotato di qualifica inferiore rispetto a quella di “persona”, cede inesorabilmente d’innanzi alla madre che gode della capacità giuridica generale. Il codice, la giurisprudenza e la dottrina sono chiare, bisogna farsene una ragione senza ingannare il lettore. Ovviamente poi si può discutere sulla giustizia o meno di tale legge, ma i dati oggettivi devono essere riportati in maniera esatta.
E’ verosimile che la sottoscritta sia molto ignorante. Tuttavia (scusatemi se in parte ripeto le argomentazioni dell’ottimo Matteo):
1. nell’affermare che tutto l’ordinamento guarda al concepito come a qualcosa di molto diverso da un oggetto di diritti potestativi da parte della donna, mi sono limitata a citare altri Autori (il luogo è tra parentesi nel testo).
2. Che il concetto di persona sia pregiuridico e recepito dal diritto, non forgiato da esso, è pacifico. I codici non creano concetti filosofici e non creano verità naturalistiche ma possono adottare i primi e riconoscere le seconde.
3. L’art. 1 c.c. non è determinante. Parlare della capacità giuridica può al massimo essere indizio che ci si trova di fronte a una persona, ma non ha efficacia probante del contrario, ossia che chi sia privo di capacità giuridica sia non-persona. Se il concepito è titolare di diritti patrimoniali solo in via eccezionale, questo semplicemente indica la sua generica incapacità ad essere un centro d’imputazione d’interessi economici, come del resto è evidente anche al buon senso. Ma il codice civile non sancisce che cosa un essere umano sia, né quando venga ad esistenza.
4. Se poi cerchiamo riferimenti nel sistema penale a suffragio della (falsa) tesi che il bambino nel ventre materno non sia persona, usciamo doppiamente delusi. Anzi, per ipocrita che sia, la legge 194 vuol far apparire il concepito quanto più possibile sullo stesso piano della madre. La parte più perniciosa (cioè quella democristiana) della vulgata abortista presenta infatti la legge 194 come il risultato di un doloroso ma inevitabile bilanciamento tra diritti. Il bilanciamento, come è noto, si compie tra diritti omogenei (tralasciamo che poi questo bilanciamento sia compiuto in maniera sbagliata dalla legge) e nessun senso avrebbe parlare di diritto alla vita con riguardo ad una non-persona.
5. Questo, tra l’altro, mostra la “creatività” della Corte Costituzionale, che nel 1975 si lancia in asserzioni filosofiche che le sono e le devono rimanere estranee (o se devono entrare nel ragionamento giuridico, devono entrarvi secondo giustizia, riconoscendo dunque la persona nel concepito), e la creatività altresì della Cassazione, che afferma come diritto l’aborto, che persino un laico di ferro come G. Zagrebelsky nega.
Un quesito. Se una donna facoltosa, diciamo… un medico aspetta un bimbo. Attraversa le strisce pedonali . Perde il bambino. L autista che l ha investita di cosa verra accusato?
Art. 17 l. 194/78
Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre
mesi a due anni.
Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma
precedente, diminuita fino alla metà.
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.
Come lei stesso evidenzia il concetto di “persona” stà stretto al diritto.
Un soggetto di diritto infatti è anche la “persona” giuridica, che ovviamente non viene partorita ma che pure ha titolarità di diritti e di doveri.
L’articolo che lei cita (e non lo fa testualmente neppure Lei) infatti non parla di persona ma di “concepito” e non dichiara se il concepito sia o no persona dice invece che i diritti che la legge riconosce a favore del “concepito” sono subordinati all’evento della nascita.
In tal senso quindi la definizione di “persona” restando all’articolo di legge resta ambiguo e non circostanziato.
E’ pur vero che la legge ammette al nascituro una qualifica specifica che è quella
di “concepito”. In tal senso la legge afferma che la fonte del diritto da ascriversi
al soggetto nascituro ha il suo elemento fondativo nel concepimento, anche se poi
afferma che la legge inizia a tutelare questo diritto derivante dal “concepimento” a partire
dall’evento della nascita.
D’altro canto se un concepito non nasce come potrebbe la legge ascrivere ulteriori
diritti al concepito? In tal senso l’uso del termine “concepito” porta seppure in nuce un sotteso diritto alla nascita dello stesso.
Premesso questo mi pare appropriata la affermazione secondo cui l’autrice sostiene che il nostro ordinamento dispone “personalità” al concepito perché in realtà ne attesta il diritto alla nascita quale necessario compimento del riconoscimento legale.
E’ proprio l’uso del termine “concepito” nell’articolo, al posto di altri che rende plausibile
l’interpretazione dell’autrice (o mia se preferisce) e la sua critica tacciata di un non meglio definito italianismo sinceramente mi pare vanamente cavillatoria.
L’affermazione Sua poi secondo cui codice e la dottrina di giurisprudenza su queste questioni è chiara appare sinceramente infondata e questo mio contributo pur sinteticamente lo mette in chiara evidenza. Forse è lei che deve farsene una ragione ed eviterei di lanciare in tal senso accuse di volontà all’inganno.
L’articolo di legge non parla come fa lei di persona, non parla di feto, non parla di embrione, parla invece di “concepito”, ovvero di qualcosa che è per il fatto stesso di essere diventato qualcosa di diverso da quello che era prima (ovulo e spermatozoo).
Nell’ordinamento italiano manca una definizione univoca del termine concepito, anche qua ricadiamo in un ambito estraneo alla giuridica dove la bioetica e la morale entrano in campo e dove si dipana l’argomentazione dell’articolo.
Ad ogni modo siccome diversi articoli di legge attestano che il concepito
ha dei diritti esso è ovviamente soggetto di diritto e quindi ha una propria personalità (persona) giuridica specifica a prescindere dal momento in cui tali diritti vengono ad essere tutelati attivamente dalle norme.
L’art. 462 del codice civile ad esempio parla chiaramente dei diritti
di successione del “concepito” oltre che del nato (e li tutela da subito) e non è il solo articolo, perché anche nel 715 e nel 784 si fa chiaro riferimento ai diritti di colui
che è stato concepito e cha ha da nascere (si riscontra infatti in questi articoli il termine
“nascituro”, ovvero “COLUI CHE DEVE NASCERE” anche qua l’uso del termine “nascituro” evidenzia e mette in chiaro la sottesa affermazione del diritto di nascita del concepito e parimenti mette in evidenza che su queste faccende la chiarezza ed univocità non risulta punto).
Un saluto a lettori e commentatori.
Signori, ma in Italia vige il diritto positivo o il giusnaturalismo? La legge sull’aborto esiste o non esiste? Le sentenze della Corte Costituzionale o della Cassazione sono state emesse da farabutti che avevano legato e rinchiuso nello sgabuzzino i veri giudici? Ma di cosa stiamo parlando? L’autore dell’articolo sostiene che “con buona pace della Consulta, il feto è già persona nel nostro ordinamento”. Sono stupefatto nell’apprendere come in realtà, a questo punto, la Corte Costituzionale, secondo tali opinioni, non serva a niente. Il concepito, per il nostro ordinamento, non è una persona. Punto. E per quanto riguarda il diritto delle successioni, si tratta di una situazione giuridica molto particolare che è subordinata comunque all’avvenimento della nascita (faccio presente che per ciò che riguarda le liberalità si può designare anche addirittura un soggetto neppure concepito). Questo articolo è fazioso e sinceramente cioè che evince è l’intenzione dell’autore di ingannare il lettore sostenendo che vi siano interpretazioni diverse da quelle della Cassazione o della Consulta che ricordo essere, alla fine della giostra, le uniche che contano. Le prerogative della madre, per legge, si pongono ad un livello superiore rispetto a quelle del concepito che persona non è con buona pace dell’autore. Si può discutere se giusto o meno, non se sia vero o falso. E ribadisco, tutto ciò è squisitamente italiano.
Gentile Adriano, mi dispiace contribuire al suo stupore, ma
1. anzitutto il giusnaturalismo non è un marchio d’infamia, così come il giuspositivismo non è la terra promessa.
2. quello che per adesso ancora le Università italiane insegnano ai futuri operatori del diritto è che la legge è un dato, ma non è Vangelo. Può e deve essere criticata, perché la giustizia precede la legge.
3. inoltre, una legge ingiusta – come la dottrina cattolica ha sempre affermato; e non cessa di essere vero per il fatto che lei, o la società italiana, o anche tutto il mondo la pensi diversamente – NON OBBLIGA, e anzi obbliga in coscienza il cittadino a DISOBBEDIRE.
Fatte queste premesse, in questo articoletto ho voluto sottolineare due aspetti
a) de jure condito, il Consiglio d’Europa ha preso una posizione che lascia estremamente perplessi, ed è ingiusta e assurda alla luce tanto dell’ordinamento nostro interno, quanto di altri provvedimenti di soft law internazionale;
b) de jure condendo, che la lex sia oramai frontalmente contraria allo jus è dato empirico che anche un bambino vedrebbe.
Qualche parola in più sulla l. 194 e sulla bagarre giuridica che l’ha preceduta e seguita.
Ripeto per l’ennesima volta che la legge non può pretendere di forgiare la realtà naturale, ma può limitarsi a recepirla (oppure può ignorarla e occuparsi d’altro). Se davvero per il nostro ordinamento – che lei m’insegna, è ancora solidamente fondato su alcuni codici approvati svariati anni fa, e su una Costituzione che si avvia al settimo decennio d’età – fosse unanimemente contrario a riconoscere al bambino nel ventre materno lo status personale, allora perché si è dovuto attendere il ’78 per l’approvazione della legge sull’aborto? E perché veniva applicato prima l’art. 54 c.p. se il concepito non era persona?
Insisto: lei continua a trattare come prove lampanti aspetti normativi che sono puramente indiziari, e delle pronunce della Consulta e della Suprema Corte (che un anno dicono nero, l’anno dopo grigio, e l’anno dopo ancora bianco) fa un totem. Le posso anche dare ragione, se vuole, ma m’illudo ancora di sapere un poco di diritto, e pur nelle roccaforti del laicismo giuridico più osceno non ho mai trovato nessuno che volesse impedire all’interprete di guardare la legge con occhio critico, di controllarne la sua coerenza con la ratio legis e la ratio juris, e addirittura di contestare – lesa maestà! – la Costituzione stessa. Se il compito di chi studia le leggi fosse di sdraiarsi pedissequamente su di esse, saremmo probabilmente ancora al codice di Hammurabi, con rispetto per Hammurabi chiaramente.
Concludo: quando i giudici della Consulta hanno affermato “che il concepito deve ancora diventare persona”, fuori dal diritto (oltre che fuori dalla giustizia) si sono posti LORO, non certo io; si sono arrogati prerogative filosofiche, contraddittoriamente, perché se il giudice deve essere passivamente bouche de la loi, come lei pare sostenere, a che pro lanciarsi in definizioni bioetico-antropologiche (se non ad uso e consumo di istanze politiche ben precise)? E se invece il giudice e qualunque altro interprete può introdurre le proprie considerazioni nel ragionamento giuridico, che cosa rende il mio giusnaturalistico pensiero inferiore rispetto al mix imbastardito di giuspositivismo e radicalismo ateo sposato da tanta giurisprudenza di legittimità? Perché la toga non basta a rendere vero quel che si dice.
Insomma, è sufficiente non lasciarsi anestetizzare la mente dal pensiero unico e mantenere un po’ di lucidità.
Ma di cosa sta parlando? continua a dire cose completamente inesatte. Lei sostiene che i giudici della Cassazione siano andatoi oltre il diritto e ció fa molto sorridere considerando che la funzione della Suprema si definisce, appunto, “nomifilattica”. Il compito della Cassazione è far sì che la sua intepretazione sia riconosciuta da tutti i magistrati minori. L’interpretazione che conta è quella della Cassazione e tutto l’ordine è obbligato a seguirla. Le ricordo che in Italia vige il sistema codicistico di civil law, e non la common law anglosassone; il giudice, in Italia, applica la legge seguendo l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione. Il magistrato non è chiamato ad interpretarla a suo piacimento come avviene nei regimi di common law. Lei sostiene che la Cassazione, con la sua intepretazione, sia andata oltre il suo compito (non è vero) ma soprattutto contro lo jus, e che, le assicuro qui si è proprio superata
, “anche un bambino se ne accorgerebbe”. Il diritto non è una concetto statico, il diritto è vivente e si evolve con la società. “Ubi ius, ibi societas”. Sorrido nel pensare come lei definisca “anti ius” questa legge approvata dagli eletti dal popolo è confermata dal popolo stesso più di una volta in sede referandaria.
Il buon medico non uccide!! Specie il più indifeso!!
Lei continua a voler rimestare per intorbidire caro amico.
Il feto è termine assente, si parla di concepito. Il concepito ha dei diritti e lei non può negarlo,
il termine di persona e di concepito sono giuridicamente ambigui e non chiari come lei sostiene.
Un soggetto di diritto è inesorabilmente persona (fisica o giuridica) ne decade che il concepito è persona a meno che Lei non abbia deciso di interodurre una nuova fattispecie giuridica che ha dei diritti senza essere persona almeno giuridica se non fisica.
Non è colpa di nessuno di noi se la legge è ambigua ed ipocrita, oltre che ingiusta.
Se ne faccia una ragione.
Ma di cosa stiamo parlando? Il concepito non ha la capacità giuridica perché non è nato (art 1 c.c.) e quindi i suoi diritti cedono di fronte alla madre che ha, in quanto nata, la capacità giuridica. Fatevene voi una ragione, anzi vi do una notizia di cui forse non eravate a conoscenza: questa interpretazione è attuata ed è alla base della costituzionalità della legge sull’aborto. Si può dire lo stesso della vostra interpretazione?
Gentile Adriano,
“Il concepito non ha la capacità giuridica perché non è nato (art 1 c.c.) e quindi i suoi diritti cedono di fronte alla madre che ha, in quanto nata, la capacità giuridica” se il concepito non ha capacità giuridica come può essere titolare di diritti (che soccombono)? Se invece ha, nonostante l’assenza di capacità, dei diritti, di fronte a quali diritti essi possono soccombere (al di fuori dell’unico schema razionale dato dal 54 c.p.)?
Come vede di persona la legge non parla: sono induzioni metafisiche di una magistratura “onnipotente”. Proprio perché siamo in civil law, come lei m’insegna, detta magistratura, ancorché suprema, non dovrebbe entrare nel campo filosofico e antropologico. Inoltre, anche se la cosa sembra sconvolgerla, le rivelo che le leggi possono essere irrazionali (e incostituzionali pur in assenza di una pronuncia della Consulta) e le pronunce giudiziarie possono essere errate. Una diarrea su carta intestata della Suprema Corte non cessa di essere una diarrea per il fatto di aver scritto sopra “Corte di Cassazione”.
Spero che la delusione per aver rotto il suo vitello d’oro non sia troppo grande.
Lei confonde il concetto di costituzionalità col concetto di capacità giuridica, confonde
il concetto di capacità giuridica col concetto di soggetto di diritto (e confonde soprattutto ed assai più gravemente il concetto di giustizia con quello di legalità e il concetto di moralità
con quello di costituzionalità).
Avere capacità giuridica ed avere dei diritti sono questioni differenti. Anche il minorenne, o l’incapace, o il malato in stato di incoscienza non hanno capacità giuridica ma sono chiaramente soggetti di diritto.
Ribadisco che “il concepito” nell’ordinamento italiano è soggetto di diritto (a prescindere dal momento in cui la legge inizia a tutelarlo) e la forma ambigua della legge e dei termini con cui è espressa non sono negabili.
Che il diritto del concepito cade di fronte a quello della madre è evidente ed è questo il problema e l’ipocrisia della legge che si vuol mettere in evidenza.
D’altro canto non è infrequente (e questo è un caso titpico) che il diritto del più forte
sopprime il più debole e questo spesso più che derivato dall’evoluzione del diritto
è scaturente dalla brutalità bestiale e dalla violenza.
Che poi una specifica interpretazione venga attuata non prova niente, anche perché sono proprio le varie forme di attuazione che esprimono le sentenze (a volte anche contraddittorie ed assai differenti) che contribuiscono a formare il diritto stesso. Le sentenze di cassazione assai spesso tra loro divergenti altrettanto spesso divengono fonte di diritto ed assai dopo la legge che le muove e con esiti spesso tristemente aberranti.
Il suo atteggiamento ideologico da legalista proabortista è acattolico e lo dico con grande pena
e carità. Si ravveda per il suo bene.
Veramente è lei che confonde molte cose. Semmai è la morale cattolica che non c’entra niente con la costituzionalità di una legge di uno stato (laico). E comunque, i minorenni hanno la capacità giuridica che si acquista con la nascita. La capacità di agire si acquista con i 18 anni. Questo grave errore, mi perdoni, la dicd lunga sul suo livello di preparazione.
Lei continua a rimestare e ad accusare da bue l’asino d’essere cornuto.
Lo stato può avere una costituzione confessionale o meno e la laicità di uno stato o la sua confessionalità non ha nulla a che vedere con la sua costituzionalità.
Prescindendo dal fatto che l’incapace può essere tale anche se ha superato i 18 anni e prescindendo da quelli che lei ritiene sintomi di una mia non meglio definibile preparazione, vedo che continua a menare il can per l’aia mostrando supponenza ed ostentando una predisposizione ideologica anticattolica quella sì molto superiore alla media.
Complimenti.
Comunque se il riconoscimento di essere molto preparato la fa felice, guardi le do la coccarda…
Ora cortesemente vuole entrare nel merito o preferisce magari farci sapere quanto ha preso
all’ultimo master ???
Tolga pure “minorenne” dalla mia richiesta e provi a rispondere… è contento ???
Se come lei stesso sostiene la morale cattolica non c’entra niente con la costituzionalità dello stato vuole farci sapere di grazia a quale morale si dovrebbe rifare la costituzione ?(Ammesso che ne abbia una). O immagina che il fondamento della “morale di stato” sia la costituzione stessa? Che differenza c’è tra la sharia dell’iran e la sua morale di stato costituzionale dunque? Che la prima ha almeno una giustificazione sovratemporale e metafisica mentre la seconda è solo il capriccio di quattro babbioni e frammassoni.
Crede forse che uno stato confessionale non possa essere stato esattamente come uno stato laico? O il presupposto per essere stato è la laicità (che per lei significa ateismo) ed il presupposto della costituzionalità è la a-cattolicità?
Ci dica secondo quale alto paradigma legalistico una costituzione ha più valore di una morale in quanto la fonda anziché esserne fondata?
Che lei lo voglia o no moltissimi elementi della nostra costituzione sono mutuati
dalla morale cattolica che pure si vorrebbe estromettere e se non se ne è ancora accorto questo la dice lunga sulla sua di preparazione oltre che sul livello della sua onestà intellettuale e non rendersi conto che le aporie e le ipocrisie ed ambiguità di molte leggi correnti derivano proprio da questo irrisolto contrasto è sintomo di ottusità.
Che poi da molto tempo si lavori ad eliminare dall’ordinamento giuridico corrente
qualunque elemento di cattolicità è vero ed è probabilmente merito di gente come Lei, come pure merito vostro è la palese deriva morale e sociale in cui siamo infognati.
Mi perdoni la franchezza èèèè
🙂
A proposito ma la lode l’ha presa????
ahahahahahaha
Uno stato democratico é aconfessionale e laico. Capisco che la cosa le possa dare fastidio, ma il cattolicesimo non è religione di stato e la sua morale non si può porre al di sopra dei valori e principi repubblicani posti nella nostra Carta. L’articolo 19 stabilisce che ogni cittadino abbia il diritto di professare la propria religione. Il fatto che lei sia cattolico, come la maggior parte della popolazione, non implica che la morale cristiana debba essere presa in considerazione più delle altre. Il mondo, mi perdoni so che la feriró, non si divide tra cattolici e non cattolici; ritenere che uno stato debba essere laico, non implica essere un eretico come lei crede. E sì, il presupposto di uno stato democratico è la laicità che non implica l’acattolicità, implica il rispetto di tutte le confessioni religiose. Rispetto, molto poco riscontrabile in questo blog. Sorrido molto, poi, nel constatare come secondo lei andrebbe imposta la morale cattolica (un caso incredibile di meta-paradosso perché, a parte la sua fede, nessuno le assicura che la morale cattolica sia più giusta di quelle mussulmana o di quella buddista o di quella luterana) perché avente un principio metafisico. Ma è serio quando scrive queste cose? L’Italia, ribadisco, è una repubblica democratica; i principi riconosciuti sono quelli della nostra Carta formulati da uomini eletti dal popolo in Costituentie. Uomini, che sicuramente avranno preso spunto dalla morale cattolica ma che si sono ben visti dall’instaurare una teocrazia. Secondo lei perché? Tutti eretici? Perché vivere in una democrazia, allora, se per lei il voto del popolo non conta nulla? Mi perdoni se io ho la convinzione che siamo davvero tutti uguali a prescidere da ciò in cui crediamo. Davvero crede che il suo essere cattolico le conceda una patente di superiorità dinnanzi alle istituzioni?
Adriano, piantala con le idiozie: piaccia o no a te e al tuo stato democratico, l’aborto è sommamente ingiusto, anche se fosse fatto per salvare la vita della madre, e ogni vero medico userà come carta igienica ogni legge e ogni sentenza che dovesse provare a trasformarlo in un assassino!
Il positivismo giuridico è una delle più grosse aberrazioni che possano esistere e ogni vero cattolico è felice e onorato di infrangere le leggi dello stato quando esse contrastano con le leggi di Dio.
Volevi avere l’ultima parola?
Non ce l’hai avuta: ora è meglio che vai a scrivere le tue idiozie su altri siti.
P.S.: che ti piaccia o no il Cattolicesimo è INFINITAMENTE al di sopra dei “valori e principi repubblicani posti nella nostra Carta”, i quali quando sono in conflitto con le Leggi di Dio si possono e SI DEVONO trattare da quello che sono: letame!