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Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie oracolo del Signore (Isaia 55, 8).

Questa mattina appena ho saputo della morte di Mario Palmaro ho pensato innanzitutto a pregare per la sua anima, ma un istante dopo mentre mi accingevo ad uscire di casa è entrato prepotentemente nella mia mente un pensiero che tuttora persiste e che intendo esporre proprio in questo articolo, scritto in memoria del grande apologeta cattolico appena scomparso.

Potrei scrivere e commentare i suoi ottimi libri ed articoli, circa le sue battaglie, le sue posizioni, ma non farò niente di tutto ciò; a questo ci penseranno sicuramente altre «penne», certamente più capaci di me e magari amici di Mario e della sua splendida famiglia.
Quello che intendo fare è semplicemente presentare la mia riflessione nata proprio in seguito alla sua morte che mette ogni coscienza con le spalle al muro, di fronte ad una realtà che per quanto certa per ognuno di noi, resta sempre un avvenimento inaspettato, quasi avessimo potuto decidere noi quando entrare sulla scena del mondo…

Riflettendo quindi in merito a questa prematura scomparsa e conoscendo attraverso i suoi scritti e la sua vita, l’uomo in questione, ho subito pensato che tutto ciò non fosse «giusto», questa persona secondo le logiche umane non doveva morire, doveva continuare le sue battaglie, perseverare nello studio ed essere così luce per molte altre persone, senza pensare poi alla sua famiglia, ai suoi figli ancora piccoli ed a tutti i suoi cari, privati di una tale figura, vera rarità nel triste panorama della nostra Italia post-moderna.
Proprio questi miei ragionamenti puramente «umani» mi hanno fatto capire quanto siano distanti i nostri pensieri da quelli di Dio, quanto i nostri progetti ed idee siano frutto di riflessioni troppo poco «celesti» ed eccessivamente terrene; infatti secondo tali logiche Mario non doveva morire, anzi doveva essere pieno di energie, per guidare ed indicare a tutti noi la via da seguire per contrastare il Mondo e superare la crisi che attanaglia la Chiesa, da lui tanto amata.

Ma ancora una volta i fatti smentiscono tali criteri e ci impongono una necessaria riflessione in merito: crediamo veramente nella Provvidenza? Siamo disposti ad «accettare» tutti gli avvenimenti della nostra vita, nel bene e nel male? In quanto provengono da Dio, ci prostriamo ad essi o indeboliscono la nostra fede, speranza e carità?

Tutto ciò non soltanto alla luce di questa morte, tali riflessioni devono infatti coinvolgere la nostra quotidianità, la nostra vita, poichè tutti noi in ogni istante possiamo accettare o rifiutare la volontà di Dio, e da tali rifiuti o adesioni dipende la nostra santificazione, la nostra «deificazione».

Dovremmo prendere esempio da Noè che nell’arca era tranquillo e sereno pur in mezzo ad ogni tipo di bestie, poichè pienamente abbandonato alla guida di Dio ed al suo volere; anche la nostra vita dovrebbe procedere in perfetta corrispondenza della Sua volontà e lasciar spazio alle divine ispirazioni che attraverso il silenzio, la meditazione e la preghiera sicuramente arriverebbero per guidarci in questo campo di battaglia.

Invece il nostro orgoglio si ribella sempre e si presenta proprio attraverso pensieri simili ai miei appena esposti e che se non «fermati» dalla grazia di Dio portano appunto alla ribellione.. ed ancora oggi sperimentiamo le conseguenze proprio della prima di esse, quella dei nostri progenitori, che è la causa stessa dei mali e delle sofferenze nel mondo.

A tal proposito giova però ricordare che le avversità, le sofferenze sono la via più breve per giungere al Cielo, il P. Girolamo Natalis chiese un giorno a Sant’Ignazio: Qual’ è la strada più breve e sicura per arrivare alla perfezione ed al cielo? Il santo gli rispose: “Soffrire molte grandi avversità per amore di Gesù Cristo”.

Dico ciò perché questa mattina, dopo aver appreso tale notizia ho pensato di riporre immediatamente l’ultimo libro appena acquistato (più di mille pagine), pensando che è inutile studiare, progettare, costruire, quando poi non possiamo portare a termine questi progetti poichè la malattia e la morte ce lo impediscono.

Grazie a Dio però questo pensiero – figlio della superbia- è scomparso, sconfitto dalla Luce, dalle parole del Vangelo che ci ricordano che siamo «soltanto» servi inutili, che a noi spetta la battaglia e solo a Lui la gloria, la vittoria.

Se il Reggitore del mondo, il Creatore del cielo e della terra ci pone in una certa condizione o certe tribolazioni, sicuramente lo fa perchè non ha altri mezzi per beneficiare la nostra anima o quelle a noi più care, perchè dovremmo anche ricordarci che un avvenimento che per noi è causa di dolore per altri può risultare di assoluto beneficio, questo sempre nell’economia della Provvidenza che fortunatamente non segue i nostri consigli o le nostre idee…

Quanti invece usano la propria superbia, il proprio orgoglio per indebolire la fede dei più deboli, citando loro mali e sofferenze che a parer umano non dovrebbero esistere? Questo proprio perchè si ritengono più intelligenti e saggi di Colui che ha creato e regge l’universo intero!

Spero di non aver fatto perdere del tempo a nessuno leggendo questo articolo, anzi, mia intenzione resta quella di far riflettere circa l’importanza della nostra adesione alla volontà di Dio anche quando ai nostri occhi ci sembra incomprensibile se non addirittura deleteria, poichè anche e soprattutto della sofferenza si serve Dio per sanare le nostre ed altrui ferite.

Concludo con le bellissime parole di Mario che sigillano il suo miglior articolo, ovvero la sua stessa vita, la sua splendida testimonianza di vero uomo in quanto capace di aderire a Dio senza viltà e compromessi con lo spirito del mondo:

Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa. Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza.

D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età.

Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello

di ALESSANDRO PINI