Con questa lettera ricevuta da Roberto Dal Bosco continuiamo l’approfondimento, già intrapreso nelle passate settimane, sulle contraddizioni e sulle aporie (spesso complesse) presenti nel mondo Pro-Life di lingua italiana. Data la delicatezza dei temi trattati, siamo sempre disponibili ad ospitare un confronto appassionato e rispettoso tra le varie anime di questo variegato mondo, un mondo che mostra sempre di più la viva necessità di un risanamento di dottrine, di uomini e di politiche.
Cari Amici di Radio Spada,
Questo ritaglio di giornale viene da un settimanale, pubblicato presumibilmente tra il 1974 e il 1975. Potrebbe essere Annabella, ma non ne sono sicuro.
La cosa di cui invece sono assolutamente certo è che l’intervistata non è una omonima. Si tratta proprio di quell’Eugenia Roccella, ora deputata del NCD, che si mostra grande difensora della sacralità della vita umana e della famiglia, la parlamentare-idolo dei pro-life venduti e penna di spicco per Avvenire, oltre che grande cinghia di trasmissione della CEI e la politica almeno dai tempi del Family Day (2007).
Eugenia – «Geni», per gli amici – difende anche ora il suo passato di femminista radicale, come parte integrante della sua persona politica: non solo quando firma per assegnare 9 milioni di euro di finanziamento pubblico a Radio Radicale o quando in Parlamento fa l’elogio funebre di Sergio Stanzani, suo padrino «che non era solo un laico, ma anche fortemente anticlericale e un po’ “mangiapreti”». In fondo, basta leggere la biografia riportata nel suo sito ufficiale: «Per circa venti anni sono vissuta lontana dalla scena pubblica, occupandomi della famiglia [fu quando suo padre Franco fu buttato fuori in malo modo da Pannella dal Partito Radicale, che pure aveva cofondato, ndr] (…), e ho maturato un cambiamento profondo, pur mantenendo molto della mia formazione culturale». Il lettore faccia attenzione: «cambiamento profondo», non «conversione», che è una parola così bella e sintetica da usare… La rivendicazione della personale «formazione culturale» che vuole mantenere è dichiarata apertis verbis. Di questa «formazione culturale» rende conto l’intervista che riporto qui sotto. L’autrice è Paola Fallaci, sorella di Oriana.
Colpiscono nell’articolo l’esaltazione trionfale delle mammane, descritta a chiare lettere anche nel libro presentato («Mammana è la donna che usa il suo sapere antico, tramandando, purtroppo inagibile perché privo di garanzie di sicurezza, in “aiuto” alle donne; è l’unica ad avere assicurato in questi secoli la libertà , rischiosa quanto si vuole, ma libertà, di abortire»), l’apologia dell’aborto con pompa di bicicletta (l’aspiratore elettrico è costoso) e la perniciosa illusione dell’aborto «sicuro, veloce, indolore».
Rivendicando l’aborto-fai-date di cui vergò il primo vero manuale messo in circolazione, la Roccella scrisse «noi usiamo metodi moderni e sicuri». Quel «noi» apre un dubbio – che considero legittimo – sull’aspetto applicativo della sua esperienza in merito.
Infine, un passo profetico, quello nel quale la Roccella dice del caso in cui «la singola donna si metta in bagno a farsi I’aborto da sola. oltre che da incoscienti, sarebbe una cosa impossibile». Ebbene, l’era dell’aborto nel bagno di casa è, come noto, iniziata con l’arrivo della pillola abortiva RU486, la pillola della Morte, che la Roccella vuole distribuita su tutta la penisola. Un documento della Commissione Affari Sociali in cui sedeva anche Eugenia Roccella, infatti, «impegna il governo (…) ad attivarsi affinché su tutto il territorio nazionale l’interruzione di gravidanza farmacologica sia garantita omogeneamente, nell’appropriatezza clinica». (Relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, concernente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, contenente i dati preliminari dell’anno 2012 e i dati definitivi dell’anno 2011. Doc. XXXVII, n. 1, 6 marzo 2014, leggibile anche nel Bollettino delle giunte e commissioni Affari Sociali, XII).
In pratica lo scenario descritto dalla Roccella femminista radicale ventenne – l’aborto sicuro, fatto in casa, vera fantascienza femminista-abortista per quegli anni – è ora fattibile, e – paradosso – proprio quando ella è divenuta deputata dei Vescovi, politica attenta ai valori non-negoziabili, totem parlamentare del finto mondo pro-life italiota.
Ebbene, Eugenia «Geni» Roccella sarà alla Marcia per la Vita. La sua sodale (hanno scritto un libro insieme) Assuntina Morresi – un’altra per cui «la 194 è una buona legge» – è, come noto, tra i conferenzieri del Convegno all’Ateneo Regina Apostolorum il giorno prima della Marcia.
Speriamo di vedere l’On. Roccella in strada il 4 maggio con il popolo della Vita. I marcianti potranno chiederle di persona della sua conversione profonda e della sua credibilità come referente parlamentare dei cattolici.
Buona lettura.
Roberto Dal Bosco
«L’ABORTO FATTO IN CASA»
di Paola Fallaci
Ha una copertina rossa su cui spuntano due mani femminili aperte con i pollici e gli indici uniti, in modo da formare un triangolo che nel linguaggio dei gesti, vuol significare I’organo sessuale femminile. II titolo è traumatizzante: Aborto: facciamolo da noi. II gruppo femminista che I’ha fatto, I’MLD,ha iniziato un giro di conferenze per reclamizzarlo, ma non ha vita facile perché si trova schierata contro la classe medica, soprattutto i ginecologi, che vedono apparire, addirittura in edicola, un piccolo trattato con i procedimenti che neppure loro conoscono.
A questo punto e lecito chiedersi: ma allora Ie donne cosa vogliono? Si battono per l’aborto in ospedale o vogliono quello fatto in casa? Per chiarire questo, siamo andati da Eugenia Roccella, 21 anni (studentessa alla facoltà di lettere di Roma, due incriminazioni a Palermo per «incitamento a delinquere»: in un comizio chiese alle donne di autodenunciarsi per aborto), femminista, che ha curato la pubblicazione del libro. Ecco I’intervista.
Perché: «Aborto: facciamolo da noi»?
«II libro non vuole affatto che la singola donna si metta in bagno a farsi l’aborto da sola. oltre che da incoscienti, sarebbe una cosa impossibile. Alla singola donna vuole dare soltanto informazioni e indirizzi giusti. Indirizzi dove troverà gruppi di donne, i “Self Help”, che le praticano I’aborto secondo la tecnica moderna, sicura e indolore. La nostra proposta è solo un momento della lotta, non ci sogniamo neanche di seguitare per tutta la vita a fare gli aborti in queste condizioni».
Ma si parla di pompe di bicicletta…
«La pompa di bicicletta è soltanto lo strumento che può utilizzare chi non ha l’aspiratore elettrico, difficile da procurarsi e molto costoso. Non c’è nulla di stregonesco in questo, né di anti-igienico, né di agghiacciante: è un procedimento meccanico, molto più ambiguo a descriverlo che a vederlo fare. Certo, da come parli tu, sembra che una donna debba infilarsi la pompa nel corpo e mettersi furiosamente a pompare! Non e mica così».
Ma tu lo faresti un aborto con la pompa di bicicletta?
«Sicuramente non lo farei con il raschiamento. E andrei da un gruppo di donne proprio per l’appoggio morale e la garanzia che mi darebbero».
Ma non sarebbe meglio tenervi un medico vicino?
«Magari! Vorrebbe dire che avremmo già vinta la battaglia per l’aborto, vorrebbe dire cioè che i medici accettano di fare aborti a basso prezzo e ad alta garanzia».
È per questa che insistete sul fatto che l’aborto con il metodo Karman può essere fatto anche da personale non medico?
«Sì. Lo stesso Karman, che è psicologo e non medico, usa nelle sue cliniche donne che hanno già abortito e alle quali è stato insegnato ad eseguire gli aborti. Lui afferma, da buon psicologo, che è moralmente più efficace l’aiuto di una donna che quello freddo e professionale di un medico, tanto più che il metodo dell’aspirazione è sicuro, veloce, indolore e non occorre l’anestesia».
Ma l’aborto fatto in un modo così clandestino vi fa scendere al livello di mammane?
«Non mi considero insultata per la tua domanda, anche se l’intenzione c’è. Ma prova a pensare: in fondo, la mammana cos’è? È I’unica che abbia offerto un po’ di solidarietà alle donne. E non per arricchirsi come certi medici che noi trattiamo con molto rispetto, dimenticando che loro, “i dottori”, avevano i mezzi per evitare alle donne le stecche d’ombrello, i decotti e i gambi di prezzemolo, ma non li hanno mai voluti usare. Non siamo noi le mammane, ora. Noi usiamo metodi moderni e sicuri».
Ma non è terribile I’idea di usare un colino per vedere ciò che è stato estratto dal corpo della donna, frugare alla ricerca di cartilagini? Cito dal libro.
«E che cosa credi che facciano i medici? Mica fanno il funerale coi fiori! Il nostro problema, invece, è quello di rassicurare le donne, di far loro vedere che non hanno ucciso nessun “bambino”. Bisogna tenere presente, infatti, che il metodo Karman è applicabile solo nelle prime settimane, quando l’embrione è ancora una massa informe. Da noi le donne vengono con fiducia, si parlano, si aiutano, si tengono per mano. Vai a vedere negli ambulatori: dopo l’anestesia, le donne si svegliano e piangono. Gli aborti sono un trauma, non dimentichiamolo. Ma con noi, che capiamo e consoliamo le donne, lo sono di meno».
Paola Fallaci
SI SI – NO NO.
Tutto il resto viene dal maligno.
Forza Dal Bosco.