Da un altro lettore, e medico, riceviamo un contributo al dibattito sull’espianto e trapianto degli organi umani (qui la precedente “puntata”). Rinnoviamo l’invito a chiunque sia interessato a replicare o a farci pervenire le sue osservazioni sul tema. [RS]

 

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di Enrico De Dominicis, specialista in Anatomia Patologica, dottore di ricerca in Patologia Umana, medico legale in formazione specialistica

È normale che spesso, avendo a che fare con protocolli, metodiche, teorie e tecniche scientifiche e biologiche, si venga portati a credere che l’uomo abbia la possibilità di curare e modificare l’andamento, se non di qualsiasi patologia, almeno della maggior parte. Purtroppo nella mia esperienza questo non è per nulla vero e chi ritiene di avere le chiavi della vita e della morte inganna se stesso e il prossimo. Questo è il caso di un tema per nulla scontato quale quello della cosiddetta diagnosi di “morte cerebrale”. Ma se è morte e basta, perché chiamarla “cerebrale”?

Da un punto di vista prettamente medico legale, la Lega Nazionale contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente porta avanti una battaglia del tutto legittima e di tutela minima dei cittadini.
Occorre sapere che la pratica medica di qualsiasi tipo è illegittima fino a quando il paziente non esprime un consenso motivato e basato su una corretta spiegazione da parte del sanitario curante. Questo dovrebbe valere a maggior ragione nei confronti di una persona che, potenzialmente, potrebbe diventare un donatore di organi. La cosa drammatica in questo caso è che non esiste, se non da parte di questa Associazione, alcuna informazione ovvero sensibilizzazione riguardo tale problema. La regola aurea è il “silenzio assenso”, cosa che contraddice in maniera palese il consenso informato.

Attualmente è in vigore la Legge n. 91 del 1° aprile 1999, detta del silenzio assenso, promozione trapianti, organizzazione, finanziamenti, export-import. Questa legge prevedeva che il Ministro della Sanità avrebbe emanato un decreto attuativo con 10 direttive per la schedatura dei cittadini in donatori e non-donatori: come e quando le ASL avrebbero dovuto inviare notifica documentata a ciascun cittadino per presentarsi a dichiarare la propria volontà. Solo dopo tale notifica, quanti non avrebbero risposto all’ASL, sarebbero stati considerati d’ufficio come donatori. Purtroppo e da più di 15 anni che si attende tale decreto. Nel frattempo, fa comodo ma è illegittimo infischiarsene della volontà del paziente, soprattutto perché, in questo caso non vale nemmeno il discorso dello “stato di necessità”, dato che colui che non può esprimere il consenso perché è incosciente, non sta per essere salvato, ma soppresso. È importante inoltre ricordare che i parenti non possono assolutamente dare un consenso valido per nessuna pratica medica o chirurgica, figuriamoci per un espianto di organi. Basti pensare che un chirurgo che causa la morte di un paziente operato senza il consenso può essere accusato di omicidio volontario.

Il lettore a questo punto si chiederà: ma come hanno fatto i chirurghi dei trapianti a superare il grande ostacolo del consenso informato? È molto semplice: dichiarando la persona dalla quale si espiantano gli organi come morta. E un morto non si può uccidere. Il discorso quindi si sposta su un altro piano, ben più difficile e pericoloso. E mi sorprende come alcuni colleghi che si dichiarano cattolici si muovono con disinvoltura in questo campo.

Come si fa a capire se una persona è morta? Il Borri nel suo Trattato di Medicina Legale parlava di “segni abiotici immediati”: cessazione definitiva del respiro, del circolo e della funzione nervosa. In questi casi ci sono pochi dubbi, ma gli organi purtroppo in questo caso non possono essere espiantati perché la circolazione del sangue è ferma e i fenomeni post-mortali sono già iniziati. Ancora nella Circolare 24/06/1993, n° 24 del Ministero della Sanità era riportato che “per cadavere si intende il corpo umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratoria e cerebrale”. Diversa è la situazione in cui siano presenti gravissime e massive lesioni cerebrali distruttive, l’accertamento della morte è effettuato ex lege 578 del 1993 da una collegio medico composto da 3 membri e l’osservazione non può essere
inferiore alle 6 ore. In questo caso è considerata cruciale la perdita di tutte le funzioni dell’encefalo dimostrata dalla cessazione irreversibile delle funzioni del tronco encefalico. Detta così può sembrare una procedura semplice e standardizzata, tuttavia soltanto il fatto che il Collegio può essere composto da medici che hanno competenze molto diverse tra di loro pone qualche dubbio. Inoltre alcune, se non tutte le metodiche, sono operatore-dipendente. Wijdicks, ad esempio, in un recente lavoro elenca tutti i possibili errori che possono commettere i medici in questo tipo di valutazione (Neurol Res 2013 Mar 35 (2): 169-73) e la letteratura internazionale è ricca sull’argomento.

Gli stessi Gerin e Merli avevano espresso perplessità sull’utilità dell’utilizzo dell’EEG per dimostrare la morte cerebrale. Le obiezioni vengono sollevate anche a livello internazionale dalla comunità scientifica: neurochirurghi giapponesi hanno salvato 14 pazienti su 20 con ematoma subdurale acuto associato a danno cerebrale diffuso e 6 su 12 con ischemia cerebrale globale da arresto cardiaco da 30 a 47 minuti, riportandoli a normale vita quotidiana, con pieno ristabilimento delle capacità di comunicazione verbale.

Una dichiarazione affrettata di cosiddetta ‘morte cerebrale’ senza che sia stata tentata tale terapia potrebbe ben costituire omicidio o, come minimo, premeditata omissione di soccorso e malpractice. (Yoshio Watanabe MD; Cardiac Transplantation: Flaws In The Logic Of The Proponents. JPN Heart J, Sept 1997 – Hayashi N, MD, Brain Hypothermia Therapy, JPN Med J, July 6, 1996)

Sul sito della Lega Nazionale Contro la Predazione si trovano altre dichiarazioni molto interessanti di diversi Autori:

  • Prof. Dr. Massimo Bondì, L.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma, chirurgo generale e patologo generale: «La morte cerebrale è ascientifica, amorale e asociale» (Audizione Commissione sanità 1992).
  • Dr. David W. Evans, Fellow Commoner of Queens’ College Cambridge, cardiologo dimessosi dal Papworth Hospital per opposizione alla “morte cerebrale”: «C’è grande differenza tra essere veramente morto ed essere dichiarato clinicamente in morte cerebrale» (Audizione Commissione sanità 1992).
  • Dr. Robert D. Truog, Dr. James C. Fackler, Harvard Medical School Boston: «Non è possibile accertare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello» [Critical Care Medicine, n° 12, 1992, “Rethinking Brain Death” (Ripensamento sulla morte cerebrale)].
  • Prof. Peter Singer, Presidente dell’Associazione Internazionale di Bioetica: «…la morte cerebrale non è altro che una comoda finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il procacciamento di organi» (Congresso di Cuba 1996).
  • Dr. Cicero Galli Coimbra, Head of Department neurology and neurosurgery, Univ. Sau Paulo, Brasil: «…i protocolli diagnostici per dichiarare la morte cerebrale (test dell’apnea) inducono un danno irreversibile su pazienti che potrebbero essere salvati» (Convegno internazionale Roma 19/2/2009).

In un panorama così complesso in cui sono implicati molteplici interessi, non ultimi quelli economici, un’Associazione che fa divulgazione e sollecita una scelta consapevole è, a mio avviso una cosa positiva. Perché è semplicemente di questo che si parla: permettere a una persona di scegliere se donare o meno i propri organi se si trova nelle condizioni di non poter esprimere un tale consenso. In questo caso si entra in una sfera personale che esula da valutazioni “scientifiche”.

 

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