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Con quest’articolo continua la pubblicazione in varie puntate (qui la prima e qui la seconda) di una “Breve storia critica del Crocifisso nell’arte a cura di Luca Fumagalli,  socio fondatore e membro storico di Radio Spada. Ogni puntata sarà pubblicata, salvo emergenze, nel giorno di Sabato, in ossequio alla Beata Vergine Maria, Regina e Corredentrice del genere umano.

di Luca Fumagalli

3. Le prime testimonianze prima del Crocifisso

 

Non si sbaglia di certo chi sostiene che «si potrebbe riscrivere tutta la storia dell’arte, nata dopo l’avvento del  cristianesimo, servendosi  solo  dell’immagine  del  Crocifisso»[1]:  nessun tema, infatti, è così costantemente riproposto nel corso dei secoli come quel momento di somma sofferenza del Salvatore, ingiustamente accusato e condannato alla dolorosissima pena della croce. La crocifissione potrebbe dunque essere un soggetto mirabile, proprio perché frequentemente riproposto,  per analizzare e studiare con minuzia e precisione ulteriore non solo l’evoluzione delle tecniche e degli stili che hanno interessato l’arte nel corso degli anni, ma anche la sensibilità e l’idea che nel corso dei secoli, costantemente mutabile, ha accompagnato la meditazione intorno a quel momento nevralgico narrato dai Vangeli.

Come la Croce, paradosso estremo del Dio che si fa uomo e che muore come il peggior delinquente per restituire al mondo la Vita, anche la storia della crocifissione nell’arte nasce con un paradosso: infatti il primo Crocifisso di cui noi abbiamo testimonianza è un disegno blasfemo. Si tratta di un graffito pagano ritrovato nel paedagogium del Palatino a Roma e databile al II sec. in cui si vede un uomo pregare ai piedi di una croce su cui è inchiodata una figura umana con la testa d’asino; un’eloquente scritta accompagna la scena: “Alexamenos sebete theon” ossia “Alessameno adora il suo Dio”[2]. Le figure sono piuttosto consunte, e anche la parete è deteriorata ma possiamo notare due particolari molto interessanti nell’ordine di quanto affrontato nel precedente paragrafo: anche se disegnato con intenti denigratori, il Crocifisso è rappresentato con il colobio (una tunica senza maniche) e non completamente nudo; inoltre è da notare ai piedi della Croce la presenza di un suppedaneum stilizzato che confermerebbe il suo uso storico e non meramente artistico.

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Comunque, a parte questa eccezione, bisognerà aspettare la fine delle persecuzioni contro i cristiani da parte dei romani e l’editto di Milano nel 313 per riscontrare una produzione piuttosto stabile di Crocifissi. Dunque la figura del Cristo nel momento della sofferenza estrema entra nell’arte a poco a poco. Del resto si sa che la legge ebraica vietava, per timore dell’idolatria, di formare immagini sacre, e i cristiani primitivi, venuti dalla gente ebraica o posti sotto l’influenza delle idee e delle abitudini ebraiche, dovettero necessariamente risentire di questo divieto. «Si aggiunga il naturale orrore che i primitivi cristiani, vivendo in mezzo a un popolo pieno di idoli e di riti idolatrici, dovettero avere per l’idolatria»[3]; furono quindi trattenuti dalla prudenza e dalla devozione. Infatti possiamo immaginare che rappresentare Cristo su una croce, quasi fosse un volgare malfattore, dovesse sembrare offensivo in tempi in cui perdurava ancora tale supplizio. San Paolo aveva già avvertito che il Crocifisso appariva «Iudaeis quidem scandalum, gentibus autem stultitiam»[4].

Avendo riguardo di queste premesse, l’iconografia del Salvatore procede lentamente in un perfezionamento progressivo. Nel caso della Crocifissione, l’antenato prossimo nel mondo figurativo cristiano è tutto quell’insieme di simboli stilizzati  che comunemente vengono chiamati “Croci monogrammatiche”, costituite appunto da un monogramma (simbolo grafico formato dall’uso di una o più lettere intrecciate tra loro). Si va dalle forme più antiche simili a X o ad asterischi (risultanti dalle iniziali Iesus Crhristus) per giungere al monogramma costantiniano formato dall’incrocio delle prime due lettere del nome greco Cristos. Nel corso degli anni le croci monogrammatiche si evolvono fino a raggiungere una elaborazione grafica ulteriore come dimostra il simbolo dell’ancora (nelle iscrizioni, sulle pitture, nelle lampade di bronzo) o del tridente (spesso associato con un delfino, considerato nell’antichità amico e salvatore degli uomini).

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Sulla fine del IV sec., la Croce appare finalmente disegnata apertamente, come segno della redenzione e come oggetto di culto. Appare sulle monete, sui dittici consolari, sulle pareti delle chiese, dei sarcofaghi, sulle porte delle case e sulle colonne. Però la Croce è nuda, senza la Vittima Augusta: l’artista cristiano non ha ancora il coraggio di rappresentare il Salvatore e le sue sofferenze. In compenso la Croce, percepita come simbolo glorioso della redenzione e della vittoria sul paganesimo, si fa maestosa, è rivestita di fiori o gemme e si configura come una manufatto prezioso, radioso e degno del trionfo di Gesù sulla morte.

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L’inventio crucis (325) diede poi ulteriore sviluppo alla croce come sigum victoriae, alla crux invicta che contraddistinguerà tutta l’antichità. Quando si voleva esprimere più palesemente la crocifissione si ricorreva alla figura dell’agnello posta ai piedi della Croce oppure nel mezzo (erano usati, anche se piuttosto raramente, altri animali simbolici come il delfino). Solo in un secondo momento assistiamo alle prime raffigurazioni del buon pastore che porta la croce in mano o del Cristo accanto alla croce stessa[5].

Tra IV e V sec. si diffonde l’uso della Croce in ambiente profano, diventando il segno preferito dei gioielli e dell’oreficeria. Si arricchisce inoltre di ulteriori valenze teologiche e spirituali, venendo ad esprimere la potenze e l’autorità terrena, ecclesiastica e laica, sottomessa ad una consacrazione novella[6].

[1] Cit. in A. DI BONAVENTURA, Una croce nell’arte, in AA. VV., Terza biennale d’arte sacra. La Croce, Milano, Electa, 1988, p. 11.
[2] Ispirandosi a questo graffito, Pascoli scrisse un componimento in latino dal titolo Paedagogium (medaglia d’oro al concorso di poesia latina d’Amsterdam nel 1904) in cui viene immaginata, nell’economia degli scherzi e delle liti fanciullesche tra i giovani studenti, la vicenda che porta alla realizzazione dell’offensivo disegno.
[3] COSTANTINI, Il crocifisso nell’arte, p. 57.
[4] Cor., I, 23.
[5] L’iconografia dell’agnello del resto prestava involontariamente il fianco all’eresia monofisita che, riconsiderando in Cristo la sola natura divina, considerava il sacrificio sulla Croce in chiave puramente simbolica. Conseguentemente le sette monofisite si rifiutavano di rappresentare il Cristo inchiodato alla Croce, pur accettando di mettervi l’agnello. I padri del concilio Trullano avvertirono questo pericolo: l’anno 692 segnò la data d’approvazione ecclesiastica dei crocifissi realistici il cui numero, a partire da questa epoca, andò costantemente aumentando.
[6] Già Nepoziano, nipote di Costantino, nel 350 fece incoronare in una moneta il globo imperiale con il monogramma di Cristo. E la croce non tardò ad apparire sulla corona imperiale prima con Valentiniano III (402-455) in Occidente e poi con Giustiniano I (518-529) in Oriente. 

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