WOJTYLA: CHIESTO IL 'CULTO UNIVERSALE', COME PER I SANTI

 

di Martino Mora

 

Con la canonizzazione di Giovanni Paolo II e quella di Giovanni XXIII,  siamo ad una svolta di importanza storica per la Chiesa cattolica, come lo furono in tempi relativamente recenti certe giornate del Concilio Vaticano II o la grande riunione deistica di Assisi 1986. E’ un’altra tappa dell’autodemolizione della Chiesa cattolica e quindi della nostra civiltà, perché da oggi sarà ancora più difficile uscire dalla spirale perversa dell’autosecolarizzazione della Chiesa, iniziata  dal Concilio Vaticano II e poi proseguita progressivamente nei decenni successivi. Si tratta quindi di una giornata di assoluta importanza storica, ma anche veramente tragica, nell’implicita volontà di chi ha voluto beatificare e canonizzare i due papi, di tagliare i ponti con la Tradizione della Chiesa, e quindi con l’essenza stessa del cattolicesimo, che è Tradizione quanto  è Scrittura, come affermarono esplicitamente il Concilio di Trento e il Concilio Vaticano I.

C’è però una differenza essenziale tra la canonizzazione di Roncalli e quella di Wojtyla. E’ una differenza molto evidente che stranamente anche  commentatori acuti come Roberto De Mattei non hanno rilevato: Roncalli ha avviato il discutibilissimo Concilio Vaticano II e ha detto e fatto cose discutibili , dietro alle quali si possono anche ravvisare implicite tendenze pelagiane, nonché l’adesione acritica al mondialismo nell’enciclica “Pacem In Terris” del 1963, e l’accettazione, per la prima volta da parte di un pontefice,  del  giusnaturalismo moderno nella stessa enciclica.  Però non ha mai pubblicamente bestemmiato. La sua canonizzazione quindi non è chiaramente invalida. E’ una canonizzazione  discutibile per quello che ha significato il pontificato giovanneo, ma non è chiaramente invalida.

Wojtyla, invece,  ha pregato non si sa quale entità indefinita davanti a simboli sacri di altre religioni, ha baciato un testo (il Corano) dove vi è scritto che Cristo non è il Salvatore e che la religione cristiana è una mistificazione, e  ha poi messo in dubbio pubblicamente verità dogmatiche come quella della dannazione eterna all’inferno.   Trattandosi del supremo custode e difensore dei contenuti della fede cattolica (perché è questo il ruolo del papa, come è sempre stato per duemila anni, e non quello del globetrotter umanitario!), quindi  non un cristiano qualunque come il sottoscritto, ha evidentemente bestemmiato. Tutto questo va al di là dei meriti storici che pure ha avuto, senz’altro in misura maggiore di Roncalli. Nella  lotta contro il comunismo, ad esempio, il suo ruolo è stato molto importante, come lo è stata la sua critica al materialismo pratico delle opulente società occidentali (seppure in modo non esente da  contraddizioni, come vedremo). Queste sono cose importanti, molto importanti,  ma secondarie per un pontefice. Il pontefice è il supremo custode della dottrina cristiana, è il rappresentante visibile delle verità di fede.  Il primo compito del pontefice è difendere e conservare  il patrimonio della fede.

 

Questo Wojtyla l’ha fatto malissimo.  Ed innanzitutto su questo va giudicato come papa. Ed anche il giudizio sulla sua condotta privata, che pare essere stata per molti versi encomiabile, non è disgiungibile dal suo operato in quanto capo spirituale del mondo cattolico, erede di Pietro, rappresentante di Cristo in terra, supremo custode della fede cattolica.

Per questo trovo ampiamente condivisibile il giudizio che la laica, laicissima antropologa Ida Magli espresse nel suo articolo del 2004 intitolato “I tradimenti di Wojtyla” :

“Wojtyla … ha imposto come unica linea d’azione, come un dogma, quell’ottuso “principio del dialogo” che di fatto ha significato sul piano teologico la sottomissione del cristianesimo all’ebraismo e all’islamismo, e come conseguenza concreta, l’allontanamento quasi totale dei cristiani d’Occidente dalla religione”. Cosa quest’ultima che ha molto a che fare col relativismo e il sincretismo religioso imposto mediaticamente da Giovanni Paolo II.
 

Bacio del Corano ed altre eterodossie

Il filosofo  Remi Brague, uomo estremamente misurato e prudente,  estraneo al mondo del cosiddetto “tradizionalismo cattolico”, si scandalizzò quando seppe che il 14 maggio 1999 Giovanni Paolo II, pontefice in carica della Chiesa cattolica, aveva baciato  un Corano portatogli in dono da un imam sciita iracheno, sotto gli occhi sconcertati del patriarca caldeo Raphael  Bidawid.  In un’intervista alla rivista francese “La vie”” Remì Brague definì quel gesto “un grave errore”, aggiungendo subito dopo  che il papa “avrebbe fatto bene prima a leggerselo”.  In effetti nel Corano c’è scritto che Cristo non è mai morto in Croce (vi sarebbe infatti finito un sosia), che non è mai risorto dai morti, che è stato un profeta ma non il Figlio unigenito di Dio, ed infine che i cristiani si sono inventati di sana pianta tutte queste cose. Ma come è possibile pensare, si potrebbe rispondere a Brague, che il papa polacco  non fosse al corrente di almeno una parte di queste informazioni? E se anche fosse stato davvero completamente ignorante sulla natura del libro sacro dei musulmani (cosa di cui dubito)  questa ignoranza non sarebbe comunque colpa grave, tanto più per un pontefice?

Anche a prescindere dall’aspetto teologico dirompente di quel gesto – e di cui ancora oggi  il clero ed i fedeli cattolici appaiono  nel complesso assurdamente inconsapevoli –   le conseguenze politico-religiose  non si fecero attendere. E così le descrisse la politologa francese Annie Laurent sulla rivista “Valeurs actuells:  «Il bacio del Corano di Giovanni Paolo II, portato in dono da una delegazione irachena, nel 1999, ha suscitato un forte smarrimento presso i cristiani d’Occidente e d’Oriente, come se fosse un’attestazione ufficiale della veridicità dell’islam» . Nel frattempo, come ha notato qualcuno, Il Vaticano ha fatto sparire da tempo dal  suo sito  il riferimento a quell’evento.

Il bacio del Corano non è stato comunque un episodio isolato, ma il culmine di una serie interminabile  di gesti discutibilissimi, tra i quali potremmo ricordare, in ordine sparso: la a preghiera davanti alla statua del Buddha  nel 1986 ad Assisi; le preghiere con gli stregoni africani  durante un culto animista (9 agosto 1985) in Togo; le parole di apprezzamento per gli stregoni della magia nera voodoo in Benin (4 febbraio 1993);  la preghiera talmudica al Muro del Pianto (26 marzo  2000), le preghiere nelle sinagoghe e per due volte nella moschea di Damasco; le parole di stima per Lutero (17 dicembre 1983) quando ne propose la rivalutazione, e  le parole di elogio per l’eretico boemo Ian Hus (17 dicembre del 1999, notare la coincidenza delle due date); il discorso ai giovani musulmani allo stadio di  Casablanca (19 agosto 1985), dove in un tutto il discorso  non pronunciò una sola  volta il nome di Cristo, affermando invece che cristiani e musulmani adorano lo stesso Dio, dichiarazione poi ripetuta in diverse altre occasioni (occultando volontariamente, quindi,  tutte le differenze decisive :  la divinità di Cristo, il dogma dell’Incarnazione e quello della Santissima Trinità). Poi l’invocazione a San Giovanni il Battista perché proteggesse l’islam (Terra Santa, 21 marzo 2000); il rifiuto della tradizionale “teologia della sostituzione” (e quindi l’implicita considerazione che il popolo ebraico non abbia bisogno di Cristo per la salvezza), per la prima volta espresso in un discorso a Mainz  (17 novembre 1980) in in cui disse che “l’ Antica alleanza non è mai stata revocata”.  Su ognuno di questi gesti o di queste esternazioni, che rompono  con la Tradizione bi millenaria della Chiesa, a volte anche con quella dogmatica, si potrebbe scrivere almeno un articolo. Ma è un compito  talmente triste ed irritante al contempo, che lo  lascio agli specialisti di tali questioni, se vorranno cimentarsi in tal senso.

Poi, naturalmente,  dulcis in fundo, non possiamo dimenticare la grande riunione relativistica del 27 ottobre 1986, poi replicata il 24 gennaio 2002 (e riproposta da Benedetto XVI il 27 ottobre 2011),  manifestazione principe  di quella deistica “religione naturale” di cui ha scritto un non credente  ma non ostile alla Chiesa qual è il grande storico tedesco Ernst Nolte.  La grande riunione interreligiosa di Assisi, che contraddisse  il divieto che i papi precedenti avevano  imposto ai cattolici di partecipare ad eventi del genere (ad esempio  Pio XI  nella “Mortalium animos” del 1928), ha contribuito come forse nessun altro evento della storia del cattolicesimo a diffondere tra i cattolici, anche praticanti, l’idea che tutte le religioni siano ugualmente buone e quindi, di conseguenza, che nessuna di loro, nemmeno quella cristiana, è veramente e unicamente salvifica. Insomma: la riduzione del Cristo ad un optional. Come è possibile constatare (e parlo per esperienza personale) parlando con molti cattolici che frequentano  le parrocchie italiane (figuriamoci gli altri!).

 

Le riflessioni di Nolte

Hai scritto Ernst Nolte nel suo testo intitolato “Wojtyla d’Europa”, pubblicato dal mensile “Liberal” anni  or sono e poi riproposto  dalla stessa testata il  30-4 2011 sotto il titolo “La terza via”:

“Il nuovo giudeo-cristianesimo che potrebbe sorgere in conseguenza del Concilio vaticano II e dell’attività di Giovanni Paolo II sarebbe una genuina religione certamente simile alla kantiana “religione dell’umanità”. E pur giustamente premettendo che “individuare nelle encicliche e negli interventi di Giovanni Paolo II solo le tendenze verso la religione dell’umanità o verso il giudeo-cristianesimo significa farne una lettura molto unilaterale”, Nolte afferma anche: “papa Pio IX avrebbe giudicato le grandi prediche del suo successore, che chiedevano in tutto il mondo, davanti a milioni di spettatori, il rispetto dei diritti umani, non per ultimo il diritto alla libertà religiosa, manifestazioni di una deistica “religione naturale” secondo il modello di John Toland  o Immanuel Kant”. O, se vogliamo, della massoneria, potremmo aggiungere noi, di cui Toland fu un esponente importante e Kant un simpatizzante, come molti sanno.

Nolte prosegue nella sua analisi distaccata di non credente non ostile al cattolicesimo: “Credo che alcuni sviluppi molto avanzati, per esempio quello di sottolineare  soprattutto i diritti umani, come ha fatto papa Giovanni Paolo II, sono anch’essi un fenomeno della secolarizzazione. Un cristiano non deve parlare dei diritti dell’uomo, ma dei diritti dati da Dio all’uomo”. Ed infatti fino alla “Pacem in Terris” (1963)  di Giovanni XXIII (vero manifesto del mondialismo) i diritti umani, cioè il giusnaturalismo moderno, erano stato sempre  rifiutati dalla Chiesa (nonostante gli sforzi in senso opposto prima dei modernisti e poi di  Jaques Maritain) in nome del giusnaturalismo classico, cioè di un  diritto di natura estraneo al soggettivismo e all’individualismo moderno.

 

Apocatastasi ed inferno vuoto

Infine Nolte tocca un altro argomento sul quale Wojtyla ha espresso, seppure in forma ipotetica, opinioni  sempre condannate nella storia della Chiesa: “ I fondamentalisti cattolici (sic!) intorno all’arcivescovo Lefebvre, già da subito mossero al papa violenti rimproveri, giudicandolo addirittura un eretico, in quanto egli faceva almeno credere di attribuire alla dottrina del supplizio eterno solamente un significato simbolico”.

Lasciando da parte il termine “fondamentalismo”, che è estraneo alla cultura cattolica e riguarda semmai il protestantesimo americano, Nolte tocca qui il problema della ”apocatastasi”, cioè  del ”ristabilimento” . della “reintegrazione”, la dottrina eretica formulata da Origene d’Alessandria (185-284) secondo la quale le sofferenze dei dannati all’inferno non sarebbero eterne ma solo temporanee, perché alla fine del mondo Dio perdonerà le loro colpe, e quindi anche queste anime prave verrebbero “reintegrate” alla presenza divina. Persino i diavoli verrebbero reintegrati.  E’ bene notare che il Concilio di Costantinopoli del 543 condannò definitivamente questa dottrina come eretica, affermando che Se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema”. Una condanna senza se e senza ma, definitiva, che non è più possibile rimettere in discussione.  Evidentemente a Giovanni Paolo II riprendere l’eresia origeniana, sebbene soltanto come ipotesi, non è costato nessun anatema, semmai la canonizzazione. Nel suo libro intitolato “Oltre la soglia della speranza” (1994), scritto con il noto giornalista Vittorio Messori, Wojtyla ha infatti affermato:  “Di nessuno, neppure di Giuda, si può parlare con sicurezza di eterna dannazione” (pagine 201-202). Un cattolicesimo molto creativo, potremmo dire.

Cinque anni più tardi, il 28 luglio 1999 durante un’ udienza generale, (anno di grande ispirazione, lo stesso del bacio del Corano e dell’elogio di Ian Hus) Giovanni Paolo II  cambiò leggermente versione per meritarsi un doppio anatema: invece dell’apocatastasi  ipotizzò che l’inferno potrebbe essere vuoto già da subito: “La dannazione – disse Wojtyla – rimane una reale possibilita’, ma non ci e’ dato conoscere, senza speciale rivelazione divina, SE e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti”.  Il SE è la chiave del ragionamento.  E’ da notare che, prima della canonizzazione, questa frase compromettente è sparita dalla copia del discorso presente sul sito del Vaticano.

Queste affermazioni wojtyliane possono essere lette come il prodotto della rottura con la Tradizione inaugurata dal Concilio Vaticano II, ma si potrebbe  anche ipotizzare una spiegazione dovuta alle origini polacche di Giovanni Paolo II. La Chiesa polacca, infatti, pur rimanendo nella sua maggioranza fedele a Roma e all’ortodossa dottrina cattolica, risentì per lungo tempo non soltanto dell’influenza calvinista  e luterana, ma anche di quella anabattista e soprattutto sociniana.  I “Fratelli polacchi”, detti anche “Chiesa riformata minore”, dalla seconda metà del secolo XVI fino agli inizi del XIX secolo furono una presenza radicata sul territorio polacco. Influenzati dall’eretico senese  Fausto Sozzini (1539-1604), nipote dell’ altrettanto famoso Lelio (dal quale  il termine “socinianesimo”), rappresentarono la corrente più radicale della Riforma protestante, insieme all’anabattismo, mettendo in discussione pressoché tutti i dogmi cattolici, dalla Trinità, alla divinità di Cristo, alla validità di tutti Sacramenti. Nonostante la dispersione  definitiva dei Fratelli polacchi dopo il 1810, le loro dottrine continuarono ad influenzare indirettamente e sotterraneamente una parte minoritaria del cattolicesimo polacco. E’ quindi forse ipotizzabile che papa Wojtyla sia stato influenzato – nella sua indifferenza, per così dire, ai contenuti dogmatici e veritativi della fede-  da questa tradizione  sotterranea e minoritaria del cattolicesimo della Polonia. Ma questa, naturalmente,  è soltanto un’ipotesi.

 

                                                       Diritti umani e confusione mentale

Durante il viaggio che lo portava in visita nella cuba di Fidel Castro, nel gennaio del 1998, un nugolo di giornalisti interrogò papa Wojtyla su diverse questioni politiche e religiose. Chi scrive ha potuto rivedere recentemente, su Rai Storia, gran parte di quell’intervista alla stampa.  Giovanni Paolo II, sempre a suo agio coi giornalisti, affermò di aver osteggiato il comunismo, ma di guardare con diffidenza anche il materialismo pratico che caratterizza il modello di vita occidentale, nonché il liberalismo individualistico.  Benissimo, potrei dire, sono perfettamente d’accordo. Un attimo dopo però cominciò con una lunga  filippica  sui “diritti umani“, che a suo dire andavano diffusi ovunque. Dopo alcuni minuti di insistenza su questo tema, tornò a criticare da una parte il collettivismo comunista e dall’altra l’esasperato individualismo liberale. Orbene, anche gli studenti di quarta liceo capiscono perfettamente che i diritti umani sono l’essenza  dell’individualismo liberale. Come è possibile scagliarsi contro il liberalismo individualistico e al contempo sostenerne il cuore pulsante? Così ho finalmente capito che papa Giovanni Paolo II, al di là delle buone intenzioni, era un misto di impreparazione teorica e di confusione mentale. Solo chi non capisce niente, ma proprio niente  – qui lo dico con profondo dispiacere, non con irrisione – può dirsi contro l’individualismo liberale ed al contempo esaltare i diritti umani. E pensare che qualcuno ebbe la cortigianeria di definirlo “un grande pensatore”! Siamo alle comiche.                                    

Tralasciamo i nuovi concordati fallimentari che Giovanni Paolo II ha firmato (come quello italiano del 1984, che di fatto ha privato le ultime  generazioni di un insegnamento serio della religione cattolica nella scuola pubblica, ormai ridotto a farsa.) Tralasciamo i continui mea culpa, dietro ai quali la  modestia del papa che chiedeva perdono si confondeva con l’arroganza tipica dell’uomo moderno nel giudicare il passato secondo modelli illuministi. Tralasciamo l’ignoranza  che Wojtyla dimostrò nel valutare storicamente un  fenomeno complesso come le  Crociate, anch’esse coinvolte nei suoi mea culpa.  Soffermiamoci invece su ciò che è più evidente:  le azioni di papa Wojtyla, come la sua beatificazione e la sua canonizzazione (a tempo di record, per giunta), rappresentano una rottura profondissima con la Tradizione cattolica, cosa veramente imperdonabile dato che il Concilio di Trento nel 1546 ed il Concilio Vaticano I nel 1871 hanno affermato essere la Tradizione fonte della Rivelazione divina alla pari della Sacra Scrittura.

Il Concilio Vaticano II in alcuni suoi documenti fondamentali, la grande riunione interreligiosa a sfondo deistico e paramassonico del 1986,   fino alla giornata storica  che ha canonizzato questi due papi a forte caratura modernista,  sono tutti gradini di un allontanamento progressivo dalla Tradizione della Chiesa e dall’insegnamento di tutti i pontefici precedenti al 1956. L’”ermeneutica della continuità “ può fare solo sorridere.

Certo, con queste canonizzazioni, la rottura evidente con la Tradizione  è ancora più forte , perché oggi sarà ancora più difficile tornare all’autentica fede cattolica. La “Chiesa conciliare”, come la definì il cardinale Giovanni Benelli, uno dei suoi membri di spicco, attraverso questi due papi  santifica se stessa e rompe i ulteriormente i ponti col passato. Naturalmente si tratta di un atto di debolezza più che un atto di forza. Se occorre ricorrere a questi escamotages per trovare la forza per andare avanti, vuol dire che la macchina clericale è un gigante con i piedi d’argilla. E proprio papa Francesco,  popolarissimo  presso i cattolici e ancor di più presso gli anticattolici,  con il suo lassismo permissivista, con il suo relativismo filosofico , con la sua continua presenza mediatica, con le  lettere sgangherate e pietose dal punto di vista dottrinale  pubblicate dai giornali, potrebbe essere, paradossalmente, colui che farà tremare tutto.  Ma chi vivrà vedrà.

 
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