“Il kalashnikov contro chi ha distrutto le nostre chiese”

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Constantine con una mano alza il kalashnikov al cielo, con l’altra ti mostra la croce di legno appesa al collo. Poi ti spinge verso il parapetto della terrazza affacciata sulle gole di Malula. Guarda cos’hanno fatto del nostro povero villaggio. Guarda cos’è rimasto. È per questo che abbiamo preso le armi. È per questo che festeggiamo la vittoria di Bashar Assad a queste elezioni. Lui è il solo in grado di salvarci e garantire la nostra sopravvivenza ”. Fino allo scorso settembre Constantine, 44 anni, era un aiutante di sacrestia o meglio, come si definisce lui, un “uomo del Vangelo” . Oggi è un combattente infuriato e pronto ad uccidere. Per capire perché basta guardarsi attorno. Sopra e sotto di noi c’è un villaggio fantasma. Un grappolo di case abbarbicate alle rocce dove granate e colpi mortaio hanno scavato voragini annerite. 

Fuoco ed incendi hanno fatto il resto trasformando in scheletri anneriti le abitazioni sopravvissute ai bombardamenti. Un tempo questa era Malula, un villaggio simbolo della cristianità siriana. Qui si parlava l’antico aramaico, la lingua di Gesù Cristo. Qui erano conservate le reliquie del cristianesimo delle origini. Qui arrivavano turisti da tutto il mondo. Di tutto questo oggi rimane assai poco. A settembre i ribelli alqaidisti di Al Nusra hanno invaso il villaggio, profanato i luoghi sacri, rapito le suore del monastero di Santa Tecla, ucciso e sequestrato una dozzina di abitanti. 

Per riconquistare Malula e cacciare gli intrusi l’esercito di Bashar Assad ha impiegato oltre sette mesi. Ma la riconquista, arrivata lo scorso aprile, non è servita a far rientrare gli abitanti nelle case. “I nostri familiari torneranno solo quando i nostri sei fratelli ancora ostaggio di Al Nusra verranno liberati. Le nostre mogli e i nostri figli rimetteranno piede in queste case solo quando saremo sicuri di poter proteggere da soli la valle di Malula e tutte quelle circostanti. Vogliamo combattere ad armi pari i musallahim e le brigate jihadiste” – spiega Toni Houri. Prima dell’assalto jihadista era il proprietario un officina. Oggi è uno dei capi della milizia cristiana creata dal nulla per proteggere Malula e i suoi abitanti. Una milizia di 250 uomini formalmente indipendente, ma integrata in quella difesa nazionale che fa da corollario alle forze di sicurezza del regime.

Ora Toni e i suoi uomini ci portano nella chiesa di santa Tecla.

Oltre la porta ci sono solo mura annerite su cui campeggiano le scritte lasciate dalle brigate martiri Ain Minin. Del prezioso altare sono rimasti solo i quattro pilasti. Le antiche icone salvatesi dall’incendio hanno tutte il volto sfregiato. “Le hanno sfigurate del nome del loro fanatismo questo è uno dei tanti simboli del loro odio. Abbiamo fatto un salto indietro di tredici secoli, Siamo tornati all’epoca dell’iconoclastia”. Toni e gli altri miliziani ora avanzano sulla terrazza davanti alla tomba di Santa Tecla. “Guarda le cupole delle chiese, là su tetti e facciate non è rimasta in piedi una sola croce. Le hanno abbattute una ad una non appena sono arrivati qui . Ma ora non potrà più succedere. Gli emiri del Golfo che li pagano ora devono fare i conti con i nostri kalashnikov. Distruggere le pietre è facile, distruggere l’uomo cristiano è impossibile”.

Abu Fahdi, uno dei luogotenenti di Toni, ti fa vedere la tomba svuotata della santa. Sono entrati qui alla ricerca di oro ed oggetti preziosi, ma non hanno trovato nulla e allora si sono vendicati distruggendo le ossa e le reliquie”.

Constantine l’ex aiutante di sacrestia abituato in passato ad accompagnare i turisti nel reliquiario scuote la testa, giura vendetta. “Prima se vedevo qualcuno con le armi lo sgridavo, perché noi cristiani non siamo uomini d’armi, ma quando ho visto il mausoleo distrutto e la chiesa bruciata sono entrato anch’io nelle milizie. Se quei terroristi riprovano a metter piede qua li faccio fuori con il mio fucile. Poi ci penserà Santa Tecla a giudicarmi”.

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