Traduzione dall’originale inglese a cura di Massimo Micaletti
Le fabbriche del terrorismo islamico vanno a tutto vapore.
E’ stata una brutta settimana a causa del blowback[1] . E’ così che va. Occhio per occhio, dente per dente. Violenza genera violenza, come sa qualunque ragazzino.
Proprio mentre il trambusto sulla faccenda del soldato americano Bowe Bergdahl liberato dai suoi rapitori Talebani stava esplodendo, i Talebani hanno attaccato l’Aeroporto di Karachi. Poco dopo, questo fatto è stato seguito da ancor più attacchi con droni sul Waziristan, che hanno ucciso donne e bambini.
Ma ciò che molti tendono a dimenticare è che non solo i Talebani sono un prodotto della CIA e dell’ISI [servizi di intelligence pakistani, NdT], ma che i loro fanti furono arruolati dai campi profughi creatisi a seguito di una brutale invasione sovietica. Giovani che erano cresciuti conoscendo solo guerra e devastazione erano facili reclute.
Proprio quando sembrava che le cose non potessero peggiorare, sono invece peggiorate. Le immagini sulla BBC hanno travolto tutti noi con i disegni apocalittici dell’ISIS [ISIL, Islamic State in Iraq and the Levant, NdT] (credo davvero qui che gli Egiziani debbano promuovere un giudizio per violazione del copyright – l’acronimo di un feroce gruppo jihadista compone il nome della dea della maternità, della magia e della fertilità – ironia della sorte).
Ed ecco ora lo scenario apocalittico che molti avevano predetto si sarebbe realizzato dopo la disastrosa invasione del 2003 – guerra civile aperta su fronti partigiani. Ma, un momento: è già dal 2004 che questo si verifica!
Ciò che è peggio ora è che il conflitto in Siria ha gettato benzina sul fuoco. Le immagini dell’ISIS che letteralmente cancella la frontiera (con i bulldozer) tra i due Paesi abbondano. Fatti sul tappeto, come li chiamano gli Israeliani.
E chi è che foraggia questi feroci signori dell’ISIS, così terribili da esser condannati dal loro ex alleato Al Qaeda? Beh, a parte le solite estorsioni, i rapimenti, le donazioni occulte e gli alleati nell’area del Golfo, si potrebbe dire che il supporto statunitense ai ribelli siriani non ha certo nuociuto all’ISIS. Ovviamente, gli Americani hanno sostenuto l’Esercito Siriano di Liberazione, non i jihadisti che hanno preso parte alla vicenda da indipendenti contro il regime di Assad. Lo stesso regime col quale facevano affari segreti ed al quale infliggevano torture. Mi seguite? Lo so che è un po’ difficile, ma fate attenzione.
Così, a dispetto del fatto che Saddam Hussein fosse un “figlio degli Stati Uniti”, come molti iracheni lo chiamavano durante il regime delle sanzioni, e del fatto che egli abbia promosso una guerra con l’Iran durata otto anni e che ha spazzato via una generazione di giovani da ambo le parti (mentre gli Stati Uniti vendevano armi agli uni e agli altri, con entusiasmo), la loro alleanza col “Macellaio di Bagdad” stava divenendo sempre più insostenibile. “Il nostro uomo a Bagdad” è stato fatto fuori ed il “cambiamento di regime” è arrivato. Si può dire che il “cambiamento di regime” sia la nuova moda e che sia stato ben collaudato sul campo in Afghanistan, e Dio solo sa se quei corrotti signori della guerra che si sono insediati dopo la “caduta” del regime dei Talebani sono di gran lunga migliori nel conquistare i cuori e le menti e portare la democrazia rispetto a queste belve generate dall’ISI, dalla CIA e dai campi profughi del Pakistan dopo l’invasione sovietica.
Così adesso l’Iraq ha mezzo milione di persone alla deriva in più da aggiungere alle milioni di profughi derivati dal post invasione. Più giovani da sfruttare per le crudeli milizie. Più instabilità per soffocare qualsiasi tentativo di “democrazia” o persino di costituire elementari istituzioni pubbliche.
Sfortunatamente, supportare dittatori e poi rimuoverli, affamando uno Stato sovrano per dodici anni sotto un regime draconiano di sanzioni delle Nazioni Unite, significa permettere ad un gruppo criminale di sostituire una burocrazia baathista, arruolando i fondamentalisti sciiti, che erano stati una volta in carcere in quello che era stato uno Stato di polizia, per realizzare prigioni nascoste in cui rinchiudere i Sunniti; per non parlare delle incursioni dei droni a Peshawar, delle invasioni illegali o dell’inerzia di fronte all’esplosione della guerra civile in Siria; tutte queste cose hanno delle conseguenze.
Ci sono troppe incognite, molte colpe di cui rispondere ed errori da rilevare. Ma il risultato finale pare essere zero per l’Iraq, dal momento che questi nuovi Unni si fanno prendere da un’ossessione omicida. La dimensione della tragedia è disarmante ed è difficile offrire una soluzione immediata in un op-ed [“secondo editoriale”, NdT] da mille parole.
Ma mi permetterei di suggerire che in un mondo in cui i campi profughi vengono di regola creati da invasioni illegali e guerre civili; in cui giovani senza istruzione provenienti dagli Stati americani depressi vengono arruolati per uccidere altri giovani e creare più campi profughi; e dove la dissoluzione di Stati sovrani sembra penetrare con difficoltà un campo d’attenzione globale già occupato dai tweet delle celebrità, il blowback è vivo e vitale e sta arrivando ad una zona di guerra vicino a voi.
E così, poiché scrivo queste righe nella notte del destino, il quattordicesimo giorno del mese di Shaban secondo il calendario islamico, quando i credenti devono passare la notte in preghiera chiedendo a Dio “protezione dalle calamità” e di “fornire rifugio ai profughi e dare pace a quelli che hanno paura”, io prego per un futuro migliore per questa regione e per il mondo intero. Un futuro in cui il guadagno immediato, la sacralità dei pozzi petroliferi e l’industria internazionale degli armamenti siano sopraffatti da investimenti in salute pubblica, ed istruzione, giustizia per i reietti e sostegno per i rifugiati; dove i giovani possono ottenere un lavoro e costruire scuole invece che entrare nell’esercito o nelle file dei miliziani per mantenere le loro famiglie; un futuro in cui la divisione apparentemente arbitraria tra “noi” e “loro”, si dissolva nel riconoscimento che siamo tutti legati, e che nulla cade nel vuoto.
E ricordando l’Iraq, terra di poeti che ora precipita come una stella morente, rubo un verso da Rabia, poetessa Sufi della Basra dell’ottavo secolo che scrisse “Sto per accendere un fuoco in paradiso e versare acqua sull’inferno / così che entrambi i veli possano svanire insieme”.
Hadani Ditmars per RT. Hadani Ditmars è l’autore di “Dancing in the No-Fly zone: il viaggio di una donna attraverso l’Iraq”, è stata commentatore per il “New Internationalist” ed è stata reporter dal Medio Oriente per due decenni.
[1] Con il termine blowback, “ritorno di fiamma“, inventato dai funzionari della CIA, si definiscono “tutte le conseguenze involontarie delle politiche e strategie adottate dal governo USA e tenute nascoste all’opinione pubblica americana” (C. Johnson, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Garzanti).