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Traduzione, con adattamenti, da Haaretz (3 maggio). A cura di RadioSpada

Israele non riesce a risolvere il problema dei crimini di odio anti-arabo –conosciuti come attacchi price tag, “cartellino del prezzo” [1]– perché non vuole risolverli, secondo l’ex capo dello Shin Bet Carmi Gillon. “Non vediamo risultati perché non dobbiamo vederli. Non esiste il ‘non si può’ nello Shin Bet, ma solo il ‘non si vuole’”.  

Lavorando assieme, la polizia e lo Shin Bet potrebbero arrestare rapidamente i perpetratori di crimini d’odio, ma non c’è l’intenzione di catturarli. Nella stessa occasione pubblica in cui ha parlato Gillon, l’ ex capo del Mossad Shabtai Shavit ha anch’egli criticato il governo sulla gestione degli attacchi, dicendo che “Israele è una nazione con delle leggi, che però non applica”. Agli inizi di maggio, 32 olivi sono stati distrutti vicino all’insediamento di Bat Ayin. Graffiti del tipo “gli arabi sono ladri” sono stati trovati sul luogo. Ulteriori attacchi si sono verificati nelle città settentrionali di Fureidis e Yokne’am, con una moschea vandalizzata e dozzine di pneumatici d’auto tagliati.

La violenza ebraica sugli arabi è stata criticata in un rapporto sul terrorismo del Dipartimento di Stato degli USA, in cui si legge che Israele non ha effettivamente contrastato e perseguito i coloni radicali implicati negli attacchi “a cartellino”. “Attacchi da parte di coloni estremisti israeliani contro residenti palestinesi, le loro proprietà e luoghi di culto nella West Bank sono continuati e sono rimasti largamente non perseguiti secondo fonti ONU e delle ONG” afferma il rapporto. Gillon ha messo in guardia: il fenomeno anti-arabo potrebbe espandersi e condurre all’assassinio di un altro primo ministro israeliano. Gillon era direttore dello Shin bet proprio quando fu assassinato Yitzakh Rabin.


 

[1] Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Price_tag_policy: la “tattica” o “strategia” price tag consiste in attacchi terroristici perpetrati da gruppi di giovani degli insediamenti, di orientamento sionista radicale, ai danni di obiettivi palestinesi, dell’IDF o cristiani (cimiteri, luoghi di culto, monasteri); il nome deriva dalla logica rivendicata da questi gruppi, che si sostanzia nell’esigere un “prezzo” dai palestinesi o dall’esercito israeliano per ogni torto ricevuto dai coloni.