I fatti.

New York. Una coppia gay per la prima volta stringe tra le braccia “il suo bambino”, un momento che la fotografa Lindsay Foster ha catturato e deciso di condividere con il mondo. Ecco le immagini:

 

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 [fonte: Leggo.it]

Una piccola postilla.

Non è il mio contesto: non sono mamma, non puericultrice, non medico né fotografa, non sono uomo e non sono gay – e la mancanza di quest’ultima caratteristica mi rende tremendamente démodé -, non sono (più) nemmeno neonato.

Tuttavia, dalla mia ignoranza affiora una serie di dubbi:

  • che senso ha parlare di “suo” bimbo con riferimento ad una coppia ontologicamente (e non accidentalmente) sterile?
  • dov’è la mamma? questo a dire il vero la stampa lo spiega: trattasi di “mamma surrogata” (e se googlate “utero in affitto”, si trovano diversi agghiaccianti portali commerciali anche in italiano). E’ un eufemismo per “vendita del proprio corpo contro natura”, a meno che oggi strappare un neonato ancora caldo dal ventre materno sia diventato chic (e forse lo è)
  • perché a piangere è l’uomo che ha appena commesso violenza nei confronti del tapinello? (sarà stato un parto doloroso per lui?, ha malignato un’amica)
  • perché strappare un agnellino a mamma pecora per il pranzo della festa pasquale suscita indignazione e strida tra i difensori della civiltà, ma privare un bimbo della mamma, della possibilità di avere una famiglia normale e di conoscere l’alterità necessaria a formarsi, suscita solo il plauso di “quelli che benpensano”?
  • perché conta sempre e solo la felicità di chi è grande e grosso ma mai del più indifeso, e la chiamano civiltà, libertà, tolleranza, diritto civile?

 

Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.

[G. Leopardi]