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Attore intelligente, simpatico, abile. Ma come spesso capita, i “santini” moderni finiscono per semplificare molto, forse troppo. Tutto questo vale anche per l’ebreo onorario Robin Williams (così amava descriversi).

Obama – banale come sempre – si è precipitato ad etichettarlo come “unico”. Ormai i presidenti USA, tra un fallimento politico e l’altro, finiscono per diventare critici cinematografici. E fa bene Obama a incensarlo, dato l’impegno di Williams verso l’esercito che invase l’Iraq nel 2003. Fu in quell’anno che l’attore, durante un’esibizione per le truppe USA nel Paese di Saddam, portò una maglietta con una frase in arabo (ﺃ ﺣب نيويورﻙ, “Uḥibbu Nyūyūrk”) che significava “Io amo New York”.

A metà del 1970 Robin era fidanzato con Julliard e il rapporto arrivò ad una brusca fine. La causa fu un aborto – condiviso da entrambi – ma che ebbe l’effetto di lasciare l’attore sconvolto. Diventerà in seguito antiabortista.

Negli anni ottanta, il cocainomane Williams era presente alla tragica serata in cui John Belushi, suo amico, morì ucciso da un’overdose. I due si erano visti poco prima nella stanza di quest’ultimo. Quella sera Cathy Smith causò la morte di Belushi iniettandogli, a sua richiesta, una dose di speedball.

Nonostante il successo, la filantropia, le tre mogli, i tanti soldi, tutto è finito male, nel peggiore dei modi, con un probabile suicidio. La filosofia del “carpe diem”, così magistralmente espressa da Williams nel film “L’attimo fuggente”, si è rivelata è per ciò che è: un grande sussulto che dietro di sè lascia il vuoto.

La comicità di questo attore non mancava di far ricorso a qualche volgarità (si pensi a Good Morning Vietnam!) e a qualche provocazione verso i cattolici.

C’è da sperare che nell’ultimo attimo, quello sì davvero fuggente, abbia “salvato” tutto.