Nei giorni scorsi è uscito dall’Ufficio legislativo del dicastero Esteri un disegno di legge sulla lotta al terrorismo nazionale e internazionale, che ridisegna e amplia l’ambito di applicazione delle norme di contrasto all’eversione (non solo armata, ma anche informatica e finanziaria).
Se si deve guardare con favore all’adeguamento della legislazione italiana alle più moderne Convenzioni siglate in materia dal nostro Paese, si rimane invece molto perplessi di fronte alla riformulazione dell’art. 270 nel nuovo art. 270-septies c.p. La nuova disposizione recita infatti che sarà punibile anche il terrorismo compiuto “ai danni di uno Stato estero, purché abbia un ordinamento basato sul metodo democratico“.
Questa semplice clausola ha implicazioni sostanziali: a prescindere dai mezzi, non è terrorismo quello condotto contro Paesi non democratici. La “democraticità“ di un ordinamento statale, parametro di per sé sfuggente, indefinibile, dipendente da mille variabili, più sociologico che giuridico, diviene la “patente di bontà” che permette a uno Stato di venire difeso anche dal nostro ordinamento. Di fronte al valore assoluto della “democrazia”, ogni considerazione sull’uso che di tale potere democratico un Paese fa deve cadere. Come al solito la forma prevale sulla sostanza, e la correttezza procedurale sulla giustizia.
Fonte: Il Messaggero
Alla faccia del principio di tassatività e di determinatezza della fattispecie penale!!!