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Antonio Spadaro (Messina, 6 luglio 1966) gesuita del postconcilio, scrittore e “teologo” italiano, attuale direttore della rivista La Civiltà Cattolica, interrogato sul “sinodo” non risparmia proiettili di modernismo all’intervistatore di turno.

È il 13 ottobre 2014, dice: «[…] in aula si avverte una grande libertà di spirito nell’affrontare tutti i temi, anche quelli più spinosi», anche quelli eretici e condannati dalle Costituzioni divine. Aggiunge: «Il Sinodo non è un vertice di intellettuali, ma una riunione di pastori calati nella realtà della Chiesa, desiderosi di far sì che la misericordia di Dio abbracci ogni aspetto della famiglia»; così ammettendo che, prima di questo “deicida” e fantomatico “sinodo”, la Chiesa, per mezzo dei suoi pastori, impediva alla misericordia di Dio di abbracciare ogni aspetto della famiglia. È evidente. Se oggi sentono l’esigenza di dire questo, vuol dire che qualcosa deve cambiare; vuol anche dire che lo Spirito Santo, secondo loro, avrebbe atteso 2.000 anni (quasi) prima di “consentire” alla Chiesa di aprire alla misericordia di Dio a tutti i tipi di “famiglie”. I Santi, i Papi, i predicatori e gli educatori del passato avrebbero, dunque, sbagliato o dormito.

Quanto allo scontro ideologico fra Gerhard Mueller e Bruno Forte, tutti e due stipendiati dal Vaticano, due posizioni differenti all’interno dello stesso calderone di modernismo, come nel gioco delle tre carte, Spadaro riflette: «Sta […] emergendo il cuore dei pastori. Stiamo vivendo una dinamica aperta di discernimento. Ascoltando, inoltre, si modificano le posizioni». Credo che, essendo emerso già da secoli il cuore del «buon Pastore», l’intera discussione sia intrinsecamente inutile e nociva per l’evangelizzazione.

Finalmente per le “coppie di fatto”, per gli adulteri, ecc… c’è possibilità secondo lo spirito del peggior relativismo del secolo. Lo apprendiamo da queste parole del direttore di La Civiltà Cattolica: «La Comunione non sarà né per nessuno, né per tutti, a mio avviso. Serve un discernimento pastorale caso per caso». Credo che i modernisti del postconcilio dovranno rivedere anche il loro già blando CJC (1983) che al can. 915 recitava: «Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto».

Poi inventa di sana pianta la nuova dottrina, così probabilmente adulterando l’esegesi della Scrittura: «C’è una condizione per entrare nel banchetto, dice Gesù: avere la veste nuziale che è l’amore a Dio e al prossimo. Chi divorzia (e poi convive more uxorio) per egoismo non ha la veste per il banchetto. Invece, chi ha sofferto (e poi convive more uxorio) per ciò che è avvenuto probabilmente». Abbiamo capito che la sofferenza probabilmente cancella l’ostinato peccato grave manifesto di adulterio. La domanda era, difatti, molto chiara: «[…] dare l’Eucarestia a chi si risposa dopo la rottura del matrimonio?». Pertanto se io dovessi soffrire molto per un torto ricevuto di qualsivoglia natura, pur essendo in peccato, casomai anche covando desideri di vendetta, potrei tranquillamente ricevere l’Eucaristia senza pentirmi prima; per di più il pubblico scandalo (manifesto, Ivi.) (violazione Comandamento V)  dato dall’adulterio sarebbe sanato dalla sofferenza? È come un condono edilizio?

L’illuminato Spadaro, che ricordo è direttore di La Civiltà Cattolica (sic!), sul dibattito  nel merito delle unioni contro natura: «si predilige il discernimento […] piuttosto che una condanna in partenza. Non è affatto escluso a priori che queste relazioni possano esprimere sacrificio e donazione, no». Ma il sacrificio non era quello che proviamo a fare tutti noi cattolici, tutti i santi giorni dello nostra esistenza, con l’aiuto della Grazia di Dio, per rifuggire il peccato rispettando i Comandamenti? Possono quindi stare tranquilli tutti gli omosessualisti perché, se il loro rapporto è «sacrificio e donazione», il peccato mortale sarà probabilmente sanato e non più condannabile. Anche i rapinatori di vedove e di pensionati potranno così continuare nella loro “professione” purché lo facciano con sacrificio e casomai con laute donazioni alla rivista di Antonio Spadaro.

Se c’è discernimento fra i coniugi, ci potrà essere anche apertura alla contraccezione; c’è la libertà di coscienza. Dice il “teologo” messinese: «Nel momento in cui si valorizza il discernimento non si può prescindere dalla coscienza che, come diceva il beato Newman, è ‘il primo vicario di Cristo’. Nei contributi dei padri sinodali, dunque, è stata menzionata così, non come arbitrio, ma come discernimento».

CdP Ricciotti