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di Massimo Micaletti

 

Papa Francesco ha finalmente preso la parola e chiuso il Sinodo straordinario che tanto sta facendo discutere. Il testo del discorso e della Relazione finale potete trovarli qui[1] e qui[2].

Due parole sulla Relazione.

L’impressione è che si sia tirato il freno dopo aver constatato che l’esito non era poi così scontato per coloro che per via pastorale volevano forzare la dottrina (per non parlare di coloro che senza mezzi termini volevano e vogliono ripensare la dottrina stessa), tuttavia, pare trattarsi solo di un rallentamento, non di un cambio di rotta, nella consapevolezza che alcune fughe potrebbero non essere accettate dai religiosi.

Per un’analisi dettagliata si rimanda al pezzo di Sandro Magister per L’Espresso[3], da cui risulta che proprio sui punti più controversi l’ala innovatrice non ha raggiunto la maggioranza qualificata richiesta per l’approvazione (i due terzi) ma ci è andata vicino. Riemerge, al punto 52, l’ipotesi del “percorso di penitenza sotto la responsabilità del Vescovo diocesano”, come pure si rifà viva la “distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti”: le due vie “pastorali” per rendere la dottrina sul matrimonio più… consona ai tempi.

La necessità di tale adeguamento, enunciata al punto 11, che chiede ai pastori di “accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate”, si fonda sul presupposto, condiviso da tutti i padri sinodali ma alquanto discutibile, che le persone risposate o conviventi possano “ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale” (punto 53): da qui, alcuni ritengono ingiustificata la preclusione della comunione sacramentale. Che persone che si trovano in condizione di peccato pubblico persistente impenitente possano “ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale” appare quantomeno azzardato, posto che l’intenzione di permanere nel peccato esclude la volontà (quindi la possibilità) di accedere alla comunione spirituale; che poi dalla ipotesi di comunione spirituale possa discendere quella sacramentale in tali condizioni è un saltum inaccettabile, che sostanzialmente porta allo scivolamento del sacramento nella sola dimensione soggettiva.

Non è invero un caso se nel paragrafo dedicato alla famiglia nei documenti della Chiesa non viene citato alcun documento preconciliare, come se la Chiesa per duemila anni si fosse dimenticata della famiglia e la Casti connubii, per dire una, fosse stata scritta da un mistico sufi o da uno sciamano cheyenne e non da Pio XI[4], dal che poi ci si spiega lo “apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate” (punto 22).

Eco di questi concetti si trova al paragrafo 28: “Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv8,1-11)”: tale proposito viene poi attuato in un discernimento caso per caso, vescovo per vescovo, prete per prete, sulla cui certezza pochi forse scommetterebbero.

La Relazione riafferma e rivendica comunque con vigore il ruolo pastorale della Chiesa, anche contro le ingerenze degli Stati e delle organizzazioni internazionali (punto 56), tuttavia, nella sostanza, non c’è molto da star tranquilli: sebbene questa Relatio sia meno estrema rispetto a quella stesa (o comunque letta, ndr) a suo tempo dal Card. Erdo, essa lascia ampi spiragli di “creatività” sulle questioni nodali della famiglia e dei sacramenti, sempre sul fronte pastorale. Preparando così il terreno al Sinodo dell’anno prossimo.


[1]    http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/10/18/0770/03044.html
[2]    http://www.zenit.org/it/articles/le-tentazioni-non-ci-devono-ne-spaventare-ne-sconcertare-e-nemmeno-scoraggiare
[3]    http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/10/18/il-sinodo-tira-le-somme-e-francesco-ne-enumera-i-difetti/
[4]    http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii_it.html