Il direttore de La Civiltà Cattolica, il gesuita p. Antonio Spadaro, oltre ad affermazioni assai inquietanti come “non è affatto escluso a priori che queste relazioni [le unioni gay, ndr] possano esprimere sacrificio e donazione”, offre alla stampa una chiave di lettura dei lavori sinodali: la virtù del “discernimento”, ossia – secondo la volgarizzazione – “attenzione alle situazioni reali delle singole persone prima di avventurarsi in giudizi di merito”. 

Pertanto, con riguardo all’accesso dei divorziati “risposati” all’Eucaristia, “non è pensabile una norma generale. La Comunione non sarà né per nessuno, né per tutti, a mio avviso. Serve un discernimento pastorale caso per caso“; per usare le parole della parabola, “chi divorzia per egoismo non ha la veste per il banchetto. Invece, chi ha sofferto per ciò che è avvenuto probabilmente sì”. Insomma, “fu qualche lacrima sul viso a dargli il Paradiso”, come cantava De André? Se la porta stretta non è poi tanto stretta ne siamo lieti, ma vorremmo punti fermi.

Che, come in ogni discorso modernista, sono sfuggenti: in merito alla contraccezione, “nel momento in cui si valorizza il discernimento non si può prescindere dalla coscienza che, come diceva il beato Newman, è ‘il primo vicario di Cristo’. Nei contributi dei padri sinodali, dunque, è stata menzionata così, non come arbitrio, ma come discernimento”. Povero Newman, tirato per i capelli da un intervistato e da un intervistatore che poi non si fa problemi a titolare “Sesso, il Sinodo apre alla pillola”. A proposito di comunicazione col mondo, intelligibilità alle persone, linguaggio accessibile e veritiero, eccetera.

Sulla barca di Pietro il mal di mare si fa intenso. Portatevi dei sacchetti.

 

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