Vatican Synod of Bishops

Nota introduttiva di RS: continuiamo, con questo post, la pubblicazione di brevi testi originali (inediti o seminediti, come in questo caso, per il pubblico di lingua italiana) che provengono da ambienti cattolici romani resistenti alla “rivoluzione conciliare”. Questi scritti vogliono fornire nuovi materiali per conoscere i principali dibattiti che da molto tempo attraversano il mondo “cattolico tradizionalista” e approfondire, senza attingere a fonti di seconda mano, le rispettive posizioni. In questo caso il tema dibattuto è quello, complesso e articolato, della validità del rito di ordinazione sacerdotale promulgato da Montini (Paolo VI) e si inserisce nei recenti dibattiti sulla validità dei rituali montiniani e del Novus Ordo Missae.

di Frà Leone da Bagnoregio 

«De cette union adultère ne peut venir que des bâtards. Et qui sont ces bâtards? Ce sont nos rites. Le rite de la nouvelle messe est un rite bâtard. Les sacrements sont des sacrements bâtards. Nous ne savons plus si ce sont des sacrements qui donnent la grâce ou qui ne la donnent pas. Nous ne savons plus si cette messe nous donne le Corps et le Sang de Notre-Seigneur Jésus-Christ ou si elle ne les donne pas». (…) «Les prêtres qui sortent des séminaires sont des prêtres bâtards. Ils ne savent pas ce qu’ils sont. Ils ne savent pas qu’ils sont faits pour monter à l’Autel, pour offrir le Sacrifice de Notre-Seigneur Jésus-Christ, et pour donner Jésus-Christ aux âmes, et appeler les âmes à Jésus-Christ. Voilà ce que c’est qu’un prêtre, et nos jeunes qui sont ici le comprennent bien. Toute leur vie va être consacrée à cela, à aimer, à adorer, à servir Notre-Seigneur Jésus-Christ dans la Sainte Eucharistie, parce qu’ils y croient, à la présence de Notre-Seigneur dans la Sainte Eucharistie! » (…) «C’est cette volonté de dialogue avec les protestants qui nous a valu cette messe bâtarde, et ces rites bâtards». (S. E. Rev. Mons. Marcel Lefebvre Omelia di Lilla 29 agosto 1976)[1]

Alcune settimane orsono sono apparsi tutta una serie articoli, a firma di Augustinus e di don Curzio Nitoglia, che probabilmente sono la stessa persona, sulla questione relativa alla validità delle nuove ordinazioni sacerdotali e consacrazioni episcopali ed in generale sui nuovi sacramenti.

A nostro avviso tale dissertazione pecca di troppa superficialità, sarà oggetto di ulteriore indagine vagliare la validità degli altri sacramenti, ci soffermeremo per ora solo sul sacramento dell’Ordine ed in particolare sulla validità della nuova forma per l’ordinazione dei vescovi.

Vorrei tralasciare, altresì, la questione del sedevacantismo più volte discussa in questa sede e trattarla solo marginalmente, vorrei invece soffermarmi sulla questione della validità delle nuove ordinazioni sacerdotali ed episcopali.

Si vuol precisare già in partenza che il presente breve studio non ha nessun intento polemico e non vuole entrare in conflitto con qualsivoglia persona, ma si vuole dare ad ognuno il suo, al servizio della verità e della giustizia. É necessario non assicurare, ma mettere in guardia i sacerdoti ordinati con il nuovo rito al fine di salvaguardare il sacerdozio cattolico o perlomeno ciò che rimane di esso.

Il nuovo Pontificale riformato fu promulgato da Paolo VI il 18 giugno 1968, con la Costituzione Apostolica “Pontificalis Romani” a seguito delle riforme volute dalla Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”.

Questo documento rivoluziona sostanzialmente le forme della consacrazione episcopale e dell’ordinazione diaconale, mentre lascia più o meno inalterata la formula di ordinazione sacerdotale.

Per fare una corretta disamina sull’argomento è necessario innanzi tutto esaminare cosa pensano i modernisti riguardo ai sacramenti, sempre considerando che i novatori artefici del nuovo Pontificale Romano siano da intendersi come affetti da modernismo, come si era espresso Mons. Marcel Lefebvre e altri vescovi oppure no, nel secondo caso tutte le argomentazioni divengono inutili.

Così si esprime Ludovico Ott: «Il modernismo nega l’istituzione immediata dei sacramenti da parte di Cristo e li considera come puri simboli aventi col sentimento religioso la stessa relazione che hanno le parole rispetto alle idee».[2] Tale definizione trae origine dal decreto del Santo Uffizio “Lamentabili” del 3 luglio 1907.[3]

Altro argomento che si ritrova in tutta la mutazione avvenuta per opera di Paolo VI è l’influsso dell’ecumenismo, non si vuole con i nuovi riti approvati dispiacere o dare fastidio ai Protestanti alla loro teologia in materia di sacramenti.

L’analisi proposta da Augustinus sostiene, portando valevoli argomenti inerenti alla validità dei sacramenti amministrati da ministri eretici, scismatici o addirittura supposti aderenti alla massoneria. Questo è vero, perché i sacramenti hanno efficacia come insegna la teologia scolastica “ex opere operato” prescindendo da qualsiasi intenzione occulta o peccato, scisma o eresia del ministro del sacramento, purché abbia intenzione di voler fare ciò che fa la Chiesa e questa intenzione si manifesta quando il ministro utilizza un rito approvato dalla Chiesa stessa. Bisogna nondimeno, fare una distinzione tra eretico e scismatico ed eretico che nega la validità di alcuni sacramenti, infatti, nessun teologo ha mai sostenuto e può sostenere che i sacramenti amministrati ad esempio dai Protestanti come l’Eucarestia o l’Ordine siano validi! I Protestanti, infatti, negano la presenza reale nell’Eucarestia e la sacramentalità dell’Ordine.

La Chiesa ha persino, più volte amministrato nuovamente sub conditione  sacramenti come il Battesimo, se impartito da ministri Protestanti, appartenenti a strane congregazioni come ad esempio la Battista, perché non avevano l’intenzione di fare ciò che vuole la Chiesa. É scontato che i sacramenti amministrati dagli eretici e scismatici orientali devono essere considerati validi, perché hanno sempre utilizzato un rito approvato dalla Chiesa ancor prima dello scisma, come i riti di San Basilio o di San Giovanni Crisostomo, oppure di altre chiese orientali un tempo unite con Roma. Come sono validi i sacramenti amministrati da ministri in stato di peccato mortale oppure da ministri anche massoni, purché abbiano utilizzato un rito approvato dalla Chiesa e non abbiano dichiarato pubblicamente che non intendevano fare ciò che vuole la Chiesa conferendo quel determinato sacramento, ponendo così un “obex” alla validità del medesimo. Nessuno, in realtà, ha mai messo in discussione la validità dei sacramenti conferiti ai vescovi giurati (filo rivoluzionari), durante la Rivoluzione Francese  e consacrati in stato di scisma nel 1791 da Mons. Charles Maurice de Talleyrand vescovo di Autun, aderente alla massoneria[4].

L’argomento principe sollevato a giusto titolo da Augustinus  sta nel fatto che i nuovi riti di ordinazione devono essere validi, perché promulgati dalla suprema Autorità Apostolica. Il papa, infatti, è perlomeno sentenza certa, cioè con il consenso unanime di tutti i teologi, che sia infallibile nella promulgazione dei riti (leggi liturgiche universali) della Chiesa, e tali riti, non solamente devono essere validi, ma anche leciti e ci si dovrebbe conformare a quanto da essi stabilito, questo secondo punto Augustinus pare però ignorarlo!

Va, inoltre, premesso che la Chiesa e il papa non hanno un potere assoluto sui sacramenti, bensì limitato, in quanto possono mutare solo gli accidenti degli stessi, “salva illorum substantia”, cioè non possono cambiare la sostanza o essenza del sacramento, ad esempio nessun papa può arrogarsi di dichiarare che il sacramento del Battesimo è solo un rito iniziatico della Chiesa Cattolica e non un lavacro che elimina il peccato originale e dona la grazia santificante a chi lo riceve e mutare il rito in questo senso: il sacramento sarebbe nullo. L’autore dei sacramenti è, e rimane Nostro Signore Gesù Cristo.

Vi è poi un’affermazione apodittica secondo la quale Augustinus dichiara che le nuove forme del sacramento dell’Ordine sono altresì valide perché approvate dal Cardinale Ottaviani sicura autorità in materia perché cardinale segretario del Sant’Uffizio. Va altresì detto che anche le nuove anafore del “Novus Ordo Missae” furono approvate dall’allora Prefetto della Dottrina della Fede Cardinale Alfredo Ottaviani, peccato che poco dopo sottoscrisse il “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” che critica proprio l’introduzione nella Messa di quelle anafore! É evidente che il Cardinale Ottaviani per cieca obbedienza approvò tutto quanto era stato emanato dall’Autorità Pontificia, come approvò la Dignatis humane personae del Vaticano II, anche se in contrasto con gli insegnamenti pontifici precedenti. Neppure durante il dibattito conciliare ebbe il coraggio di alzarsi e di dire chiaramente che la questione era già stata definita da Pio IX ed era chiusa e non poteva, quindi, essere oggetto di discussione conciliare e nel caso si fosse protratta il dibattito i padri conciliari in dissenso avrebbero dovuto essere considerati eretici. Il Cardinale Ottaviani, purtroppo, su questo argomento, non può essere considerato come fonte attendibile attestante la validità dei sacramenti.

A nostro avviso è necessario prendere in considerazione relativamente al nostro caso anche la Costituzione Apostolica di Leone XIII “Apostolicae curae et caritatis” del 13 settembre 1896 che dichiarò invalide le ordinazioni anglicane.

Passiamo, quindi, ad esaminare le fonti delle due forme di consacrazione episcopale, quella precedente, e quella nuova. La forma che si rinveniva nel Pontificale Romano preconciliare, approvata come tale con la Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis” del 30 novembre 1947 di Pio XII “ad validitatem”, è tratta dal “Sacramentario Leoniano”, libro liturgico in uso nella Chiesa Latina dal tempo di papa Celestino anni 422 – 432;[5] quella del nuovo Pontificale approvato da Paolo VI dalla “Traditio Apostolica” attribuita a Sant’Ippolito anni 217 – 235.

Ecco la formula del Pontificale Romano per la consacrazione dei vescovi in uso nella Chiesa Cattolica di rito latino, prima della riforma: «Comple in sacerdote tuo ministerii tui summan, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis rore sanctifica» – Compi (o completa) nel tuo sacerdote la perfezione (o pienezza) del tuo ministero e dopo averlo rivestito di tutti gli ornamenti della gloria, santificalo con la rugiada della celeste unzione».

Ecco invece la forma essenziale per l’ordinazione dei vescovi tratta dalla “Traditio Apostolica” di Sant’Ippolito: «Et nunc effeunde super hunc electum ea, virtutemm quae a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio tuo Iesus Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui». – «Effondi ora, la potenza che solo da te può venire, lo Spirito sovrano che tu hai dato al tuo diletto figlio Gesù Cristo e questi ai santi apostoli, i quali fondarono in ogni luogo la Chiesa come tuo santuario, a gloria e lode del tuo nome»[6]

Innanzi tutto va detto che la “Traditio Apostolica” è un documento composito di dubbia origine, non vi è, infatti, alcuna testimonianza documentale che sia servita come sacramentario per ordinare sacerdoti e vescovi cattolici.

Ippolito è uno strano personaggio. Nacque intorno al 160 d.C., diventò sacerdote durante il pontificato di papa Zeferino, fu discepolo di Sant’Ireneo. Per divergenze dottrinali dovette abbandonare l’Urbe. Alla morte di papa Zeferino, quando Callisto fu eletto pontefice, in contrasto con lui, fondò una comunità scismatica, è, invero, annoverato tra gli antipapi, probabilmente in quel periodo elaborò la “Traditio Apostolica” forse ad uso della sua comunità scismatica[7]. Durante la persecuzione dell’Imperatore Massimino, Ippolito fu arrestato e tradotto nelle miniere in Sardegna con l’allora pontefice Ponziano. Subì in quel luogo il martirio con papa Ponziano (settembre 235), anche lui prigioniero nelle miniere sarde, si riconciliò prima del martirio con il papa ed è inserito nel Martirologio con papa Ponziano come martire. Lo scisma di Ippolito terminò con la morte dello stesso.

Paolo VI è il primo ad aver accordato ad Ippolito un’autorità che non ha mai avuto nella Chiesa fino a quel momento, forse per il rigorismo della sua setta, si presunse che egli avesse conservato l’integrità dei riti in uso nella Chiesa del suo tempo.[8]

Ippolito scriveva però in greco, nella Chiesa romana, invece, fu adottato l’uso quasi esclusivo del latino, le sue opere caddero in oblio in Occidente. «È Nel 1691 che furono scoperte, in Etiopia, da Job Ludolf . Nel 1848 grazie a degli studi di documenti copti, un’altra versione venne alla luce. Successivamente fu trovata una versione sahidica e verso il 1900 si scoprì una versione latina del testo greco del VI secolo». Nessuna di queste versioni è però completa e gli studiosi sono stati obbligati a mettere insieme le differenti parti per tentare di ricostruire un documento relativamente coerente. Secondo il Prof. Burton Easton dell’Università di Cambridge, ecco come si può riassumere ciò che si conosce su quest’argomento:

«Ad eccezione di piccoli frammenti, non si è mai trovata l’originale greco della Traditio Apostolica. In generale, si può fidare del testo latino, ma è incompleto. La sola altra prima versione la sahidica, è pure incompleta, ed i risultati della capacità media del suo traduttore sono stati resi ancora più confusi dalla trascrizione che né è stata fatta.

Il testo arabo è un scritto secondario che presenta poche cose che la versione sahidica non contiene. L’unica versione quasi completa l’etiopica è terziaria; è quindi poco attendibile. Queste quatto versioni, presuppongono un comune originale greco, nel quale due testi diversi sono stati fusi insieme. Le altre fonti, Le Costituzioni Apostoliche, il Testamento del Signore e i Canoni, sono delle buone revisioni, nelle quali l’originale non è riconoscibile, quando non è contraddetto. In queste condizioni, è manifestamente impossibile restituire il testo con certezza» [9].

Secondo ultime ricerche è emerso che la “Traditio Apostolica” non sarebbe neppure riferibile ad Ippolito romano, bensì ad un suo omonimo sacerdote alessandrino morto verso il 253, oppure ad un vescovo orientale di sede sconosciuta attivo tra la fine del secondo secolo e l’inizio del terzo [10].  La Traditio Apostolica pertanto, risulta di autore ignoto ed il suo autore viene ora definito dagli studiosi lo pseudo Ippolito.

Da queste precisazioni fornite da alcuni specialisti in materia, si comprende che è assolutamente impossibile pretendere di avere la minima idea delle parole che Ippolito o chi per esso, considerava come essenziali nella forma del sacramento dell’Ordine.

Nell’introduzione del Pontificale romano, promulgato da Paolo VI, viene tuttavia assicurato che la formula derivante dalla “Traditio Apostolica” è «ancora in uso nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti e i Siro Occidentali» Possediamo solo, una traduzione ufficiale del Pontificale in uso presso i Siro Occidentali e una ufficiosa del Pontificale Copto, non approvata ufficialmente e da verificare accuratamente, ma da quello che traspare non compare la forma tratta dalla “Traditio Apostolica”, invero si trovano elementi fondanti dove viene espresso molto bene l’ufficio del Vescovo.[11]

Ecco la versione ufficiale del Pontificale in uso presso i Siro Occidentali: «O Dio, che hai fatto tutte le cose con la tua potenza e hai creato l’universo con la tua volontà del Tuo unico Figlio. Il quale ci ha rivelato gratuitamente la conoscenza della verità e ci ha fatto conoscere il Tuo amore santo ed eccellente.

Tu ci hai donato, come pastore e medico delle nostre anime, il Tuo amato Figlio e unico, il Verbo Gesù Cristo, il Signore di gloria. Con il suo prezioso sangue, hai fondato la tua Chiesa e hai costituito in essa tutti gli Ordini del sacerdozio, ci ha donato le guide perché piacciamo a Te con la conoscenza del nome del Tuo Cristo, che si è diffusa e sparsa in tutto l’universo.

Invia sul tuo servitore qui presente il soffio spirituale dello Spirito Santo, perché custodisca e serva la Tua Chiesa a lui affidata: perché unga i sacerdoti, ordini i diaconi, consacri gli altari e le chiese, benedica le case, elevi invocazioni efficaci, guarisca, giudichi, salvi e liberi; sciolga e leghi, rivesta e spogli, accolga e scomunichi.

Donagli anche il potere dei tuoi santi, il potere che hai dato agli Apostoli del Tuo unico Figlio. Che egli sia un vescovo glorioso con l’onore di Mosé, l’Ordine di Aronne, la dignità di Giacobbe, sul trono dei Patriarchi. (Il coraggio dei tuoi discepoli, le opere del Santo Giacomo e la sede dei primi Padri); e che il tuo popolo e le pecorelle della tua eredità siano confermate da questo tuo servitore.

Donagli la saggezza e la prudenza (intelligenza) affinché sappia riconoscere la volontà della tua maestà, discernere il peccato e conoscere le norme della giustizia e delle sentenze; sappia risolvere i  problemi difficili e sciogliere da tutti i legami del male (dell’iniquità)»

Alla fine di questa preghiera recitata a voce bassa, il vescovo consacrante si volge verso l’est e continua a voce alta:

«Signore che Sei il Dispensatore di ogni cosa buona, Diffusore della Saggezza e dei doni divini. Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, Ti lodiamo e ti rendiamo grazie, ora e sempre nei secoli. Amen».[12]

Ecco invece la traduzione ufficiosa del Pontificale Copto: «Padre Onnipotente concedigli per mezzo di Cristo Nostro Signore l’unità dello Spirito Santo, perché abbia il potere di rimettere i peccati secondo la promessa del tuo unico Figlio; Perché insedi ed ordini, con la sua autorità, i sacerdoti nei santuari.

Sciolga il legame ecclesiastico, trasformi in chiesa i nuovi edifici da adibire al culto e consacri gli altari».

È chiaro che anche qualora si dovessero pure rinvenire, ad un’ancora più attenta traduzione ed esame, del testo, non di facile traduzione, alcune parole che possano dirsi tratte dalla “Traditio Apostolica”, le parole qui espresse, già sono fondanti e sufficienti per esprimere chiaramente la funzione del vescovo.

Al momento è palese che quanto affermato nella prefazione del nuovo Pontificale, non corrisponda a verità!

Soffermiamoci adesso sul termine “Spiritum principalem” che si rinviene all’interno nella nuova forma di consacrazione episcopale. Questo termine si rinviene in ambito liturgico esclusivamente all’interno del salmo 50 al versetto 14: «Redde mihi laetitiam salutaris tui et spiritu principali confirma me». Nella versione fornita dal Bea così compare: «Redde mihi laetitiam salutis tuae, et spiritu generoso confirma me». Il biblista Giuseppe Ricciotti la traduce in questo modo: «Rendimi la gioia della tua salvazione e con nobile [e generoso] spirito confortami» La traduzione fornita dalla CEI è invece la seguente: «Rendimi la gioia di essere salvato sostieni in me un animo generoso».[13]

Il nuovo dizionario latino – italiano Luigi Castiglioni  – Scevola Mariotti indica cinque significati possibili: 1) primo o primitivo; 2) principale, più importante; 3) del principe, principesco, imperiale; 4) che riguarda i principi, i soldati di seconda fila; 5) principale che riguarda i principia del campo militare. Il dizionario latino francese Cassell da invece tre significati possibili: 1) primo nel tempo originale, primo o capo; 2) di un principe; 3) si dice del posto che occupa il comandante in campo militare romano. Il dizionario latino – francese di Harper da un altro senso: sorvegliante.

Quest’ultima traduzione risulta interessante, di fatto, questa interpretazione del termine “principalis” può non dispiacere ai Protestanti, ascoltiamo ciò che dicono i vescovi inglesi nella «Difesa della Bolla Apostolicae curae» documento emesso dai vescovi inglesi in difesa della “Costituzione Apostolicae Curae et Caritatis” di Leone XIII contro gli attacchi dei vescovi anglicani: «Il fatto che gli anglicani abbiano aggiunto il termine vescovo alla loro forma non è servito a renderla valida, perché secondo la loro dottrina, non considerano il vescovo come fruente l’Ordine di un grado superiore a quello di un sacerdote; effettivamente, è considerato come un sorvegliante piuttosto che colui che detiene la pienezza del sacerdozio». Gli stessi liturgisti e teologi post conciliari ammettono che vi è difficoltà a tradurre convenientemente l’espressione “principalem” in lingua corrente. Padre Bernard Botte O.S.B. uno dei principali collaboratori di Mons, Annibale Bugnini grande artefice di tutta la riforma liturgica così si esprime: «Per il cristiano del III secolo (l’epoca d’Ippolito), quest’espressione ha un significato teologico che non ha nulla in comune con il pensiero del Re di Giuda (Davide) che viveva dodici secoli prima. Ma pur supponendo che principalis sia una traduzione inesatta, quivi non ha alcuna importanza. Ciò che conta, è di sapere quale senso intendeva dare l’autore della preghiera, vale a dire Ippolito» [14]. Padre Botte effettivamente ammette, che non si è certi del termine principalis, ma che la parola non può anche rendere esattamente ciò che intendeva il re Davide quando ispirato scriveva il salmo 50. Afferma inoltre, che questo vocabolo, non proviene dalle parole di Nostro signore Gesù Cristo, né da quelle degli Apostoli, ma ci informa a sette secoli di distanza, ciò che Ippolito avrebbe voluto esprimere con questa parola: «La soluzione deve ricercarsi in due direzioni: il contesto della preghiera e l’impiego di hegemonikos nel linguaggio cristiano del III sec. (hegemonikos è l’equivalente di principalis). È chiaro che lo Spirito designa la persona dello Spirito Santo. Tutto il contesto lo indica; tutti mantengono il silenzio affinché lo Spirito discenda. La vera questione è dunque: perché tra gli altri aggettivi è stato scelto principalis? Bisogna ampliare le ricerche». Padre Botte ci da una nuova interpretazione teologica per le funzioni differenti dei membri della gerarchia negli ordini come espressa nel nuovo rito: «I tre gradi, ricevono il dono dello Spirito, ma non è lo stesso per ciascuno di loro. Per il vescovo è lo Spiritus principalis; per i sacerdoti che sono i consiglieri dei vescovi lo Spiritus consilii; per i diaconi che sono il braccio destro del vescovo, è lo Spiritus zeli et sollecitudinis. É evidente che queste distinzioni sono fatte secondo le funzioni dei ministri di ciascun grado. É dunque, chiaro che (nella formula d’Ippolito) principalis deve essere compreso come in rapporto con la funzione specifica del vescovo. E’ sufficiente rileggere la preghiera per convincersi … Dio non ha mai lasciato il suo popolo senza il capo, né il suo santuario senza ministri … Il vescovo è il capo della Chiesa. La scelta del termine hegemonikos si spiega per se stessa; É il dono dello Spirito che appartiene al capo. La migliore traduzione sembrerebbe essere Spirito d’autorità».

La nuova forma richiede anche che questo Spirito sovrano o d’autorità che è dato all’ordinando sia lo stesso che fu elargito agli Apostoli. Prima di tutto è necessario chiarire che una tale richiesta non afferma per nulla che gli ordinandi siano elevati al rango degli Apostoli. Tranquillamente si potrebbe, per absurdum chiedere a Dio di donare a tutti i laici cattolici, lo stesso Spirito Santo che fu dato agli Apostoli. È evidente che una simile richiesta non afferma per niente che sia chiesto in questo momento per gli ordinandi, come sarebbe normale domandarlo, che siano elevati alla dignità degli Apostoli. Si comprende perché Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Apostolicae Curae et Caritatis” afferma a proposito dell’Ordinale Anglicano «Le parole … «ricevi lo Spirito Santo», non significano affatto in modo determinato l’Ordine del sacerdozio, o la sua grazia o la potestà». Così, ancorché, riconoscessimo, in questo Spirito direttore o principale oppure sovrano od invero d’autorità, lo Spirito Santo, la forma non significa né il potere, né la grazia dell’episcopato.

[continua…]

 


 

[1] «Da questa unione adulterina non possono che venire dei bastardi. E chi sono questi bastardi? Sono i nostri riti. Il rito della nuova Messa è un rito bastardo. I sacramenti sono dei sacramenti bastardi. Non sappiamo più se sono dei sacramenti che donano la grazia oppure non la donano. Non sappiamo più se questa messa ci da il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo oppure no.  (…) I sacerdoti che escono dai seminari sono dei preti bastardi. Non sanno più che sono stati fatti per salire l’altare, per offrire il Santo Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo e per dare Gesù Cristo alle anime e per portare le anime a Gesù Cristo. Ecco cosa è un prete, e i nostri giovani che sono qui lo capiscono bene. Tutta la loro vita è consacrata a questo, ad amare, ad adorare e a servire Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia, perché loro credono alla presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia (…) E’ questa volontà di dialogo con i Protestanti che ci ha portato a questa messa bastarda ed a questi riti bastardi»

[2] Ludovico OTT, Compendio di teologia dogmatica, Torino – Roma 1955, p. 538.

[3] Si confronti su questo argomento DS. 3439 – 3451.

[4] Cfr. Il Breve di papa Pio VI Charitas que del 13 aprile 1791.

[5] Dom Prosper GUERANGER, Institutions Liturgiques

[6] Testo in lingua italiana del nuovo Pontificale Romano, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, Ed. CEI 1992.

[7] Dom Poulet, Histoire du Christianisme fasc. I, p. 124.

[8] Nella sua costituzione apostolica Pontificalis Romani che pubblicò i nuovi riti d’ordinazione, Paolo VI dichiara che il fine della revisione del Pontificale romano è stato quello di «migliorare e di precisare l’espressione in più punti importanti della dottrina… che si trovano già inclusi nel rito della consacrazione episcopale… Nella revisione del rito, è stato necessario aggiungere, di sopprimere o di cambiare certe cose, sia per ristabilire i testi nella loro integrità originaria, sia per rendere le espressioni più chiare, sia per meglio esprimere gli effetti del sacramento … Per pervenirvi in modo corretto , si è pensato bene di riscorrere tra le antiche fonti, alla preghiera consacratoria che si trova nel documento chiamato Tradizione apostolica d’Ippolito di Roma, scritta all’inizio del III secolo , e che in gran parte è ancora in uso nella liturgia delle ordinazioni presso i Copti e Siro occidentali».

[9] Easton Burton Scott, The Apostolic Tradition of Hipplytus, con introduzione e note, Cambridge University Press 1934; studio riedito ed aggiornato da Arcnon Books Agleterre, 1962.

[10] J.M. Hanssens, La liturgie d’Hippolyte. Ses documents son titulaire, ses origines et son caractère, in Orientalia Christiana Analecta, 155, Roma 1965, p. 501; AA.VV. Ricerche su Ippolito, (Studia Ephemeridis «Augustinianum» 13, Roma 1977, p. 153.

[11] Il Pontificale Copto: pimerosm massnaut nte pi eucologion è rinvenibile presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma in una versione bilingue greco bizantina e araba.

[12] Traduzione ufficiale del Pontificale dei Siri d’Antiochia 2ª parte p. 204 – 205, edito nel 1952 Charfe Libano con l’Imprimatur di S.E.R. Gabriele Card. Tappuni, Patriarca Siro Occidentale d’Antiochia.

[13] La Sacra Bibbia Edizione Ufficiale della CEI, giugno 1974.

[14] Bernard Botte O.S.B., Spiritus Principalis, Formula dell’ordinazione episcopale. Studia in Notitiae, Vol. X 1974, p. 410, 411.

Fonte: www.agerecontra.it