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Nota di Radio Spada: grazie all’aiuto di un nostro amico e lettore pubblichiamo in tre puntate il resoconto stenografico (con alcune interessanti postille del trascrittore) della conferenza tenuta a Como il 18 ottobre 2012 da Luca Fumagalli e da Piergiorgio Seveso, voci di Radio Spada, presso la sede dell’Associazione Quattrocentodieci. La conferenza non perde affatto di attualità, pur in questi mesi tragici del carnevale bergogliesco, e viene pubblicata nel cinquantennale (21 novembre 1964) della promulgazione della costituzione dogmatica “Lumen Gentium” durante il concilio vaticano II, vero colpo di pugnale vibrato e inferto al Corpo mistico della Chiesa cattolica.  Qui la prima parte: https://www.radiospada.org/2014/11/concilio-vaticano-ii-l8-settembre-chiesa-prima-parte/ 

Parla Luca Fumagalli 

L’ 8 ottobre 1962 Roncalli aprì il Concilio, e l’8 dicembre 1965  Montini lo chiuse.

Già durante il pontificato di Eugenio Pacelli, Pio XII, si era ipotizzata la possibilità di convocare un nuovo concilio ( il CV I, infatti, era stato bruscamente interrotto dalla breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870, e non era stato più ripreso e completato), ma Pacelli era contrario, poiché temeva che convocandolo vi fosse il rischio che le idee della nuova teologia potessero penetrare nella Chiesa e venire così ufficializzate, non solo in seno al concilio, ma anche nei media e nel pensiero comune della gente (cosa che poi regolarmente avvenne). Così, prudentemente, Pio XII non ascoltò i consigli di coloro che, nella curia, spingevano per l’indizione del concilio, e preferì rimandare.

La palla fu raccolta da Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, che in gioventù era stato accusato di modernismo (a causa della sua amicizia con Ernesto Buonaiuti) e per tale motivo sospeso dall’insegnamento. Giovanni XXIII, ammaliato dalle teorie moderniste che si stavano diffondendo nella Chiesa e delle quali era simpatizzante convocò quindi il concilio.

 

Ma per comprendere bene come fu possibile il repentino passaggio da un papa apertamente contrario ad un altro invece favorevole a indire il concilio ecumenico (che avrebbe irrimediabilmente cambiato i connotati della Chiesa Cattolica) è utile fare un breve accenno al conclave del 1958.

Se Pio XII si rifiutava di indire il concilio, invece i progressisti scalpitavano nel richiederlo; vista l’inamovibilità di papa Pacelli, però, essi dovettero ben presto rendersi conto che la cosa avrebbe potuto realizzarsi solamente con il suo successore, sempre che fosse stato un papa di più larghe vedute (più tardi si seppe che, in quegli anni, mons. Montini pregava per la morte di Pacelli), maggiormente disponibile ad accogliere le idee dei novatori. Alla testa del partito progressista stava un personaggio di grande intraprendenza ed ostinazione, Giovan Battista Montini, di famiglia filocomunista (nel periodo della guerra civile ospitavano i partigiani comunisti), amico di Palmiro Togliatti, segretamente in contatto col Kremlino negli anni in cui era alla Segreteria di Stato come uomo di fiducia di Papa Pacelli. Assieme ad un suo prete fidato, Montini  passava ai russi i nomi dei sacerdoti che Pacelli infiltrava in Urss per aiutare la chiesa del silenzio, condannandoli così a morte certa nei gulag. Scoperto in flagrante, Pacelli lo allontanò subito dalla Segreteria di Stato, inviandolo nella prima diocesi libera (purtroppo era Milano, covo di modernisti) e rifiutandosi di promuoverlo cardinale. Nonostante ciò, Montini fece sapere ai russi che dopo la morte di Pio XII l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti dell’URSS sarebbe cambiato radicalmente. Ebbene, un simile personaggio (recentemente “beatificato) riuscì, tramite l’ala progressista presente nel conclave del 1958, ad imporre alla Chiesa un papa di transizione di simpatie moderniste (tra l’altro suo amico). Un’elezione anomala, quindi, come lasciava anche supporre lo stesso nome adottato da Roncalli, Giovanni XXIII, lo stesso nome dell’ultimo antipapa. Coincidenza? Segnale occulto di rottura con il passato della Chiesa e del papato? Non lo sapremo mai, il Vaticano custodisce bene i suoi segreti. Fatto sta che voci attendibili riferivano di un patto imposto come condizione a Roncalli per la sua elezione: nominare subito Montini cardinale e prepararlo per la successione, patto che Roncalli avrebbe accettato di buon grado (data anche l’amicizia esistente tra i due). Una volta nominato Montini cardinale, Giovanni XXIII cominciò a mandarlo spesso in giro in sua vece, al che qualcuno gli chiese “santità, ma come mai mandate sempre in giro Montini al posto vostro?”, ottenendo per risposta “perché deve abituarsi a fare il papa”.

Alla morte di Pacelli, quindi, il partito dei novatori vinse la sua prima e forse più importante battaglia, dalla quale dipendeva la possibilità di indire il concilio e di rivoluzionare completamente la Chiesa dal suo interno (come osservava mons. Borromeo nel suo diario). Una volta posto Roncalli sulla cattedra di Pietro, il resto venne come naturale conseguenza di un piano meticoloso preparato in precedenza: la strada verso il concilio , con conseguente imposizione a tutta la Chiesa (clero e laici) del pensiero neomodernista era ormai aperta, larga e scorrevole, ed era tutta in discesa. Iniziava così il declino, apparentemente inarrestabile, della bimillenaria Chiesa Cattolica.

 

Ritornando al punto in cui Giovanni XXIII convoca il CV II, vediamo che con esso trovarono paternità e legittimità molti degli errori che erano stati condannati dai papi precedenti. I padri conciliari erano circa 3000 tra cardinali, vescovi e superiori generali di congregazioni religiose. Assieme a loro ebbero un ruolo importante nel concilio i cosiddetti periti, teologi, studiosi, esperti che accompagnavano cardinali  e vescovi. Spesso gli interventi dei padri conciliari erano scritti dal perito di fiducia, oppure concordati con lui (Ratzinger, ad esempio, era il perito di Martini). In ambito modernista queste figure furono determinanti, poiché impressero al concilio la direzione voluta dai progressisti. Molti di essi ebbero un ruolo di primo piano: Chenu, Congar, De Lubac, Rahner, gesuita famosissimo, quest’ultimo, capo della fazione progressista mittleeuropea (una foto dell’epoca lo ritrae a fianco di Ratzinger). Altro famoso progressista del concilio era Hans Kung, noto per le sue apparizioni televisive,  dalle idee alquanto eterodosse (sincretismo religioso, codice etico mondiale). Stranamente non venne invitato, unico fra i grandi teologi mitteleuropei, Hans Urs Von Balthasar, considerato uno dei precursori del Concilio Vaticano II. Henri-Marie de Lubac, uno dei più influenti teologi del secolo XX, (i cui scritti hanno giocato un ruolo chiave nello sviluppo della dottrina del Concilio Vaticano II), fu nominato da Giovanni XXIII consultore della Commissione Teologica preparatoria al Concilio Vaticano II e poi  nominato anche “esperto” del Concilio.

 

Il CV II, il 21°della serie,  si è svolto in quattro sessioni,, tutte svoltesi nel secondo semestre di ogni anno: la prima da ottobre a dicembre del 1962, mentre le altre tre da settembre a dicembre di ciascun anno, fino al 1965. Durante gli ultimi mesi dell’anno i padri conciliari si ritrovavano a Roma per le discussioni e le votazioni dei vari documenti, mentre nel resto dell’anno stavano nelle loro diocesi a svolgere la loro normale attività.

Dalla seconda sessione il concilio fu organizzato e gestito da quattro moderatori,   nomi importanti nel panorama dei padri conciliari, tre dei quali ebbero un ruolo molto importante nella diffusione delle idee progressiste emerse durante l’assise conciliare. Si tratta precisamente di Dopfner, arcivescovo di Tubinga (dove gli sarebbe succeduto Ratzinger), Suenens, primate del Belgio ed esponente di punta dell’ala progressista, e Lercaro, arcivescovo di Bologna, anch’egli emerito progressista ed amico di Giuseppe Dossetti. Il quarto membro era Agagianian, un moderato rispetto ai suoi colleghi, grande antagonista di Roncalli nel conclave del 1958. Quindi tre moderatori su quattro erano apertamente progressisti, il che lasciava presagire dove si sarebbe andati a parare.

Per capire il funzionamento del concilio pensiamo al parlamento italiano: ci sono commissioni ristrette che elaborano i documenti conciliari,  votati poi in assemblea  dai tremila padri conciliari. Sono possibili tre  tipi di voto: placet, non placet, placet juxta modum, cioè va bene, però con alcuni emendamenti. Se il testo andava bene veniva subito approvato, ma  molto spesso vi si apportavano delle modifiche, dopo di che veniva nuovamente messo ai voti ed approvato definitivamente. Vi era però nel concilio un’ambiguità di origine: fu lo stesso Roncalli a introdurla per la prima volta nella storia dei concili; infatti egli non volle che il Vaticano secondo fosse come il Vaticano primo o come il concilio di Trento, cioè un concilio dogmatico, che stabilisce delle verità inoppugnabili e condanna gli errori del mondo. Pensando a quanto stava succedendo nella Chiesa e nella società dell’epoca, un concilio dogmatico, di aperta condanna degli errori dell’umanità (basti pensare al comunismo ateo ed omicida, autore di centinaia di milioni di morti nel mondo) appariva come l’ipotesi più naturale per un osservatore od un padre conciliare non prevenuto o in mala fede (come lo erano i neomodernisti). Ci si aspettava, quindi, che il concilio condannasse gli errori del mondo e quelli già penetrati all’interno della Chiesa, sull’esempio di Pio IX e San Pio X. Invece no, Roncalli adottò una formula molto ambigua, che sarà fatta propria anche da Montini e da molti padri conciliari progressisti, la formula del “concilio pastorale”, cioè un concilio non di condanna ma di dialogo con il mondo. Questo perché i progressisti pensavano che non si potesse cambiare la mentalità del mondo condannando, ma che lo si sarebbe potuto fare dialogando (Montini, ad esempio, fece più volte sapere a don Luigi Villa che doveva smetter di pubblicare scritti contro i comunisti, perché tanto avrebbero vinto  su tutta la linea e la Chiesa sarebbe dovuta venire a patti con loro).

 

Si suol dire che dai frutti si può giudicare l’albero, così, vedendo quello che è successo dopo il concilio, si direbbe che questa formula non abbia funzionato; è soprattutto l’idea del concilio pastorale ad essere usata spesso da storici e teologi per mettere in discussione l’infallibilità dei pronunciamenti conciliari.

Nel dibattito conciliare sin dall’inizio si formarono tre posizioni, tre gruppi contrapposti. Il gruppo più organizzato, che fin dall’inizio si mobilitò con documenti, studi specifici, manovre di tipo politico per includere nelle varie commissioni più loro membri possibile, era quello della c.d. “alleanza europea”, più tardi ribattezzata “alleanza mondiale” poiché si estese a tutto il pianeta; erano i progressisti, che al loro interno avevano cardinali,  teologi e periti provenienti da Germania, Francia, Belgio e  Olanda (nazioni di riferimento dell’alleanza),oltre ai tre moderatori prima citati. La destra conservatrice era formata da un gruppo molto debole e sfrangiato, che si organizzò troppo tardi, quando ormai le cose avevano preso una brutta piega; si tratta del c.d. “coetus internationalis patris”, un gruppo di padri conciliari appartenenti a diverse nazioni, che purtroppo si costituì solamente nella terza sessione del concilio (cioè nel 1964), troppo tardi per imprimere il proprio punto di vista all’assise conciliare, come pure per bloccare l’arrembaggio dei progressisti. Il gruppo comprendeva i padri conservatori, o tradizionalisti,; tra loro vi era anche mons. Léfébvre, il cardinali Ottaviani (capo del S. Uffizio), Siri, Palermo, Ruffini (uno dei più tenaci oppositori dei progressisti) e il brasiliano Castro Mayer (che cercava di creare un argine, un’opposizione al progressismo dilagante). Ma purtroppo il loro intervento fu tardivo e inefficace. La magna pars, cioè la parte più cospicua dei padri conciliari, dal punto di vista numerico, potremmo definirla come terza posizione oppure come palude,  poiché se in realtà l’assemblea conciliare era molto divisa, e gli interventi di progressisti e conservatori si equivalevano, poi durante le votazioni la maggior parte dei padri votava a favore dei progressisti. Questo fatto sorprende molto, qualcosa non quadra, perciò alcuni astorici, come il professor Roberto de Mattia (autore dell’interessante volume “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta”), che fa una bella ricostruzione del dibattito conciliare, individuano due motivi che spiegano questo paradosso: da un lato il fatto che molti padri conciliari si lasciavano ingannare dall’ambiguità dei documenti conciliari (come faceva notare mons. Borromeo nel suo diario, più volte citato); in effetti gran parte dei documenti conciliari erano talmente ambigui che, nell’epoca del post concilio, vennero usati sia dai conservatori che dai progressisti per avvalorare le loro idee ed il loro comportamento. Molti padri, poi, peccarono di eccessiva fiducia nei confronti di Paolo VI: più di Montini che di Roncalli, però, cosicché, di fronte a certi interventi di Paolo VI, che aveva tutto l’interesse a che certe discussioni venissero fermate (basti pensare alla richiesta di condanna del comunismo ateo e omicida, presentata da più di 500 padri conciliari e imboscata da Montini, che la tirò fuori  in zona cesarini, quando ormai era troppo tardi per discuterla) e che certi documenti venissero approvati  molto in fretta,  di fronte a certi suoi pronunciamenti, dicevamo, questi padri conciliari, sicuramente la maggioranza numerica dell’assemblea, votarono secondo la volontà del pontefice, avallando quindi le sue idee progressiste (filo protestanti, filo comuniste, ecumeniste e massoniche, in una parola, neomoderniste) e rimanendo a volte ingannati. Come non parlare quindi, come fatto da certi studiosi del concilio, di una vera e propria rivoluzione, anche se non fisicamente violenta,, ma certamente subdola i ingannatrice. In tal modo il “coetus” subì un grave contraccolpo da questo comportamento del terzo settore.

I documenti conciliari furono molto numerosi (rispecchiando, oltre che l’ambiguità, anche la prolissicità tipica dei neomodernisti), e molti di essi riuscirono a cambiare profondamente l’aspetto della Chiesa Cattolica e ne tradirono la bimillenariia Tradizione, essendo palesemente in aperta contraddizione con tutto quello che la Chiesa aveva sostenuto nei secoli precedenti (alla faccia della tanto declamata “ermeneutica della continuità” dai “papi” del post concilio). Tra i più importanti e problematici possiamo citare la ”Dignitatis humanae”, relativa alla libertà religiosa, la “Gaudium et spes”, sul rapporto tra Chiesa e mondo moderno, la ”Nostra Aetate”, sulla questione ebraica e, più in generale, sul rapporto tra la Chiesa Cattolica  e le altre religioni e, infine, la “Lumen gentium” sulla nuova idea di Chiesa prodotta dal CV II.

 

Per capire veramente cosa significhi affermare che il CV II è stato l’8 settembre della Chiesa Cattolica, facciamo un semplice esempio, parlando del dibattito sul tema della libertà religiosa. In realtà questo è un concetto che nella Chiesa Cattolica non è mai esistito; l’unico concetto esistente su questo tema era quello di tolleranza; la Chiesa, cioè, riteneva di non poter permettere, all’interno di uno stato in cui essa era la religione predominante, la diffusione di idee ad essa contrarie, di idee eretiche; al più, per la buona convivenza civile, poteva accettare la coesistenza dell’errore con un atteggiamento tollerante. Le minoranze religiose, cioè, potevano essere tollerate per pura bontà e  per mantenere l’ordine pubblico, non certo per incentivare la diffusione di idee contrarie al Cattolicesimo o di idee eretiche. Ecco che, invece, nell’aula conciliare, propugnato dai padri progressisti, si insinua, e viene poi fatto proprio dal concilio stesso,  il concetto di libertà religiosa, che significa che lo Stato, di fronte alle questioni religiose rimane sostanzialmente indifferente, diventando così quello che oggi si chiama Stato laico (ma in effetti questo tipo di Stato è pervaso da un’intenso sentimento anticattolico ed antireligioso). Quindi lo Stato consente a qualunque religione di diffondere all’interno dei suoi confini, e di propugnare apertamente in pubblico, la propria dottrina. Questa cosa nella Chiesa, prima del CV II, non era mai esistita. La libertà religiosa esisteva, sì, ma solamente per l’individuo, il singolo, che poteva aderire a qualsiasi religione gli piacesse, ma non esisteva però in ambito pubblico; per uno Stato cattolico era impossibile lasciar diffondere  pubblicamente le eresie al proprio interno. Nel Concilio,invece, la questione viene completamente ribaltata, e nasce così questo nuovo concetto che ha fatto sì che Benedetto XVI,  in un discorso rivolto al presidente francese Sarkosy, facesse un pubblico elogio della laicità positiva, quella, per intenderci, adottata dagli USA, contrapposta alla laicità negativa, quella della rivoluzione francese, che i cattolici li uccideva. Questa idea, per un cattolico preconciliare, sarebbe stata pura follia In proposito, il cardinal Ottaviani osservò che lo Stato ha il compito di incentivare apertamente il bene della collettività, e quindi non può rimanere indifferente di fronte al bene supremo che è quello della Verità, da cui dipende la salvezza eterna dei suoi cittadini. Lo Stato ideale dei cattolici preconciliari, pertanto, era lo stato cattolico, quello Stato che faceva di tutto per incentivare lo sviluppo e la diffusione della Chiesa Cattolica. Non per niente nel concordato del 1929 si afferma che la religione del Regno d’Italia è quella cattolica, apostolica, romana.

Ciò comportava anche alcune facilitazioni, concesse agli appartenenti alla religione ufficiale dello Stato, come esenzioni fiscali, esonero dal servizio militare per i chierici, ecc. Ecco, in proposito, l’intervento del cardinal Ruffini al momento della presentazione in Assemblea del testo sulla liberà religiosa: “Con il testo firmato il 12 febbraio 1929 tra la Santa Sede e il Regno d’Italia si sancisce che la religione cattolica è la religione di Stato, e per di più unica; inoltre, molti diritti speciali vengono riservati  a uomini ecclesiastici e cattolici. Tutti questi aspetti, se la nostra dichiarazione sulla libertà religiosa venisse approvata come ci viene presentata oggi, sarebbero facilmente impugnabili dai nostri nemici con una facile speranza di vittoria; se lo Stato è laico, il Concordato è una contraddizione in termini, dire che la religione cattolica è la religione dello Stato va contro il concetto di libertà religiosa”. Tra l’altro, il concetto di laicità dello Stato non era propugnato dalla Chiesa Cattolica ma dalla massoneria, il che la dice lunga su di un aspetto del modernismo talvolta trascurato o sottovalutato, cioè l’aperta simpatia per la massoneria e l’appartenenza di numerosi ecclesiastici a questa setta segreta. I padri fondatori degli Stati Uniti d’America, a partire da George Washington, erano tutti massoni, ad esempio. Interessante anche l’intervento del cardinal Siri: “Lo Stato vuole difendere la libertà, e in genere la libertà deve essere difesa in ogni modo, ma per  noi che siamo i successori degli apostoli è più importante difendere l’ordine divino, la legge divina, perché se per  difendere la libertà noi disprezziamo la legge di Dio, si verificheranno sicuramente delle disgrazie, sia teologiche che pratiche; se noi amiamo la libertà a discapito della verità, ecco che la contraddizione è palesata”. (Un discorso, questo di Siri, che si adatta benissimo anche alla situazione odierna, in cui Bergoglio ed i suoi accoliti vogliono ad ogni costo far passare una pastorale che, in nome dell’accoglienza da parte della Chiesa di tutte le voglie egoistiche della società, nega e rifiuta l’immutabile legge divina).

L’ultimo intervento prima della votazione della “Dignitatis humane” fu quello del cardinal Arribay Castro, spagnolo, ed è forse il più significativo e divertente; ecco le sue parole “A quel che sembra, tutte le religioni sono uguali, e manca poco che concludiamo che nessuna è veramente importante”. Questo è il concetto di libertà religiosa spinto al massimo grado, quale emerge dalle parole di un principe della Chiesa!

A chi si chiedesse come sia stato possibile che un concilio pastorale abbia portato una simile rivoluzione nella Chiesa Cattolica, potremmo rispondere che, probabilmente, i novatori già fa tempo erano pronti a sferrare l’attacco decisivo alla barca di Pietro, aspettando solamente un cambio alla guida della Chiesa, e questo avvenne con l’ascesa di Roncalli al soglio pontificio. Come abbiamo visto, Roncalli riabilitò coloro che erano stati puniti e messi in disparte da Pacelli, a partire dallo stesso Montini, poi convocò il concilio, come si aspettavano i neomodernisti (Bea in primis), mettendovi alla guida un drappello di risoluti novatori. I conservatori, o tradizionalisti, furono presi alla sprovvista, in contropiede, e non riuscirono ad organizzarsi per tempo e, in particolare, a trascinare dalla loro parte gli indecisi, i moderati, che vennero ingannati dall’ambiguità dei testi predisposti dai modernisti e mesi in soggezione dal comportamento di Paolo VI, apertamente schierato dalla parte dei novatori. Tanto bastò per cambiare radicalmente i connotati alla Chiesa Cattolica e portarla su strade sulle quali mai avrebbe pensato di incamminarsi (si ricordi il tormentone dei vaticansecondisti “il popolo in cammino”, sì, ma verso  quale destinazione?).

Vediamo adesso di spendere qualche parola a proposito del post-concilio. Se prima del concilio la Chiesa aveva il desiderio di dialogare con il mondo, di aprirsi ad esso, di venire a patti con il mondo ricorrendo ad un approccio pastorale e non più dogmatico, di condanna degli errori, di ammonimento, di invito al ravvedimento, alla conversione, al cambiamento di vita ( indicando agli erranti la retta via per raggiungere la salvezza eterna), una volta concluso il CV II si sarebbe dovuti rimanere soddisfatti: ora basta , avrebbero dovuto dire, finalmente ci siamo liberati di quel vecchiume, del latino, del tomismo, della messa VO, ci siamo aggiornati,  adesso il mondo si convertirà al cattolicesimo nella sua totalità. Questo avrebbe dovuto essere il pensiero di un progressista in buona fede. Ma purtroppo, come dicevamo prima, dai frutti si riconosce l’albero, e quali sono stati i frutti del concilio? eccoli: laicizzazione,, scristianizzazione, “nuova messa”, svuotamento dei seminari, scomparsa delle vocazioni, ecc. A questo punto potremmo chiederci, però, “ma come si fa a imputare tutte le colpe al concilio? forse tutto ciò sarebbe successo anche senza il concilio, a causa della smania di novità e di apostasia del mondo moderno, pur in costanza della messa antica, della pastorale tradizionale. Si potrebbe quindi sostenere che la colpa non èp del concilio, ma della laicizzazione dello Stato, che ha origini remote(nella rivoluzione francese, se non ancor prima). In effetti in molti testi si afferma come sia abbastanza evidente che il CV II possa essere considerato il padre della rivoluzione della modernità, in primis della rivoluzione del 1968 (la c.d. contestazione generale). Sentiamo in proposito cosa ne dice il professor Roberto de Mattei, già citato “Il ’68 trae origine nell’università Cattolica. La rivoluzione del ’68 ebbe un forte impatto nella Chiesa e nella società, ma la svolta del concilio ne aveva favorito l’esplosione. Lo slogan del ’68  “proibito proibire” aveva le sue radici nell’avversione conciliare ad ogni forma di proibizione dottrinale. Le richieste del movimento del maggio ’68 coincidevano in larga misura con le idee del concilio, in particolare con la costituzione sulla Chiesa nel mondo. Parrocchie, gruppi cattolici e protestanti, tenevano riunioni e assemblee su temi quali “da Che Guevara a Gesù Cristo””.

Questo il cattolicesimo che caratterizza il ’68. Del resto, già il CV II, come afferma l’Abbé Laurentin, in una certa misura fu la contestazione di un gruppo di vescovi contro la Curia, che tentava di mettere in piedi un concilio prefabbricato. Quindi, se anziché intitolare questa conferenza “Il CV II, l’8 settembre della Chiesa”, l’avessimo intitolata “Il CV II, il ’68 della Chiesa”, il titolo avrebbe calzato a pennello. Una minoranza progressista  impose le sue idee all’assise conciliare e, conseguentemente, all’intera Chiesa. Bisogna aggiungere però, per capirsi meglio, che la minoranza era apertamente e decisamente appoggiata da Montini, che era riuscito a piazzare sul soglio di Pietro (con manovre poco chiare e poco pulite); da lì, con il timone della barca di Pietro in mano, Montini appoggiò i ribelli e fece di tutto per assicurare loro il predominio sul concilio.  Concludendo: alcuni dei principali esponenti del movimento del maggio ’68, come Mario Capanna, provenivano dal movimento cattolico. Capanna era iscritto all’università cattolica e, riferendosi a quell’epoca, ha più tardi affermato “passavamo intere nottate a studiare e discutere gli scritti dei teologi all’epoca ritenuti di frontiera, Rahner,  Schillebeeckx, Bultmann, assieme ai documenti del concilio”. Rahner e Schillebeeckx, infatti, sono due perfetti prototipi dei progressisti presenti al concilio.

Quindi, se dai frutti si riconosce l’albero, i frutti del CV II (che ancor oggi sono sotto gli occhi di tutti) furono, e sono tutt’oggi, frutti avvelenati. La sola cosa che noi pochi, amanti della Tradizione Cattolica e della Chiesa preconciliare,   possiamo fare è resistere al mondo moderno. Se il concilio è caduto nel voler dialogare con una realtà impazzita che si allontana sempre di più da Dio, il nostro obiettivo deve essere esattamente l’opposto, cioè essere orgogliosi del nostro rifiuto della modernità, memori non solo delle promesse di Gesù Cristo, ma anche delle certezze che ci garantisce la Chiesa Cattolica preconciliare, con la teologia tomista che l’ha caratterizzata nei secoli passati. Questa è l’unica arma a nostra disposizione, l’unica vera nostra certezza. L’obiettivo nostro, quindi, è quello di “instaurare omnia in Cristo” come affermava San Pio X.  (applausi).

 [continua…]

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