Cosa spinge Paolo Alazraki, uomo d’affari milanese di origini ebraiche, a convocare i giornalisti alla sede della Stampa estera di Milano per annunciare la nascita del primo fondo islamico in Italia?
Innanzitutto, la volontà di dare corpo a un’idea di finanza che “collega chi ha i soldi e chi li impiega” e non invece come semplice speculazione. In secondo luogo, la convinzione che “la finanza islamica”, negli ultimi vent’anni, sia stata la sola finanza “etica” nel mondo.
“Agiremo attraverso l’emissione di sukuk (certificati di investimento conformi alla sharia, l’equivalente delle obbligazioni per la finanza islamica) – spiega Vincenzo Macaione, CEO di Primus Partners – E comunque, se non dovessimo emettere sukuk, il 70% della cifra a cui puntiamo viene comunque raccolto da Paesi islamici”.
“La società di gestione sarà una Sicaf, Sif Lux, lussemburghese, non perché vogliamo eludere ma perché si utilizza solitamente la doppia imposizione fiscale degli anglosassoni, soprattutto americani. Partiremo con una prima tappa in Bahrein con gli investitori e poi da lì una tappa a Londra. Noi saremo la società di gestione, la management company, investiremo soprattutto sull’immobiliare, il 70% in Italia e il 30% in Europa, 300 milioni da raccogliere entro settembre 2015 con la possibilità di quotarlo a fine anno”.
Tuttavia, puntualizza Alazraki, gli investimenti in immobili daranno grande spazio al cosiddetto social building, spazi dedicati ad attività “che restano”, come, “tanto per fare un esempio, i campus universitari”. E il primo investimento, sottolinea “saranno i venti milioni dati a Bank of Palestine per fare microcredito”: una scelta indicativa della volontà di creare ponti tra religioni e culture diverse. Linea confermata anche dal progetto di creare una collezione d’arte comparata, cattolica, ebraica e musulmana.
“L’ufficio, per ragioni analoghe, sarà a Firenze – prosegue Alazraki – La città dove sono nate le banche e la città del grande mecenatismo. Perché la cultura è il nostro petrolio. Se l’Italia investisse 15 miliardi in tre anni in beni culturali – ristrutturazione, mantenimento e messa a reddito – risolverebbe gran parte dei suoi problemi.”
Un concetto, per chiudere il cerchio, che va ricondotto alla concezione etica della finanza che ha fornito la prima idea al progetto. Perché, come ha detto papa Francesco e come Alazraki stesso ama ricordare “I discepoli non avevano conti in banca. Finanza ed economia devono cambiare, ricordando che tutti devono avere da mangiare“.
Fonte – cenni generali sulla finanza islamica sono reperibili qui
Bello…
gli Apostoli ( non i discepoli ) avevano un conto nella borsa di Giuda ( che si squalificò per le ruberie dell’ affidatario, non perse stessa sé). E Gesù aveva tra i suoi amici carissimo Lazzaro, un mercante di successo, al quale fece il piacere di restituirlo alla sua attività, richiamandolo in vita.E poi avere un conto in poprio e gestirlo, è sempre meglio che averlo in banca…
Il Gesù poveraccio è una turlupinazione del Bergoglio detto papa, che in compenso è padrone dello IOR, ristrutturato a potenza finanziaria, altro che abolizione…
(Chi scrive certe idiozie, sappia che non tutti qui sono fessi…: il fesso è magari lui, o Imbroglione, e chi la pensa come lui, solo coram populo, ovviamente…) – Ma cosa ci si può aspettare di buono da un ebreo- in campo finanziario (e da unsimpatizzante delle Logge)???