Alessandro-Gnocchi

Pubblichiamo un commento di Pietro Ferrari della redazione di Radio Spada ad un recente articolo di Alessandro Gnocchi pubblicato su “Il Foglio” e ripresi dai principali blog “tradizionalisti”.

 La Chiesa cattolica ha un’Anima e un Corpo ma l’ossessione visibilista, come se la Chiesa fosse essenzialmente qualcosa di tangibile, è speculare all’errore protestante della ‘chiesa invisibile’ dei soli eletti. Questo abbaglio ottico che fa considerare la nota della visibilità non come conseguenza, ma come causa delle note invece essenziali che recitiamo nel Credo (Unità, Santità, Cattolicità, Apostolicità), produce necessariamente una idea del tutto acattolica sulla Chiesa, e cioè che la medesima possa subire ‘mutazioni genetiche’ e pertanto essere non più indefettibile ed infallibile nel suo magistero ordinario ed universale….ma pur sempre visibile! Per approfondire: https://www.radiospada.org/2014/11/la-nouvelle-theologie-del-sedeplenismo/ 

Nella ‘neo-chiesa-postconciliare-visibile-fallibile’, davanti ad una maggioranza di modernisti ‘di sinistra’ onesti intellettualmente, albergano anche i modernisti ‘di destra’, i conservatori del CVII, in lotta coi modernisti ‘di sinistra’ ma in concomitante e schizofrenica comunione di Fede, Governo e Sacramenti con loro. Ecco che nasce la categoria astratta del “tradizionalista”, che crea da tempo più equivoci che altro. Il richiamo all’unità nel mondo della Tradizione cattolica a seguito del Concilio Vaticano II proposto dal cattolicesimo militante, fatto da chierici e laici “tradizionalisti”, è riuscito a ritrovarsi soltanto e vagamente attorno a delle chiavi di lettura della crisi della Chiesa, chiavi di lettura spesso improntate sugli aspetti culturali, ideologici e magari “complottistici” di ciò che avveniva e continua ad avvenire nella Chiesa. Ci sono, però, dei punti nevralgici, dei luoghi simbolici e dei “grumi teologici” attorno a certi argomenti cruciali che dividono, spesso tristemente anche con asprezza, il composito “mondo tradizionalista cattolico”, che, diciamolo chiaramente, si trova ad essere definito da un epiteto più giornalistico che teologico. Questi temi sono: l’infallibilità pontificia, il significato della “pastoralità” o meno del Concilio Vaticano II, la possibilità che la Chiesa insegni errori perniciosi, la questione della disobbedienza e quella della visibilità della Chiesa, il sedevacantismo e il sedeplenismo oltranzista, sui quali Carlo Di Pietro ha scritto l’ottimo libro Apologìa del Papato edito da Effedieffe. Non è possibile che tutte le posizioni del variegato “mondo tradizionalista” siano corrette, soprattutto perché ci si ostina a definirsi ‘tradizionalisti’ piuttosto che Cattolici.

Scrive A. Gnocchi: “La prova del Concilio Vaticano II, consegnato dal modernismo a una visione politicizzata, ha condotto certi tradizionalisti a cadere nel grande inganno rivoluzionario finendo in due finti opposti. Da un lato, si sostiene che un Concilio non può sbagliare e dunque, dal momento che alcuni documenti del Vaticano II suscitano difficoltà, il Papa che li ha promulgati e i successori che li hanno accettati hanno perso quanto meno “formalmente” la suprema autorità: sono Papi solo “materialmente”. Dall’altro, si dice che un Concilio non può sbagliare, dunque il Vaticano II non ha sbagliato, dunque non solo è un vero Concilio ma è il metro per giudicare tutto il Magistero precedente. Se per i primi il Vaticano II è tutto da buttare a prescindere, per i secondi è tutto da accettare a prescindere. Ma si tratta della stessa posizione che viene semplicemente capovolta… Cosicché, l’eccessiva raffinatezza della cervice teologica, a forza di rendere acuti i ragionamenti, finisce trasformarli in ottusi e incapaci di parlare al prossimo. Sia che viri verso il neoconservatorismo, sia che viri verso il sedevacantismo, il risultato è un tradizionalismo afasico, al limite dell’autismo, che si compiace della purezza propria e, forse ancor di più, dell’impurezza altrui. Sul piano pastorale, ne discende una degenerazione clericale: il sopruso e la condanna senza capacità di porgere perdono. Sul piano dottrinale, ne deriva il peccato d’orgoglio: alla condanna senza capacità di porgere la verità.”

Certamente, un Concilio Ecumenico non può sbagliare nell’insegnare dottrine di fede e morale, come non può sbagliare a fortiori il Papa, ed è singolare, emblematico e formidabile che proprio dagli ambienti “tradizionalisti”, si vadano a pescare le già smontate illazioni (e fraseologìe tipo “degenerazione clericale”) dei protestanti contro l’Infallibilità Pontificia pappagalleggiando i casi di Antiochia, Liberio, Onorio, etc. e dei fallibilisti nel CVI. La questione se il CVII sia tutto da buttare o no, è conseguente a quella se l’autorità che ha promulgato gli Atti del CVII sia legittima o meno, prima di entrare nel merito di cento argomenti diversi: se igli esiti del CVII e del postconcilio sono voluti, decisi ed imposti dalla Chiesa non si può buttare proprio nulla, neanche l’ultima postilla di magistero solo autentico, in quanto pur non essendo infallibile non può nuocere né alla fede, né alla morale. Gesù insegna che o si è con Lui o no e che ‘chi ascolta voi ascolta me’, quindi sembra davvero improbabile che un cattolico possa fare un “libero esame” di ciò che la Chiesa gli propone a credere, prendendo a spizzichi e bocconi solo quello che gli piace. Dico che ‘sembra improbabile’, ma solo per il cattolico qualunque perché evidentemente i fallibilisti hanno carismi particolari di discernimento interiore. 

A dir la verità però A.Gnocchi, al di là delle gratuite e generiche offese, delle calunnie e delle schematizzazioni parasociologiche tra opposti estremismi, riprende quasi integralmente un vecchio pezzo scritto col suo amico Mario Palmaro, a cui già fu risposto in modo puntuale, sebbene fosse vuoto di contenuti:https://forum.termometropolitico.it/187456-l-apologo-dello-specchio-una-risposta-gnocchi-e-palmaro-sul-sedevacantismo.html e pertanto se c’è stato un atteggiamento “incapace di parlare al prossimo ..(e).. al limite dell’autismo, che si compiace della purezza propria e…dell’impurezza altrui”, bisognerebbe guardare prima la trave di evangelica memoria che la pagliuzza nell’occhio altrui. Eppure, nonostante ‘afasico’, io stesso l’anno scorso su RS quando furono epurati da ‘Radio Gospa’, ebbi a mostrare solidarietà nei loro confronti, pur criticando il loro sedeplenismo aprioristico: “Voglio confortare, in questa occasione, i due stimati giornalisti Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro e tutti coloro che soffrono condanne morali per aver cercato di dire la verità, con questo stralcio della “Imitazione di Cristo” –  Libro II cap 6, che potrebbe leggere anche Eugenio Scalfari per riflettere meglio sul significato della “coscienza retta”:’La gloria dell’uomo giusto è la testimonianza della sua buona coscienza. Abbi dunque una coscienza pura e avrai sempre letizia. La buona coscienza può sopportare molte tribolazioni, e nelle avversità è lietissima. La cattiva coscienza è sempre timorosa e inquieta’ .

Cosa spinse due giornalisti convinti “continuisti”, ad accusare J.M. Bergoglio di diffondere “relativismo morale”, se non la presa d’atto di un qualche “tradimento”? Cosa li spinse a rincarare la dose sul sito Corrispondenza Romana? L’essere rimasti delusi e spiazzati dal gesto insolito di J. Ratzinger mai accaduto prima nella storia, ma probabilmente anche da una sorta di promessa non mantenuta dal suo pontificato. Doveva chiudersi ogni lettura di “rottura” tradizionalista o progressista, ma il tentativo era già sfumato prima di Bergoglio, proprio perché non è stato mai realizzato in concreto e basti pensare a quanto possa essere giudicato “restauratore” un pontefice che mentre corteggia i lefebvriani, ad Erfurt, esalta la spiritualità “cristocentrica” del bestemmiatore Lutero definendo la condanna di Lutero l’errore di una “società confessionale” e con un colpo di spugna riassorbe l’anglicanesimo nella Chiesa: https://www.radiospada.org/2013/07/se-lo-scisma-e-leresia-van-via-col-bianchetto/ e comunque non chiude la parabola invasiva dei neocatecumenali. ll disorientamento del mondo tradizionalista ‘sedeplenista’ e ‘fallibilista’, a seguito delle “dimissioni” (sarebbe più corretto parlare di “abdicazione” a meno che non lo si creda un presidente qualunque e non un monarca di diritto divino) di Joseph Ratzinger, come può spiegarsi se non per questa cocente delusione? Dove sarebbe oggi la continuità asserita e mai dimostrata? Ottimi giornalisti come Gnocchi e Palmaro, da tempo frequentavano ambienti che hanno preso troppo sul serio il discorso ratzingheriano circa la “ermeneutica della continuità”, anche se il teologo Brunero Gherardini (di certo non sedevacantista), col suo “Concilio Ecumenico Vaticano II, un discorso da fare” (edito da Casa Mariana Editrice, vicina ai Francescani dell’Immacolata, che però già lentamente prendevano le distanze dal teologo), si chiedeva ad esempio, circa la libertà religiosa così come insegnata dal CVII dove fosse la “continuità”:

 “E’ allora possibile sottoporre DH all’ermeneutica della continuità? Se ci si contenta della declamazione astratta, sì; sul piano della concretezza storica, non vedo come. La ragione è lapalissiana: la libertà del decreto DH, che non riguarda un aspetto della persona umana ma la sua stessa essenza … ha ben poco in comune con la Mirari Vos di Gregorio XVI, con la Quanta Cura di Pio IX e l’allegato Syllabus, con la Immortale Dei di Leone XIII, la Pascendi di Pio X, etc…. Non è, infatti, questione di linguaggio diverso; la diversità è sostanziale, e pertanto irriducibile … i contenuti  del precedente Magistero non trovano né continuità, né sviluppo in quello di DH. Due Magisteri allora?… L’evidenza … farebbe proprio pensare ad un Magistero sdoppiato

In buona sostanza, la continuità certamente va dimostrata, non proclamata. Gherardini dovrebbe spiegare però, dopo aver evidenziato ‘due magisteri’ in contrasto, a quale dovrebbe credere il fedele se sono entrambi scaturiti da autorità legittime. Sull’ecumenismo, né sincretistico, né proselitistico ma di “reciproco arricchimento” non le manda a dire: 

Il dialogo è una sorta di tacito imbroglio. Lo si raccomanda e lo si mette pure in atto ‘per comunicarsi reciprocamente le proprie interiori ricchezze’ (AA 12)….Quando poi, e sempre sulla base di ciò che unisce, i dialoghi affrontano i motivi del dissenso, diventano snervanti e quasi sempre inconcludenti. Peggio è quando le conclusioni sono quelle all’insegna del cedimento: il tema della ‘giustificazione’ lo testimonia … ognuno ha le sue ragioni, ognuno può mantenersele … facendone dono agli altri e ricevendo il dono altrui per il vicendevole arricchimento. Come il meno possa arricchire il Tutto e come possa l’errore arricchire la verità, resta da spiegare.” 

Il fallibilismo induce alla follìa di ritenere che la Sposa di Cristo segua “una sorta di tacito imbroglio”. E’ ripugnante per la coscienza di un cattolico, che si troverebbe obtorto-collo membro di una Prostituta, in comunione con una gerarchìa apostata o che “rinuncia (?) all’impegno del suo ufficio”, ma che rimane legittima, alla quale si può disobbedire sistematicamente seguendo invece l’infallibilità che una parte della ‘chiesa discente’ si è arrogata in sua vece.

Comunque per restare nel tema, è fuori discussione che la decantata “ermeneutica della continuità” sia stata e sia ancora una frode culturale e spirituale. Evidentemente, invece di prendersela con i corifei che spacciano la frode continuista, è più comodo prendersela coi sedevacantisti per non correre il rischio di dovergli dare ragione.

Pietro Ferrari