di Massimo Micaletti
Leggo su FB (e sento in giro) amici e Colleghi giustamente indignati per l’ipotesi, al vaglio del Legislatore, di depenalizzare i cosiddetti “reati minori”, riducendoli ad illeciti amministrativi. Se tale provvedimento dovesse essere approvato, potrebbero accadere parecchie brutte cose. Ad esempio, si potrebbe torturare e massacrare un cane mantenendo la fedina penale pulita. Oppure, si potrebbe occupare la casa di altri rischiando giusto una sanzione amministrativa. E via così.
Ora, la preoccupazione è assolutamente comprensibile: sono proprio i reati minori che accrescono la sensazione di insicurezza nei cittadini, perché statisticamente molto più frequenti, ad esempio, degli omicidi.
Però, fermiamoci un secondo.
Nel 1978 la Democrazia cristiana, su pressione del Partito Comunista, nella grancassa radicale, e con l’assenso di PSI e PRI, ossia con i mentori di coloro che oggi ci governano, ha approvato la depenalizzazione dell’aborto. Parliamo della soppressione dell’essere umano non nato! Anzi, è stato fatto ben di peggio: l’aborto non è stato solo depenalizzato, non è stato solo legalizzato: l’aborto è sovvenzionato ed attuato dallo Stato, che lo pratica nelle strutture dove medici sono pagati per garantirlo.
Perciò, quando pensiamo a casa nostra – magari al casa al mare o in campagna, dove non andiamo per lunghi periodi pur pagandoci sopra le relative onerose tasse e sostenendone le manutenzioni – occupata a tempo indeterminato da sconosciuti, se facciamo il paragone con la Legge 194 dobbiamo immaginare non che lo Stato lo consenta, ma addirittura che esso paghi persone affinché la nostra porta venga scassinata e gli occupanti possano entrarci in casa in tutta sicurezza. Così pure, tornando all’esempio del cane torturato, immaginiamo se lo Stato non solo permettesse il maltrattamento, ma pagasse persone affinché il cane fosse torturato e soppresso, magari perché chi vuol farlo personalmente rischia di prendersi un morso.
Chi accetterebbe leggi così?
“Ma nel caso dell’aborto, si trattava di regolare un fenomeno storicamente sempre esistito”, qualcuno può obiettare: ma anche l’occupazione abusiva di casa altrui è sempre esistita, come pure la tortura di animali, ma questo non significa che non debbano essere perseguite penalmente.
“Ma l’aborto clandestino è pericoloso per la donna!”; anche occupare abusivamente una casa può comportare rischi per chi lo fa, come pure far male ad un animale. Non per questo accetteremmo che dipendenti pubblici consentissero ad altri di entrarci in casa.
“Ma somministrando l’aborto, lo Stato aiuta le donne in difficoltà!”: il che equivale a dire che depenalizzando l’occupazione delle casa, lo Stato viene incontro ai bisogni abitativi dei meno abbienti, quando è invece evidente che lo Stato e la comunità devono farsi carico di queste situazioni e non scaricarle sul singolo.
Perché queste stesse obiezioni, sollevate a proposito di chi si prende casa nostra, ci paiono insostenibili mentre hanno fondato e fondano la distruzione della vita milioni di esseri umani?
Perché è avvenuta quella che i sociologi criminali chiamano “perdita del disvalore”, o che i prelati di ogni ordine e grado chiamano “perdita del senso del peccato”. L’aborto è la prova magistrale di come si possano confondere le coscienze a base di disinformazione, campagne propagandistiche, casi estremi ed emotività: ciò è avvenuto e può avvenire perché riteniamo sia un fenomeno che non ci tange o non ci tangerà direttamente; quando invece pensiamo all’abusivo dentro casa nostra, quando veniamo toccati nella concreta spicciola quotidianità, ci inalberiamo e pretendiamo – giustamente – che i nostri diritti vengano tutelati.
Ma la dimensione esistenziale non è la sola differenza tra come si percepiscono i “reati minori” e come si vede la questione aborto legale; l’altro grande discrimen, che concorre al silenzio delle coscienze, è che il concepito non ha voce. Mentre uno che si vede la casa invasa protesta, mentre un cane torturato guaisce, ebbene un feto umano non ha nessuno che lo ascolti o lo veda mentre viene fatto a pezzi e gettato tra i rifiuti ospedalieri. Ed anche quando ben lo si può vedere e sentire vagire, ossia nel caso dell’aborto oltre il terzo mese, che sono veri e propri parti indotti nei quali il feto, se non viene distrutto dalla procedura, viene lasciato a morire sul tavolo, ebbene anche in questi casi esistono persone che si sfilano i guanti insanguinati e guardano altrove. Tanto, è tutto legale. E’ lo Stato, bellezza.
Se potessimo sentire, però, anche solo per un secondo, il grido di tutti gli esseri umani distrutti ogni giorno da medici pagati dallo Stato coi nostri soldi, non chiuderemmo occhio la notte per l’angoscia.
La mia è una risposta sul filo del paradosso. Innanzitutto non è vero che la 194 depenalizza l’aborto. L’aborto nemmeno viene citato. Si parla di Interruzione volontaria della gravidanza. Non è solo un cavillo semantico. La legge, se la si legge per come è scritta, non dà nessun diritto alla donna. Solo regolamenta i casi in cui due diritti riconosciuti vengono a collidere. Guardando tutto il corpus legislativo, compreso l’obbligo di cercare di salvare il nascituro quando possibile, e la possibilità di partorire in modo anonimo, si deve riconoscere che la legislazione italiana è, sulla carta, molto migliore di quella di tutti gli altri stati che consentono l’IVG. A mio parere, è stato un errore della DC, e della Chiesa, quello di non enfatizzare questa lettura, ma di mettere la polvere sotto il tappeto, o ignorando il problema, o condannando aprioristicamente la 194. Che, se fosse stata applicata alla lettera, avrebbe avuto ben altri esiti. Ripeto: so che questa mia visione non convincerà quasi nessuno…
Almeno me non convince. In sintesi:
1) IVG è una locuzione per non dire aborto procurato, forse per pudore, non lo so; ma è proprio un cavillo semantico.
2) E’ vero che non c’è scritto che la donna a diritto ad abortire ma è senz’altro vero che le strutture ospedaliere hanno il dovere di fornire l’aborto a colei, che munita di certificato, si reca ivi per abortire. E se esiste un dovere dello stato, deve per forza esistere di converso un diritto ad ottenere ciò che lo stato ha dovere di dare.
3) Per quanto riguarda la collisione dei diritti, va notato che la legge 194 allarga a dismisura i limiti dell’aborto terapeutico, includendo anche non ben definite condizioni sociali che autorizzano la donna a chiedere l’aborto. De facto (ed anche de iure) la donna a suo giudizio insindacabile decide se la gravidanza è pericolosa per la sua salute, senza bisogno di portare giustificazioni e rendendo il medico mero notaio della sua volontà.
4) Pertanto non esiste una lettura diversa della 194, a meno di arrampicarsi sugli specchi. La lettura più convincente è quella che sinora ne è stata data, cioè che la donna, adducendo pretesi motivi di salute, può abortire su richiesta nei primi 3 mesi.
5) In sostanza la 194 non è tanto diversa da altre leggi abortiste in giro per il mondo, solo è più ipocrita (e qui credo che la causa sia nel lavorìo dei “cattolici” eletti nelle file del PCI) perché non dichiara esplicitamente quello che invece nella sua applicazione è inevitabile, cioè l’aborto su richiesta.
Questa lettura della legge (legge che è essa stessa incoerente), se non ha fatto presa tra le aree libertarie-radicali e cattolico-conservatrici, si è imposta in larghissima parte, e si vedono i risultati. Tutti pensano secondo le categorie e lo spirito di questa legge : “l’aborto è una scelta seria e sofferta ma non si può impedirlo”, “il non nato ha meno valore della donna”, “chi è contro l’aborto attenta alla salute delle donne”.
Questo abortismo “debole” ha convertito una cultura che prima riteneva l’aborto solo come un delitto sordido da perpetrare in segreto.
L’abortismo subdolo della 194 è stato accettato dalla maggioranza, mentre un abortismo “forte” (l’aborto è un diritto irrinunciabile, una via di emancipazione e una soluzione ai problemi demografici) sarebbe stato rigettato perché troppo distante dalla morale comune e si sarebbe potuto imporre solo con metodi di tipo totalitario.
Oggi invece sarà molto facile traghettare la massa verso un abortismo più intenso, perché ormai la mentalità è corrotta.
Consiglio di leggere gli articoli di Dal Bosco sull’abortismo “umanitario”.
Enrico, Le pongo una sola domanda: Lei crede che se depenalizzassero, anzi sovvenzionassero con fondi pubblici, l’occupazione della casa altrui, le occupazioni aumenterebbero o diminuirebbero?
RISPOSTA ALLA DOMANDA: è INFINITAMENTE più grave abortire!
Credo che gli esempi dell’articolo (molto chiari e pertinenti) non rendano l’idea: altro che animali torturati o case occupate, si sta parlando dell’uccisione di ESSERI UMANI, a volte fra ATROCI sofferenze e ricordiamoci che l’aborto non è un omicidio di serie B, la vita del concepito vale tanto quanto quella della madre: come immoralità e idiozia la legalizzazione e la sovvenzione dell’aborto eguaglia la depenalizzazione e la sovvenzione dello stupro, anzi lo supera, visto che lo stupro è meno grave dell’omicidio e si potrebbero dire le stesse identiche IDIOZIE (lo stupro è sempre esistito, lo stupro clandestino è pericoloso per la salute dell’uomo, ecc., ecc.)!
De Sade voleva depenalizzare e sovvenzionare entrambi, per ora all’aborto ci si è purtroppo arrivati, speriamo che NON si arrivi anche a legalizzare la violenza carnale.
Diego, la domanda è provocatoria: la penso esattamente come Lei. Il senso del mio pezzo è dare la misura di quanto si sia perso – appunto – il senso del male.
nella magnifica e progressiva società di oggi certamente è più grave torturare o abbandonare un cane. Vuoi mettere i diritti di una creatura scodinzolante con le pretese di un ‘mucchietto di cellule’ di venire al mondo? E nel caso di un Rom – un uomo, penso – che abbandona la figlia, nemmeno si pone la domanda della maggiore o minore gravità; qui tutto è normale: parola di giudice (- cane)!
Abortire è infinitamente più grave che torturare un cane, è un peccato che la maggior parte delle persone siano moralmente così accecate da non capirlo!
E’ difficile trovare un comportamento aberrante e disumano come l’aborto.
Ma che razza di paragoni state facendo.Chi abortisce merita l’i ferno ( per paragone ) chi tortura un cane non merita il paradiso.Vedete voi cosa sceglire.
Io qui noto grande ipocrisia; no all’aborto,si alla pena di morte. Avete interpellato il Capo prima di sentiziare in autonomia.