Di Massimo Micaletti

 

Mi segnala un amico che Rino Cammilleri, a titolo di provocazione, avrebbe ipotizzato la regolamentazione delle sole unioni civili, abolendo l’istituto civile del matrimonio. Non sono riuscito a rintracciare lo scritto in cui Cammilleri avrebbe lanciato questo spunto, ma mi pare una boutade intelligente e drammaticamente concreta, datosi che un’unione dissolubile a piacimento quale è già ora il matrimonio civile non è più matrimonio, ma qualcosa di completamente diverso. Si tratterebbe semplicemente di prenderne atto e amen.

 

Ma, a proposito di amen, una provocazione ce l’avrei pure io: perché non battersi per l’introduzione (anzi, la reintroduzione) nell’ordinamento del matrimonio indissolubile? Intendo: una unione che potrebbe essere sciolta solo nei casi canonici di nullità e che si affiancherebbe al matrimonio  attuale. Gli sposi potrebbero scegliere al momento delle nozze se optare per la divorziabilità o no, con possibilità, in corso del rapporto coniugale, di passare dal matrimonio dissolubile a quello indissolubile, ma non viceversa. Chiunque contragga nozze religiose cattoliche, contrarrebbe ipso iure il vincolo anche civilmente irrevocabile.

 

Qualche effetto concreto? In primis, la scelta di sposarsi in Chiesa sarebbe parecchio più consapevole, con una scrematura che manco tre anni di corso prematrimoniale in un monastero potrebbero ottenere. Altro che “Voglio quella chiesina lì perché viene così bene in foto”.

Inoltre, pensiamo a banche ed assicurazioni: ad esempio, quale coppia avrebbe maggiori probabilità di ottenere un mutuo? Quella unita per sempre o quella che si fonda su un rapporto esposto alla prima causa di povertà degli ultimi tempi, ossia la morsa separazione / divorzio?

Ci sarebbe poi tutto il tema delle pubbliche provvidenze (ad esempio le case popolari), ma su quel profilo lì sono certo che la Corte costituzionale, con l’aria che tira, dichiarerebbe illecita ogni discriminazione tra quello che è poi l’unico vero matrimonio e lo scimmiesco precario impostore che abbiamo ora.

E l’adozione o l’affido, chi vedrebbero privilegiato? Chi sceglie una forma che dà la più ampia garanzia di stabilità, o chi si lascia una scappatoia perché non si sa mai?

 

Soprattutto, pensiamo agli sposi: quale uomo, quale donna accetterebbe un legame che dall’inizio ha  chiaramente e dichiaratamente in sé il connotato della precarietà, il germe dell’abbandono? Eppure oggi lo si fa con noncuranza, serenamente, ché oggi lo Stato solo così vede le famiglie: un’unione temporanea, passeggera o per la vita, comunque retta dal momento, incapace di concepirsi – giuridicamente ma anche antropologicamente – per sempre.