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di CdP Ricciotti

In questi tristi e brevi dossier (clicca qui) stiamo studiando la controversa figura di J. Ratzinger, “fine teologo”, a tal punto che la sua “finezza” nell’arte del saper ben districarsi nel modernismo, fra affermazioni e negazioni, portò il grande esegeta mons. Spadafora ad esprimersi in questi termini: «Devo fermarmi sullo studio del card. Joseph Ratzinger [Prefetto della C.d.F. e Presidente della P.C.B.] che nel suo studio […] alterna luci ed ombre in un crepuscolo umanamente senza speranze, [ammette e riconosce la grave] crisi dell’esegesi cattolica [con] affermazioni che fanno a pugni con le [sue] precedenti. […][Ammette] il grave stato di cose [nell’esegesi biblica] ma non è stato in grado di impedirlo, anzi lo ha sensibilmente aggravato», etc etc etc…

Recentemente Enzo Bianchi, che si fa chiamare “ ‘Priore’ di Bose”, cita J. Ratzinger per fomentare il dialogo aconfessionale fra la setta vaticanosecondista ed i giudei del Talmud: «Come annotava il cardinal Ratzinger, “fede cristiana e giudaismo sono due modi di fare proprie le Scritture di Israele che in definitiva dipendono dalla posizione assunta nei confronti di Gesù”. L’Antico Testamento apre a entrambe le strade» (clicca qui).

Siamo davanti ad un J. Ratzinger che loda il Documento della Pontificia Commissione Biblica (Vaticano, © 2001, dal titolo «Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana»), da lui diretta, introducendolo ed usando queste parole: «Vorrei esprimere ai membri della Pontificia Commissione Biblica il mio ringraziamento e la mia riconoscenza per la loro fatica». Laddove si leggono riflessioni di brutale apostasia (clicca qui), come: «l’attesa messianica ebraica non è vana».

Lo stesso “fine teologo” che è convinto che «i giudei non credono a Gesù genuinamente, a causa dell’oscurità dei testi» (etc, etc, etc…), cancellando con un’affermazione 2.000 anni di storia di vita vissuta e di Magistero.

Visibilmente eccitato durante la sua visita alla sinagoga di Colonia, J. Ratzinger applaudiva compiaciuto mentre il cantore della sinagoga pregava e cantava strofe ebraiche a pieni polmoni. Per di più si univa agli ebrei nella preghiera Caddisc, con della musica Jiddis di sottofondo.

Si univa al coro dei modernisti che falsificano storia ed esegesi, fino ad asserire che i giudei del Talmud sarebbero «stirpe di Abramo» e che la loro Alleanza sarebbe ancora in pieno vigore (clicca qui e qui).

J. Ratzinger, 5 Sett. 2000, a Zenit.org, testo tradotto dall’inglese, diceva: «Siamo d’accordo che un ebreo, e questo è vero per i credenti di altre religioni, non ha bisogno di conoscere o di riconoscere Cristo come il Figlio di Dio per essere salvato […]». (Sept. 5, 2000 «[W]e are in agreement that a Jew, and this is true for believers of other religions, does not need to know or acknowledge Christ as the Son of God in order to be saved …»]. J. Ratzinger aggiunge: «[…] if there are insurmountable impediments, of which he is not blameworthy, to preclude it […]», tuttavia egli stava esprimendosi in un dotto contesto falso ecumenico, con interlocutori che ben conoscono a sufficienza la Chiesa e dove certamente sono da escludersi gli «insurmountable impediments». Le sue affermazioni, difatti, non erano generiche bensì molto ben circoscritte in quel contesto. (qui maggiori approfondimenti).

Che J. Ratzinger intendesse “salvi” anche chi ha conosciuto Gesù e non solo gli ignoranti che non Lo conoscono, è evidente per molti motivi: 1) dal fatto che parla degli ebrei, e gli ebrei conoscono Cristo poiché sono ben informati, specialmente in quella precisa cerchia di uditori “ratzingeriani” ed in quel contesto (alla conferenza stampa della presentazione del documento Dominus Iesus); 2) dal fatto che chiaramente parla sia di chi non Lo conosce, sia di chi non Lo ri-conosce (know or aknowledge); 3) dal fatto che anche in altre occasioni ha sostenuto la medesima dottrina.

J. Ratzinger il 16 gennaio 2006 fece i migliori auguri al rabbino capo di roma per la sua «missione spirituale»: «Sua Eminenza, Rabbino Capo, le è stata affidata recentemente la guida spirituale della Comunità Giudaica di Roma; lei si è fatto carico di questa responsabilità, arricchita dalla sua esperienza di accademico e di dottore, che ha condiviso le gioie e le sofferenze di molte persone. Le offro i miei auguri di cuore per la sua missione, e le assicuro la stima cordiale e l’amicizia, da parte mia e dei miei collaboratori» (clicca qui). Stiamo parlando della missione spirituale di un rabbino capo.

J. Ratzinger, mistificando l’esegesi a sua convenienza, si rifiutò di convertire i giudei, sostenendo che «la Chiesa non deve preoccuparsi della conversione dei Giudei, perché occorre aspettare il momento stabilito da Dio» (clicca qui); spingendosi fino ad asserire che i giudei sarebbero «una predica vivente , alla quale la Chiesa deve rimandare, perché richiamano alla mente la passione di Cristo» (ivi.).

J. Ratzinger in «Luce del Mondo», 2010, affermò: «Nell’annuncio della fede cristiana deve essere centrale questo nuovo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere di ognuno e della RISPETTIVA MISSIONE … E’ giusto chiamare gli ebrei nostri “Padri nella fede”. E forse quest’espressione descrive con maggiore chiarezza il rapporto dei cristiani con essi».

J. Ratzinger chiamò gli ebrei (di oggi) nostri «padri nella fede», «predica vivente», ma noi sappiamo che solo alcuni ebrei dell’Antico Testamento sono nostri padri nella fede (Abramo, Mosé, ecc…), giammai tutti e non quelli che dopo hanno rifiutato il Messia (e quindi hanno rifiutato le parole di Mosé e di Abramo) ed adottato il Talmud, libro gnostico, integrandolo all’Antico Testamento! Questi non sono nostri «padri nella fede», eppure sono proprio i soggetti che J. Ratzinger definisce così.

J. Ratzinger nel suo discorso agli ebrei parigini, 12 settembre 2008, provò dapprima a fare della striminzita teologia politica per poi concludere: «Non posso tralasciare, in un’occasione come questa, di richiamare il ruolo eminente svolto dagli Ebrei di Francia per l’edificazione dell’intera Nazione e il loro prestigioso apporto al suo patrimonio spirituale. Essi hanno donato – e continuano a donare – grandi figure al mondo della politica, della cultura, dell’arte. Formo voti rispettosi e pieni d’affetto all’indirizzo di ciascuno di loro e invoco con fervore su tutte le vostre famiglie e su tutte le vostre comunità una particolare Benedizione del Signore dei tempi e della storia. Shabbat shalom !» (clicca qui).

J. Ratzinger nell’Udienza generale del 17 gennaio 2007 affermò: «Da ormai quasi due decenni la Conferenza Episcopale italiana dedica questa Giornata all’ebraismo con lo scopo di promuoverne la conoscenza e la stima e per incrementare il rapporto di reciproca amicizia tra la comunità cristiana e quella ebraica, rapporto che si è sviluppato positivamente dopo il Concilio Vaticano II e dopo la storica visita del Servo di Dio Giovanni Paolo II alla Sinagoga Maggiore di Roma. Anche l’amicizia ebraico-cristiana, per crescere ed essere fruttuosa, deve fondarsi sulla preghiera. Invito pertanto tutti a rivolgere quest’oggi un’insistente invocazione al Signore perché ebrei e cristiani si rispettino, si stimino e collaborino insieme per la giustizia e la pace nel mondo» (clicca qui).

J. Ratzinger nell’Udienza del 10 maggio 2012 esaltò il cv2 con gli ebrei: «Come sapete, il prossimo mese di ottobre si celebra il cinquantesimo anniversario dell’inizio del concilio Vaticano II, la cui Dichiarazione Nostrae Aetate continua a essere la base e la guida dei nostri sforzi per promuovere maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità. Questa Dichiarazione non solo assunse una netta posizione contro ogni forma di antisemitismo, ma gettò anche le basi per una nuova valorizzazione teologica del rapporto della Chiesa con l’ebraismo, e mostrò la sua fiducia nel fatto che l’apprezzamento dell’eredità spirituale condivisa da ebrei e cristiani avrebbe portato a una comprensione e a una stima reciproca sempre più grandi» (clicca qui).

Il rabbino capo ashkenazita di Israele Yona Metzger, il giorno dell’invenzione del “papato emerito”, scriveva sul Jerusalem Post: «Durante il suo pontificato ci sono state le migliori relazioni tra la Chiesa e il Rabbinato centrale. Penso gli vada attribuito un grande merito per aver fatto progredire i legami interreligiosi tra ebraismo, cristianesimo e islam».

Il rabbino capo del Commonwealth Jonathan Sacks, nella stessa occasione, scriveva: «L’ho visto come un uomo di gentilezza, quiete e calma, un individuo profondamente riflessivo e carico di compassione, circondato da un’aura di grazia e saggezza».

Haaretz riportava  una dichiarazione di Rav. David Rosen, direttore del dipartimento per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee e consigliere del Rabbinato centrale per il dialogo con le altre fedi: «mentre sono in molti all’interno e all’esterno della Chiesa a sperare in un successore con una visione differente, coloro che hanno a cuore il futuro delle relazioni fra ebrei e cattolici e che conoscono le azioni di Benedetto XVI sono preoccupati che il prossimo papa possa non mostrare lo stesso impegno e attenzione dei suoi predecessori» (clicca qui).

Tanto altro ci sarebbe da dire, ma questi tristi mini-dossier proseguiranno con lo studio di “J. Ratzinger e l’Islam”, etc… etc… etc…