di Lorenzo Roselli
Oggi ricorre la memoria liturgica del Padre e Dottore della Chiesa Basilio di Cesarea, detto Il Grande (329 – 378 d.C.). La sua opera è stata di capillare importanza per la storia della Divina Liturgia e del monachesimo cristiano; fu infatti Basilio a stilare la prima regola codificata del monachesimo cenobitico, dando precise disposizioni sul lavoro, la preghiera, il digiuno (che comprende il vegetarianismo, abrogato dalla regola benedettina) e la meditazione delle Scritture che tutt’ora scandiscono la vita consacrata dei monaci e ieromonaci orientali.
Di fondamentale importanza sono anche i suoi contributi alla teologia cattolica. Nel trattato dogmatico Sullo Spirito Santo, Basilio afferma inequivocabilmente la consustanzialità tra Padre, Figlio e Spirito: « Nella semplicità di Dio l’unità delle Persone consiste nella comunione della divinità. Uno è anche lo Spirito Santo, nella sua propria realtà; ma è congiunto al Padre, che è uno, per il Figlio, che è uno, e per mezzo suo completa la beata Trinità, degna di ogni lode. »
In queste brevi righe, però, vogliamo concentrarci su un aspetto meno noto dell’episcopo di Cesarea, ma estremamente significativo per contestualizzare il suo apostolato nel Tardo Impero; la componente “politica” del suo ministero.
Basilio non sopportava le ingiustizie sociali. Già le prime agiografie esplicitano come avesse sempre parole di biasimo verso chiunque si limitasse anche solo a guardare torvo un mendicante. Da vescovo, inoltre, si prodigò molto nel migliorare la situazione degli indigenti della provincia, anche al costo di dover affrontare privazioni lui stesso, comunque abituato alla dura ascesi monastica dei primi secoli.
Instancabile era la risolutezza con cui si impegnava nella costruzione di dormitori, ospizi, ospedali collocati in un complesso antistante alla città di Cesarea ribattezzato Civitate Caritatis (Città della Carità) e che ospitò uno dei lebbrosari più grandi dell’Impero e dell’Antichità, dopo la sua morte chiamato in suo onore Basiliade. Questo, insieme alla sua lotta senza quartiere a tutte le eresie cristiane giudicate da Basilio irrimediabilmente false oltre che di nefasto ascendente nei confronti della popolazione, portò il “vescovo degli ultimi” a scontrarsi più volte con l’autorità imperiale. Veniva infatti particolarmente contestato l’astio da questi mostrato nei confronti delle grandi famiglie di origine patrizia (molto spesso pagane) che accusava di vivere sulle spalle dei poveri. Nello specifico si scagliava contro il lusso, la promiscuità e la smodatezza di questa classe di nuovi e vecchi ricchi, specchio della decadenza dei tempi, a cui il Cesareo rimproverava anche uno sperpero inaudito di risorse essenziali: « All’affamato spetta il pane che si spreca nella tua casa. Allo scalzo spettano le scarpe che ammuffiscono sotto il tuo letto. Al nudo spettano le vesti che sono nel tuo armadio. Al misero spetta il denaro che si svaluta nelle tue casseforti. E le opere di carità che voi non compite, sono altrettante ingiustizie che voi commettete!»
Questo ultimo appello presente nelle sue omelie, non va di certo interpretato come un invito ad espropriare i beni altrui ma non può essere nemmeno depauperato di una evidente critica sociale ai fondamenti del sistema in cui viveva.
A valergli la poca simpatia di cui godeva nei palazzi di potere del tempo, era infatti anche l’estrema diffidenza verso il ceto dei grandi mercanti che iniziavano a costituire dei sistemi proto-bancari di deposito e interesse, da Basilio considerati nulla più che usurai organizzati. A questi speculatori ante litteram, spesso rappresentati da liberti e nuovi ricchi, il vescovo degli ultimi usava rivolgersi in questi termini: « Voi traete denaro dalle lacrime, strozzate chi è rimasto nudo e percuotete chi ha fame. »
Non era certo nelle competenze di Basilio affrontare sistematicamente il concetto di uno stato giusto, né di elaborare un trattato politico come farà il ben più avvezzo alla politica Ambrogio.
Basilio non manca comunque di proporre soluzioni, forse anche un po’ utopiche, ma che senz’altro pongono le basi di quella che sarà invece la Dottrina Sociale Cattolica, solidarista, comunitaria e distributista: « Se ciascuno si accontentasse del necessario e donasse ai poveri il superfluo, non vi sarebbero né ricchi né poveri. »
Esempi come quelli di San Basilio Magno di Cesarea, devono essere di lezione per noi cattolici sia nell’affronto della storia che nelle sfide odierne. Teniamo a mente quanto abbiano peccato di miopia i proletari ad affidarsi a dottrine materialiste ed intrinsecamente anti-cristiane come il marxismo. Ma oggi, che dell’ideale comunista rimangono solo le fredde ceneri, ricordiamoci che il demoniaco sistema liberal-capitalista ha ancora un nemico, ben più temibile ed antico, che è la Santa Chiesa di Cristo con i suoi santi apostoli ed il suo Magistero sociale.
Perché anche l’apogeo liberale terminerà e, come ci insegna Pio XII, il Cattolicesimo ne vedrà gli idoli crollare ai suoi piedi.
Gran bell’ articolo. Sarà anche utopico rigettare il capitalismo. Ma viene da chiedersi se un cattolico può davvero accettare un sistema economico che porta beni e servizi necessari alla vita non là dove c’è bisogno, ma solo ed esclusivamente dove c’è il denaro per comprarli.
più che contro il capitalismo, San Basilio si scagliava contro l’egoismo o la voracità dei pochi a danno dei molti. Il concetto di capitalismo ( quello vero,lasciamo stare per favore Marx…) farà la sua comparsa con la nascita di un vero sostema economico, a opera del monachesimo benedettino, all’insegna del motto: ora et labora.
San Basilio da buon asceta invitava, in continuità colla Tradizione, a non maltrattare il povero e ad esercitare la carità, non certamente carezzava deliranti utopie socialisteggianti. Chi ha scritto questo articolo appartiene alla schiera di quanti fanno di Cristo “il primo socialista della storia”, non comprendendo che l’esercizio della carità ed il distacco dai beni materiali sono ottima cosa se praticati al fine di raggiungere l’ascesi, e non certo se considerati come obiettivo in sé e per sé, come fatto dai socialisti.
Carità e povertà sono mezzi per raggiungere i fini dello Spirito, non certo per realizzare paradisi sulla terra, pretesa blasfema che spesso e volentieri crea inferni.
Sproloquiare su presunte critiche ai sistemi di produzione operate da asceti vissuti cinquine di secoli fa è un’assurda politicizzazione del Cristianesimo che fuorvia dalla retta strada e nasconde il Cielo, scambiando la Buona Novella per dottrina politica, il che è di per sé l’aspetto peggiore dei modernisti.
Nessuno nega che vi siano aspetti criticabili nel liberismo assoluto, e tuttavia la critica deve essere operata contro il singolo peccatore, e non va certo eretta a sistema politico. Questa cosa i Padri l’avevano capita, e pure la stessa Chiesa, che nel Medioevo ha più volte replicato alle fantasie pauperiste ricordando come Cristo e gli Apostoli avessero beni di proprietà, e pertanto fosse assurdo cadere in tali fantasie, più degne di Mazdak il persiano che non d’un figlio di Dio.
Cristo condanna il ricco Epulone, ma resuscita il ricco Lazzaro. Non è la ricchezza o il produrre ricchezza il problema, ma l’uso che di ciò si fa.
“Se è vero che la Chiesa ha sempre riconosciuto il diritto naturale di proprietà e di trasmissione ereditaria dei propri beni, non è tuttavia men certo che questa proprietà privata è in particolar modo il frutto naturale del lavoro, il prodotto di una intensa attività dell’uomo, che l’acquista grazie alla sua energica volontà di assicurare e sviluppare con le sue forze l’esistenza propria e quella della sua famiglia, di creare a sé e ai suoi un campo di giusta libertà, non solo economica, ma anche politica, culturale e religiosa. La coscienza cristiana non può ammettere come giusto un ordinamento sociale che o nega in massima o rende praticamente impossibile o vano il diritto naturale di proprietà, così sui beni di consumo come sui mezzi di produzione.
Ma essa non può nemmeno accettare quei sistemi, che riconoscono il diritto della proprietà privata secondo un concetto del tutto falso, e sono quindi in contrasto col vero e sano ordine sociale.
Perciò là dove, per esempio, il capitalismo si basa sopra tali erronee concezioni e si arroga sulla proprietà un diritto illimitato, senza alcuna subordinazione al bene comune, la Chiesa lo ha riprovato come contrario al diritto di natura.
Noi vediamo infatti la sempre crescente schiera dei lavoratori trovarsi sovente di fronte a quegli eccessivi concentramenti di beni economici che, nascosti spesso sotto forme anonime, riescono a sottrarsi ai loro doveri sociali e quasi mettono l’operaio nella impossibilità di formarsi una sua proprietà effettiva” (Pio XII, Radiomessaggio del 1° settembre 1944).
“Vi sono alcuni i quali, di fronte all’iniquità del comunismo che mira a strappare la fede a quelli ai quali promette il benessere materiale, si mostrano pavidi ed incerti; ma questa Sede Apostolica, con documenti recenti, ha indicato con chiarezza la via da seguire, dalla quale nessuno dovrà allontanarsi se non vorrà mancare al proprio dovere. Altri si dimostrano non meno pavidi e incerti di fronte a quel sistema economico che è noto con il nome di capitalismo, del quale la Chiesa non ha mancato di denunciare le gravi conseguenze. La Chiesa infatti ha indicato non soltanto gli abusi del capitale e dello stesso diritto di proprietà che tale sistema promuove e difende, ma ha altresì insegnato che il capitale e la proprietà devono essere strumenti della produzione a vantaggio di tutta la società e mezzi di sostegno e di difesa della libertà e dignità della persona umana. Gli errori dei due sistemi economici e le dannose conseguenze che ne derivano devono convincere tutti e specialmente i Sacerdoti a mantenersi fedeli alla dottrina sociale della Chiesa e a diffonderne la conoscenza e l’applicazione pratica. Tale dottrina infatti è la sola che può rimediare ai mali denunciati e così dolorosamente diffusi: essa unisce e perfeziona le esigenze della giustizia e i doveri della carità e promuove un ordinamento sociale che non opprima i singoli e non li isoli in un egoismo cieco, ma tutti unisca nell’armonia dei rapporti e nel vincolo di fraterna solidarietà” (Pio XII, Enc. “Menti Nostrae”, 1950).
Da questi due estratti del Magistero del Sommo Pontefice di Venerata Memoria Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, si evince chiaramente come il Magistero della Chiesa non condanni il capitalismo come tale ma ne condanni gli eccessi e le applicazioni erronee di natura liberista o a carattere esageratamente monopolista.
“Signori miei”, come direbbe un giullare toscano che adesso bazzica per i nostri palazzi di potere, non esiste un “Capitalismo buono”. L’errore più comune in ambito cattolico, è di associare l’idea di proprietà privata a quella di Capitalismo cosicché qualsiasi sistema politico non comunista (compreso il Feudalesimo o la società medievale in generale) diventi “capitalista”.
Liberalismo e Capitale vanno di pari passo: la concezione di Libero Mercato si impone con la Gloriosa Rivoluzione anticattolica inglese, sulla base delle espropriazioni di terreni monastici (fino ad allora concessi in uso frutto ai braccianti) operate dai borghesi emergenti ed i nobili in Inghilterra. Il Capitalismo si basa sul latrocinio, la prevaricazione economica, l’avidità, l’idolatria del denaro. Chiaramente, non tutte le persone che sfruttano il Libero Mercato per lavorare agiscono così, non tutte le imprese “idolatrano” il profitto. Ma fintanto che vige il sistema capitalista, sarà la multinazionale, la macro-impresa a occupare un ruolo di predominanza rispetto a quella piccola. Se si nega qualsiasi forma di intervento pubblico a controllo dell’Economia, l’usurai vincerà sempre.
Questo è quello che chiamo Capitalismo ed in quanto cattolico contrasto. Questo è ciò che San Basilio avrebbe certamente condannato.