Divorzio invenzione di Satana. La Chiesa non vende gli annullamenti. La Rota costa poco

 

 

a cura di CdP Ricciotti

INTRODUZIONE.

Molto spesso si rimprovera alla Chiesa d’aver accordato annullamenti di matrimonio e perfino divorzi, senza motivi sufficienti, ma unicamente per timore dei potenti o per compiacenza verso di loro, o anche perchè ne erano stati comprati i giudici con denaro. Si citano, per esempio, soprattutto i casi di Luigi XII e Giovanna di Valois, d’Enrico IV e Margherita di Valois, e specialmente quelli di Napoleone I e Giuseppina Beauharnais, di Marconi e Beatrice O’Brien. Inoltre, quando un ricco ottiene una sentenza di nullità, tutta la stampa anticlericale non manca di gridare che il ricco è riuscito grazie alla sua fortuna.

Questa è una delle obiezioni – attuale ancora oggi, sebbene arricchita talvolta di volgarità, di pressapochismo storico e di populismo, tendenze tipiche della società contemporanea pilotata dai libertini che, probabilmente per debolezza, sempre più spesso rifugiano nell’ateismo e/o in strane “filosofie permissive” – riportata alla pagina 1206 dell’«Enciclopedia Apologetica», ed. Paoline, 1953, § 1. – Il divorzio dei principi e dei ricchi.

PRECISAZIONI.

Vediamo anzitutto cosa intendiamo quando parliamo di matrimonio, escludiamo, pertanto, quelle forme di “matrimoni civili”, “convivenze” e/o anomalie simili, poiché per il cristiano rappresentano certamente violazioni note dei comandamenti V (scandalo) e VI (atti impuri, adulterio, fornicazione, etc). Non sto facendo il moralista, non è il mio compito. Se cadiamo, e purtroppo può succedere, dobbiamo rialzarci (Confessione, Pentimento, Soddisfazione, Santa Messa, Comunione). Una vita senza Grazia non è una vera vita!

LUSSURIA.

Apoteosi della lussuria, queste forme di “socializzazione” sovente si fondano sul falso amore, nella «ricerca ingorda e disordinata del piacere corporale». La lussuria, uno dei sette vizi capitali, è la causa di tutti gli atti impuri condannati dal Signore, cominciando dall’adulterio. Secondo la Chiesa: «È un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione». Potrà sembrare un discorso anacronistico (clicca qui per approfondire), tuttavia va fatto presente che, anche inconsciamente, una delle leve che spinge un numero sempre maggiore di contemporanei all’ateismo ed alle “filosofie permissive” è proprio la lussuria. Essi, solitamente libertini, si rifugiano nell’ateismo (più o meno convinto), talvolta si fanno addirittura carnefici degli educatori sapienti (intelligenti di buona volontà), dietro il paravento dell’«amore libero». Dicono: «ama e fai ciò che vuoi», lo diceva anche sant’Agostino? Questi mezzucci da bottega denotano la dipendenza, quasi la schiavitù, che molti contemporanei hanno dalla lussuria (parlano le statistiche), ciò produce anche «spocchia» ed «ignoranza», quindi cattiveria, ed un baratro di altri peccati, dunque vizi, se non arginati.

AMA E FAI CIO’ CHE VUOI.

Per intenderci, sant’Agostino quando disse «ama e fai ciò che vuoi», stava commentando la Lettera I di san Giovanni. Parlava dell’amore che ci rende liberi a determinate condizioni: «Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece l’uomo stesso […]. Dunque, una volta per tutte, ti viene proposto un breve precetto: ama e fa ciò che vuoi. Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell’amore; e da questa radice non può derivare se non il bene». Spiega san Giovanni: «[…] perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi». Quindi l’“amore” di cui disgraziatamente parlano oggi molti contemporanei (la tentazione è comune, sciaguratamente anche in chi scrive), non è vero Amore ma è una disperata tutela dei propri egoismi peccaminosi.

PER APPROFONDIRE.

Secondo il «Dizionario di Teologia Dommatica» (1952, Piolanti, Parente, Garofalo, Editrice Studium Roma), che qui cito, il Matrimonio è il Sacramento che prepara i nuovi candidati al regno di Dio. Di Matrimonio e “matrimoni” abbiamo spesso parlato su Radio Spada: https://www.radiospada.org/tag/matrimonio/.

IL MATRIMONIO.

Torniamo al «Dizionario di Teologia Dommatica». Nelle prime pagine della S. Scrittura (Gen. 2, 23 ss.; cfr. Mt. 19, 4 ss.) è tratteggiata la struttura del Matrimonio come contratto naturale (officium naturae). Eccone gli elementi: 1) è istituito da Dio indirettamente per la costituzione dei due sessi, che per istinto di natura si attraggono, direttamente per intervento positivo del Creatore, narrato nella Genesi; 2) è costituito nei singoli casi da mutuo consenso con cui un uomo e una donna si uniscono agli scopi voluti da Dio; 3) è caratterizzato da due qualità fondamentali: l’unità e l’indissolubilità «due in una carne sola»; 4) è orientato al fine principale della procreazione «crescete e moltiplicatevi» (Gen. 1, 27-28), a quello secondario del mutuo aiuto «adiutorium simile sibi» (Gen. 2, 18), e a quello accessorio di disciplinare l’istinto disordinato; 5) porta fin dalle origini qualche cosa di sacro, che tutti i popoli riconobbero nelle cerimonie religiose di cui circondarono le nozze e che Dio nel N. T. apertamente rivelò dicendolo simbolo della futura unione di Cristo con la Chiesa (Ef. 5, 32). Dalla caduta di Adamo alla Redenzione la primitiva unità e indissolubilità non venne sempre osservata né presso il popolo eletto, che per la sua dura cervice strappò una specie di dispensa da Dio stesso, né, tanto meno, presso i pagani, che rotti al divorzio e alla poligamia scesero ben presto a quel basso livello morale, da cui Cristo venne a liberare il mondo. Egli infatti, prima di tutto, restituì il Matrimonio alla sua primitiva purezza richiamando in vigore la legge dell’unità (Mt. 19, 9; Mc. 10, 11; Lc. 16, 18) e sancendo quella dell’indissolubilità con il celebre detto: «Quod Deus coniunxit homo non separet» (Mt. 19-6), poi elevò l’istituto matrimoniale alla dignità di Sacramento. Tale elevazione adombrata nel modo di agire di Cristo, più chiaramente suggerita da san Paolo (Ef. 5, 20-32) e apertamente insegnata dalla Tradizione, trasferì nell’ordine soprannaturale l’«officium naturae» e lo pose sotto la luce dell’unione di Cristo con la Chiesa, da cui riceve la propria fisonomia.

GESU’ E LA CHIESA.

Prosegue il «Dizionario di Teologia Dommatica». Infatti come l’unione di Cristo con la Chiesa: 1) nasce da quella generosa dedizione, 2) per la quale Gesù Cristo nell’effusione del suo amore si dà per sempre (indissolubilità) ad una sola Sposa (unità), 3) per fecondarla spiritualmente, affinché si completi il suo corpo mistico; così il Matrimonio cristiano a) trova la sua genesi nella mutua dedizione, espressa esternamente nelle parole del contratto (il rito sensibile del Sacramento), b) che produce tra l’uomo e la donna un vincolo unico, perché esclusivo di terzi, e indissolubile, perché duraturo fino alla morte, c) al fine principale della fecondità, ordinata a moltiplicare i cittadini del regno di Dio, cui s’aggiunge lo scopo secondario di aiutarsi e confortarsi scambievolmente e quello accessorio di mitigare il fomite della concupiscenza.

I BENEFICI DEL MATRIMONIO.

Per il conseguimento di tali fini il Matrimonio produce «ex opere operato» la grazia santificante e sacramentale, che stabilisce un orientamento costante dell’organismo soprannaturale dei coniugi, cui è annesso uno spirito di rettitudine nella procreazione della prole, di giustizia e di carità scambievole nel portare i pesi della famiglia e nell’assolvere il difficile compito di educare cristianamente i figli.

LE INGERENZE DELLO STATO.

Per la sua elevazione soprannaturale il Matrimonio è sottratto all’ingerenza civile e sottoposto alla vigilanza della Chiesa, che determina le condizioni di validità del contratto coniugale, ne stabilisce gli impedimenti e giudica di tutte le cause concernenti il vincolo sacramentale (cfr. Concilio Trid. sess. 24). Sulla dignità del matrimonio cristiano e sui rimedi contro gli abusi moderni Pio XI emanò la splendida Enciclica «Casti Connubii », 1930 (clicca qui per studiare il documento).

OBIEZIONE.

Torniamo all’obiezione di partenza: Molto spesso si rimprovera alla Chiesa d’aver accordato annullamenti di matrimonio e perfino divorzi, senza motivi sufficienti, ma unicamente per timore dei potenti o per compiacenza verso di loro, o anche perchè ne erano stati comprati i giudici con denaro.

RISPOSTE ALL’OBIEZIONE.

L’«Enciclopedia Apologetica», che qui cito, risponde efficacemente a queste false accuse. Vediamo cosa ci dice ed impariamo a rispondere ai libertini che si dicono atei, immagino per comodità o, come detto, per schiavitù della lussuria. Attenzione, poiché il peccato può condurre anche all’intolleranza animata da odio. Le nostre risposte – diversamente dalle accuse calunniose, intolleranti, in odio alla fede – siano sempre secondo il consiglio di sant’Agostino: “se tu parli, parla per amore; se tu correggi, correggi per amore”.

ALCUNE CONSIDERAZIONI DI ORDINE GENERALE.

Cito: Prima di tutto bisogna far osservare che la Chiesa non ha mai accordato, nè a un principe nè a un fedele qualsiasi, il divorzio propriamente detto, cioè la rottura d’un matrimonio validamente contratto e consumato e il permesso d’un secondo matrimonio. Ma più di una volta, per i principi come per altri fedeli, la Chiesa riconobbe l’invalidità d’un primo e quindi la liceità d’un secondo matrimonio. Fu questo, ad esempio, il caso del matrimonio di Luigi XII e di Giovanna di Valois, proclamato nullo il 17 luglio 1498 per impedimento dirimente d’impotenza; fu pure il caso di Enrico IV e di Margherita di Valois, il cui matrimonio venne dichiarato nullo nel 1599 per difetto di libero consenso. Spesso poi la Chiesa per serie ragioni ruppe matrimoni contratti validamente, ma non consumati. Bisogna ammettere che ebbero luogo alcune manchevolezze di uomini di Chiesa, e perfino di concili particolari (non infallibili, non vincolanti universalmente, NdR), nell’applicazione dei princìpi suddetti. Vescovi, officialità, concili particolari, pur mantenendo il principio dell’indissolubilità del matrimonio validamente contratto e consumato, ammisero troppo facilmente che questo o quel matrimonio principesco era invalido in origine o che non era stato consumato, servendo così le passioni di qualche sovrano (l’errore umano deve essere riconosciuto, tuttavia non è una macchia che mina la «Colonna», sono errori accessori connessi alla natura umana insozzata dal peccato, NdR). In generale i papi, salvo forse Alessandro VI nel caso di Lucrezia Borgia e di Giovanni Sforza, si mostrarono più rigorosi. In ultimo si osservi che una delle principali cause delle lotte che i papi dovettero sostenere con i principi, fu «il mantenere inflessibili le leggi del matrimonio contro tutti gli attacchi del libertinaggio onnipotente» (De Maistre). Basti ricordare l’atteggiamento di Nicolò I contro Lotario, di Urbano II e Pasquale III contro Filippo II di Francia, di Clemente VII e di Paolo III contro Enrico VIII d’Inghilterra. Piuttosto d’intaccare la legge sacra dell’indissolubilità del matrimonio, Clemente VII e Paolo III preferirono vedere un grande paese separarsi dalla Chiesa (la Legge di Dio – diritto divino – non è sacrificabile in ragione dei capricci di alcuni, fosse anche di un’intera nazione, NdR).

IL CASO DI NAPOLEONE.

Cito: Il caso di Napoleone merita una menzione speciale non solo per la persona in causa, ma anche per le circostanze che circondarono il suo cosiddetto «divorzio», che propriamente bisogna chiamare «proclamazione di nullità del primo matrimonio». Napoleone s’era unito civilmente a Giuseppina Beauharnais nel 1796. Nel 1804, alla vigilia della consacrazione, il Papa venne informato che non c’era stato il matrimonio religioso, e si rifiutò di fare la cerimonia se Napoleone non si fosse messo in regola, il che venne fatto la sera stessa a malincuore, dallo zio, il Cardinal Fesch, che s’era munito di «tutte le dispense che talvolta gli occorrevano per assolvere i suoi doveri di cappellano di corte». Il matrimonio ebbe luogo senza testimoni. Nel 1809, volendo contrarre un nuovo matrimonio per avere discendenza, Napoleone risolse di far annullare il primo matrimonio. Il matrimonio dei principi è una delle cause riservate al Sommo Pontefice; ma Pio VII era allora tenuto prigioniero a Savona dall’imperatore. Sapendolo molto fermo, Napoleone portò la causa davanti all’ufficialità di Parigi, la quale dopo aver cercato di esimersi col pretesto d’incompetenza, prese l’affare in mano e dichiarò nullo il matrimonio per vizio di forma: il matrimonio doveva essere celebrato davanti al parroco del luogo, e le dispense ottenute dal Cardinal Fesch non erano abbastanza specificate per essere valide. Fu fatto immediatamente appello all’ufficialità metropolitana, che però confermò la sentenza, aggiungendo un secondo motivo di nullità: il difetto di consenso, perchè al momento della consecrazione Napoleone pensava già di separarsi da Giuseppina di Beauharnais, e pretese di non aver mai voluto impegnarsi seriamente, ma solo tranquillizzare l’imperatrice. Informato della sentenza, Pio VII protestò davanti ai cardinali per la illegalità delle sentenze date dalle ufficialità di Parigi in materia che non era di loro competenza. Quanto alla sostanza della causa il papa non espresse mai il suo parere. È impossibile decidere se le ufficialità di Parigi accordarono un annullamento per compiacenza oppure se gli argomenti addotti da Napoleone contro la validità del primo matrimonio avevano sufficiente valore. Si volle pure che, oltre al difetto di consenso e il vizio di forma, vi fosse stato un impedimento dirimente, che le ufficialità non avevano voluto divulgare. Ad ogni modo questo è certo, cioè che la Chiesa sia nel caso di Napoleone, sia in altri casi, non pronunciò mai sentenza di divorzio, ma si limitò a constatare la nullità del matrimonio.

IL CASO MARCONI.

Cito: Anche questo caso merita particolare menzione. Nel 1927 la Romana Rota dichiarava nullo il matrimonio di Guglielmo Marconi con la signora O’Brien. Molti hanno di essa giudicato senza conoscere i dati di fatto e la legislazione ecclesiastica, quasi la Chiesa avesse concesso l’annullamento per deferenza verso il grande inventore. Ora, «chi voglia rendersi conto del modo serio e regolarissimo con il quale la causa fu trattata e conclusa, non ha che da consultare il volume degli Acta Apostolicae Sedis dell’anno 1927 a pagg. 217-227 dove essa è riferita per esteso. Basti qui ricordare che si tratta, in questo caso, di nullità per condizione apposta contraria alla sostanza del matrimonio e non revocata. Tale condizione era contro il bonum sacramenti ossia contro l’indissolubilità del vincolo che i due contraenti intendevano stringere, ed essa risultò, dalle testimonianze escusse e citate, essere stata tale da prevalere all’intenzione di contrarre il matrimonio. Per comprendere come ciò abbia potuto avvenire, bisogna sapere che varie ragioni ostavano alla celebrazione di quel matrimonio. La famiglia della fidanzata (la quale era un’inglese protestante e non sentiva un gran trasporto per Marconi) si oppose vivamente alla sua celebrazione sia per ragione della diversa nazionalità, sia perchè sembrava combinato senza troppa riflessione e sia infine perchè Marconi, benché figlio di madre protestante era stato battezzato secondo il rito paterno, ossia cattolico, e perciò poteva essere contrario al divorzio, ammesso dalla legislazione inglese e tollerato dalla Chiesa anglicana. La madre della O’Brien avrebbe anzi voluto che la fidanzata restituisse l’anello a Marconi, ma si tacitò quando questi assicurò ad entrambe che, in un eventuale contrasto con la sposa, egli avrebbe acceduto al divorzio, secondo la legge e la confessione anglicana. Si addivenne quindi a un vero patto, stipulato fra Marconi da una parte e la fidanzata con sua madre dall’altra, conosciuto non solo da loro, ma anche dai quattro fratelli della fidanzata, i quali depongono infatti sull’esistenza di tale intesa, e solo con tale condizione (sine qua non) fu celebrato il matrimonio. Accertata con tutta serietà l’esistenza di tale condizione apposta, che vizia il consenso intrinsecamente (anche ad insaputa dei contraenti) e non essendo essa stata in seguito revocata da un consenso valido, la Romana Rota dichiarava con sentenza in data 11 aprile 1927 che constava della nullità di tale matrimonio. Fu così che il Marconi potè passare, con tranquilla coscienza e legittimamente a seconde nozze, dopo che fin dal 1918 si era separato da Beatrice O’Brien (la quale aveva presto contratto altro matrimonio) e nel 1924 aveva ottenuto dai giudici inglesi sentenza di divorzio». C. Cavassa, «Annullamento » di matrimoni, ed. Martano, Chieri 1946, pp. 21-22.

ANNULLAMENTO COMPRATO?

Cito i dati all’epoca in cui fu scritta l’«Enciclopedia Apologetica» qui usata come fonte: Come si è detto, quando un ricco ottiene l’annullamento del suo matrimonio, si vuole che sia riuscito solo per le sue ricchezze. Però si dimentica che vi sono anche dei poveri che ottengono l’annullamento con patrocinio gratuito. Così nel 1930 su 53 cause discusse ve ne furono 25 (con 5 annullamenti) a pagamento e 28 (con 10 annullamenti) gratuite; nel 1940 su 76 cause 45 (con 10 annullamenti) a pagamento e 31 (con 11 annullamenti) gratuite. D’altronde «a Roma che ci può fare la compiacenza se i giudici non conoscono i loro clienti? Che ci può fare il denaro, se non viene alcun emolumento ai giudici, qualunque sia la loro sentenza? Eccetto le spese per la cancelleria, per la redazione e spedizione degli atti, sono pagati solo gli avvocati dei contendenti. Si confrontino le tariffe e si vedrà come, senza condannare i suoi impiegati a morir di fame, l’amministrazione della giustizia ecclesiastica è più economa di quella della giustizia civile» (P. Castillon, in D. A. F. C., III, 115-116). Si deve infine notare la severità della Chiesa in simili cause, tanto in quelle dei ricchi che in quelle dei poveri. Dal principio del 1931 alla fine del 1935 su 346 cause giudicate dal Tribunale della Rota, furono date solo 119 sentenze d’annullamento.

CONCLUSIONE.

Provando ad usare il metodo apologetico (apologia del Matrimonio), che però per essere efficace deve seguire l’evangelizzazione (che ha la priorità: insegnamento del Catechismo di san Pio X commentato – qui un buon libro), è stato dimostrato che le calunnie dei libertini non hanno tenuta né storica e né dottrinale. Ammessi oggettivamente gli errori di alcuni uomini (ci sono stati e vanno riconosciuti – la buona o cattiva fede la conosce Dio), si è capito evidentemente perché la Chiesa non può essere minata nel suo indiscusso ruolo di «Guida sicura» e di «Garante della pace sociale». Se oggi gli errori dei modernisti che occupano i nostri «Sacri palazzi» si moltiplicano a macchia d’olio, generando confusione e disagio, non possiamo imputare colpe alla Chiesa, ma alla loro stessa defezione dalla fede (clicca qui per approfondire) che, come ampiamente dimostrato, produce cumuli di errori, guerra, sfaldamento e malessere sociale. La Chiesa non è in vendita, non si vende; sui banchi del mercato, invece, possono quotarsi gli uomini di poca fede che, per smodata voracità di gradimento (o piuttosto per altre motivazioni che solo Dio conosce), scendono a compromessi col mondo. In finale abbiamo capito che il «divorzio», così come sogliono chiamarlo molti nostri contemporanei, non esiste, è il prodotto della contemporaneità sempre più spesso apostata e degenerata, asservita a Satana. Non si lamenti, dunque del disagio sociale, chi approva e promuove queste e tante altre aberrazioni ispirate da Satana e condannate da Dio (chi va contro Dio ha anche meno grazie attuali). Se “essere moderni”, come si legge sul giornale nell’immagine, significa inimicarsi Dio, credo che il buon cristiano logicamente preferisce la cara “antichità” … il “museo” (sic!). Per ciò che concerne la situazione attuale in cui versa la Chiesa: Giurisdizione esistente? Privata? Inesistente? rimando il tema a futuri approfondimenti o a voci più esperte di me.