di Massimo Micaletti
Chi si impegna nel difendere la Vita sceglie un campo difficile e dalle poche ma molto grandi soddisfazioni; chi vi si cimenta già da qualche anno, sa che gli avversari non sono solo “dall’altra parte”, tra chi non condivide la difesa integrale della vita di ogni essere umano; il pro life infatti cammina sempre lungo una via tortuosa sulla quale sono in agguato tre belve insidiose. Vediamo se riesco a beccarle, queste tre erinni che tante buone (e meno buone) intenzioni hanno già fagocitato.
Il primo avversario è il personalismo: “Questa iniziativa è mia, l’ho voluta io, è cresciuta grazie a me! Senza di me non potete far nulla perciò o si fa come dico io o vedete che in breve tempo va tutto a catafascio”. Questo ritornello è suonato per anni nel Movimento per la Vita, prigioniero di una presupposta insostituibilità delle persone – in primis, del suo presidente – che lo ha portato ai grandi traguardi che oggi conosciamo in termini di irrilevanza: ci sono comunque ampi margini di peggioramento e le premesse mi pare ci siano tutte. Lo stesso ritornello si è tentato di suonare riguardo alla Marcia per la Vita, col risultato che alla Marcia, rispetto all’anno scorso, c’erano due persone in meno e ventimila in più.
Se davvero si comprendesse a che titanico aratro abbiamo la pretesa di mettere mano, se davvero si avesse presente che stiamo chiedendo all’umanità intera di non approfittare per paura o calcolo del più indifeso degli indifesi, sarebbe immediatamente chiaro che anche il più strenuo, insigne o acclamato difensore della Vita può muovere quel titanico aratro solo di qualche centimetro, e solo e soltanto perché il Signore lo permette. Dio solo può dire “Senza di me non potete far nulla”.
Sia chiaro: esiste pure il “personalismo inverso”, ossia il rifiuto aprioristico e pervicace di qualunque cosa dica, faccia o organizzi quella data persona, bollata di volta in volta con le qualifiche più originali. Siamo certi che anche chi commette errori debba di necessità commetterne per sempre, in ogni cosa che fa? E cosa ci legittima – peggio ancora – a presumerne la mala fede?
La seconda tentazione è il velleitarismo: spaccare il mondo tutto e subito. Un pro life – mi permetto di dire – il mondo non lo spacca, lo cambia e ci vuol tempo e fatica. I nostri stessi avversari hanno impiegato più di mezzo secolo di occupazione manu militari della cultura e dell’informazione per ridurre l’aborto ad una questione accademica, crediamo forse di potere in un istante far cambiare rotta a questa barca impazzita che naviga su un mare di sangue? Quand’anche in piazza fossimo tre milioni, la cultura della morte ha dalla sua forze potentissime, che hanno saputo ignorare il comune sentire ma anche la pietà, le costituzioni (ah, ecco che fine fanno i diritti di carta senza Dio!) e le evidenze scientifiche.
Pensare di poter sovvertire d’un colpo tutto questo è mancare di rispetto ai valori che stiamo difendendo, alla guerra che stiamo combattendo: non è una scaramuccia, non è una battaglia, è una guerra e basta e non nel senso che chi ha idee differenti debba ammazzarsi – ci mancherebbe, sebbene una delle due parti in campo continui, in pace colla propria coscienza, a pratica o avallare la più grande strage di esseri umani da che la nostra specie s’è affacciata al mondo – ma nel senso che sarà lunga ed avrà un prezzo molto alto.
Comprensibilmente, una parte di coloro che cadono vittima del velleitarismo lo fanno per risposta – quasi compulsiva – ad una certa tendenza ad ammorbidire il confronto, di cui parlerò tra poco: tuttavia, la risposta alla tiepidezza non è l’autocombustione.
E veniamo alla terza e per me peggiore nemesi del pro life: il moderatismo. Il moderatismo riesce a sommare le prime due e ad aggiungervi ulteriori peculiari degenerazioni. Ne ho già parlato[1], perciò aggiungo solo qualche riga.
Il moderatista – o democristiano nel senso deteriore del termine – si pone innanzi al titanico aratro di cui sopra e lo vede come inamovibile, in una sorta di velleitarismo frustrato e cosa fa? Decide da sé – ecco il personalismo – che non è il caso di usare l’aratro, ché in fin dei conti è troppo pesante e ci mette comunque una vita, e sceglie di adoperare strumenti più piccoli, leggeri, che vanno presto più lontano, anche se poi il solco sarà inevitabilmente meno profondo e il – pur buon – seme gettatovi finirà in pasto al primo corvo che passa. In fin dei conti il seme è sempre quello, ma perché non germoglia o peggio nutre le infestanti? Perché nessuna semina è fine a se stessa, nessuna semina è una gara o uno sfoggio di forza, ma la si compie in vista del raccolto e per Chi raccoglierà.
Il moderatismo ha apparentemente molti vantaggi: rende presentabili in parecchie sedi, in ispecial modo clericali, anche accademiche; consente di racimolare qualche alleato in più lungo la strada, senza star troppo a guardare se poi davvero la pensi come noi; agguanta qualche risultato che ripaga dello sforzo intrapreso. Ma il prezzo da pagarsi è ben superiore al ritorno, soprattutto perché il moderatismo dal metodo scende in un istante al merito e si passa quasi inconsapevolmente da “saper dire le cose” al “non dire ciò che non conviene” al dire, infine, quel che fa comodo.
Ecco che quindi la Legge 40, da forzato compromesso politico diviene “una buona legge”; ecco che il più importante quotidiano cattolico del Paese, “Avvenire”, ignora la Marcia per la Vita; ecco che il neonato quotidiano “La Croce” lesto s’allinea al gioco di rimessa onde evitare “la contrapposizione ideologica” e predica da Facebook che la Legge 194 è norma “imperfetta e mal interpretata”[2].
Contro le tre erinni del personalismo, del velleitarismo e del moderatismo ogni persona che si impegna per la Vita deve combattere ogni giorno e tener sempre la guardia alta: nessuno è escluso. Sono bestiacce sempre in agguato, forse le più insidiose armi che il Nemico ha per disperdere ed annebbiare finanche le più belle intelligenze ed i più bei cuori che si donino alla causa della Vita. Esse attaccano in definitiva, su un piano razionale, il concetto stesso di “principi non negoziabili”: il personalismo trasforma i principi in idee proprie; il velleitarismo li rende ideali irraggiungibili; il moderatismo li fa negoziabili.
Ma queste tre bestiacce ghermiscono anche il cattolico nel suo difendere la Vita a maggior Gloria di Dio: il personalismo ci fa operare per noi stessi, per il nostro ego, per questo mondo, e non per il Signore e per la vita eterna; il velleitarismo ci rende simili a Pietro che mozza l’orecchio al soldato ma rinnega al dunque il Signore; il moderatismo spegne l’amore per la Volontà di Dio nella tiepidezza e nel calcolo.
Però se queste bestiacce mordono, ebbene, si può guarire. Se si cade nelle loro grinfie – chi scrive c’è caduto tante volte, e chissà quante altre ancora capiterà – se ne può uscire, innanzitutto avendo presente che il fine ultimo di un cattolico che difende la Vita è far la Volontà di Dio: già questo fa abbassare la cresta, fa riacquistare fiducia, riaccende l’amore per la Verità tutta intera. Poi non fa male un po’ di contatto colla realtà, coi suoi limiti, i suoi fallimenti, le sue gioie: personalmente, ho imparato molto di più da un colloquio andato male con una madre che poi ha abortito che da una conferenza ben riuscita; ascoltare una madre che soffre per il figlio malato mi ha arricchito più che studiare e scrivere.
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[1] https://www.radiospada.org/2015/03/la-mala-pianta-e-i-potatori/
[2] https://www.facebook.com/lacrocequotidiano/posts/659415407497306?fref=nf
c’è anche il cerchiobottismo …
Il cerchiobottismo è ,appunto, il MODERATISMO.
Basta leggere bene per capirlo.
bell’articolo
Grazie a tutti. Sempre per la Vita, a maggior Gloria di Dio!