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Una premessa metodologica prima di tutto: Radio Spada è, per essenza e statuto, una casa editrice. A questa attività principale e caratterizzante ha affiancato un blog ancillare di informazione e cultura dove scrivono, ora membri della casa editrice, ora semplici collaboratori occasionali, ora amici cooptati: chiunque scrive lo fa a titolo personale, rappresentando la propria visione dei problemi e dell’attualità ecclesiale, significando maggiori o minori priorità, concentrandosi su questo o su quel problema. Radio Spada pubblica spesso comunicati di istituzioni religiose: anche questo lo fa per dovere di informazione, non disgiunto ovviamente da una totale o minore condivisione dei singoli contenuti da parte dei singoli membri di Radio Spada. Si chiama informazione, si chiama cultura, si chiama rendere conto della complessa abissalità della crisi che attraversa, travolge, strazia, tritura la nostra santa Chiesa cattolica.

Contrariamente all’anno scorso dove aveva dato un’ “adesione critica” (poi oggetto di correzioni e rettifiche in corso d’opera), quest’anno Radio Spada, molto più saggiamente, ha lasciato voce ad alcuni suoi membri ed amici che partecipano alla Marcia, senza però aderirvi ufficialmente né come blog, né come casa editrice. Ora lascia voce ad un altro suo membro che non solo non aderisce alla Marcia ma che aveva esposto, con altri, una lunga serie di critiche motivate sotto forma di “pubblica ammenda” (http://radiospada.org/2014/05/marcia-per-la-vita-ammenda-pubblica/).

Non mi addentrerò in questo breve pezzo sulle articolate polemiche che attraversano il mondo “pro-life” delle quali è molto più esperto di me l’amico avvocato Micaletti, né sui conflitti e gli antagonismi che lo caratterizzano (su cui con tanta passionalità scrisse l’anno scorso Roberto Dal Bosco su questo blog), nè sulle caratteristiche della marcia, elogiata l’anno scorso da Bergoglio come “ecumenica” addirittura dalla loggia vaticana, dalla quale spande e diffonde ora amenità, ora eresie. Voci amiche (e anche fidate) ci raccontano di un miglioramento della Marcia, di un maggiore consolidamento della sua identità cattolica: non mettiamo in dubbio la buona fede e una certa oggettività di queste affermazioni, né discutiamo la volonterosa dedizione di gran parte dei “marcianti”. La causa è infatti nobilissima, il delitto contro cui combatte uno dei più ignobili che la storia umana ricordi. Rimane però indiscusso il fatto che queste chiamate alle armi intorno al “diritto naturale”, a quelli che un tempo si chiamavano “valori non negoziabili” obliterano, occultano, accantonano la gravissima crisi dottrinale e d’autorità che attraversa la Chiesa, orba di veri e legittimi pastori, orba di confermatori nella Fede. Si brancola oggi nel buio e nel buio è difficile camminare, impossibile marciare: si cerca una bandiera, fosse anche uno straccio di bandiera, si seguono suoni vaghi (sperando non si tratti di pifferai magici o di trappole di cacciatori di frodo). Alcuni dei marcianti, ad esempio, brandiranno il santino di “san” Giovanni Paolo II, vero emblema eversivo del divorzio tra morale e dottrina cattolica, altri beleranno vicino al colonnato del Bernini, implorando non dico una benedizione ma almeno uno sguardo ammiccante del pirata argentino, altri marceranno per la controrivoluzione conservatrice, altri accarezzando sogni restaurativi di qualche grande o piccolo cesarismo novecentesco. Tanta buona volontà e confusione, amore per la vita innocente e piccoli e grandi disegni egemonici (l’egemonia delle macerie del cattolicesimo romano), prassismo e dottrine acattoliche: tutto questo rende e renderebbe impossibile la partecipazione di cattolici integrali a siffatte manifestazioni (pubbliche).

Lo si dica con buona pace di tutti: non esistono solo le “sentinelle in piedi” (cui va tanta umana solidarietà per gli attacchi e le violenze che ricevono) ma esistono soprattutto le “sentinelle della Dottrina”. Essi sono i fedeli “Domini canes” che, nel momento in cui l’ovile è invaso dai lupi ed il mercenario di turno, che tiene spalancate le porte, sorseggia matè in un angolo, devono gridare con forza e con costanza che la casa va a fuoco, il cattolicesimo romano si è via via trasformato in una brutta copia dell’anglicanesimo e via degenerando. Questi “Domini canes” che, in tempi tanto odiosi, portano su di sé il peso e l’onere tutto intero della crisi della Chiesa, circondati ora da ignari ora da complici della Rivoluzione, tendono a volta ad inselvatichirsi, ad abbaiare sempre e senza posa per denunziare gli errori vecchi e nuovi, ma essi sono assolutamente necessari per questi drammatici tempi in cui viviamo. Senza di loro sarà impossibile qualsiasi restaurazione della Chiesa. Come fa il cane da guardia, può abbaiare qualche volta a delle ombre vane ma assai più spesso si tratta di vecchi e nuovi ladri delle anime che si avanzano nella notte oscura seguita al 1965. Anche questo è il dovere dei cattolici integrali oggi: segnalare con un’assenza l’assoluta e verticale centralità del problema della Dottrina e dell’Autorità oggi, portare al centro, opportune e importune, quella Fede, senza la quale non si può piacere a Dio.

Anche nel rispetto franco e benevolo, pur nella polemica, di amici e conoscenti che facessero scelte diverse.

 

Piergiorgio Seveso