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di Massimo Micaletti

 

Dunque, ci siamo quasi. Siamo agli ultimi giorni prima della Marcia per la Vita, che partirà a Roma alle 14 del 10 maggio 2015.

Forse è superfluo spiegare cosa sia la Marcia. Certo, è una manifestazione, una chiamata alle armi, un segno forte e chiaro che c’è un mucchio di persone che è per la Vita. Per la Vita davvero: senza compromessi, mediazioni, in primis contro la Legge 194 e la sua sciagurata progenie, rappresentata innanzitutto dalla Legge 40 e dall’utero in affitto, per una guerra che potrà certo conoscere momenti e battaglie, trincea e tattica, ma col chiaro obiettivo di annientare la vergogna della soppressione della vita, attuata in grembo o in provetta, per giunta coi fondi e la benedizione dello Stato.

Per chi va alla Marcia, la 194 non è solo “imperfetta” o “mal applicata”, come abbiamo letto da qualche parte senza che nessuno, salvo – consentitecelo – Radio Spada, dicesse “a” o “ba”: la 194 è una legge omicida che va spazzata via, una vergogna dello storia del nostro Paese e del diritto che non si può tollerare, altro che “imperfetta” o “mal applicata”.

Ma la Marcia è sempre anche una scommessa e va vinta.

Va vinta innanzitutto nei confronti di chi la sommerge di falsità e luoghi comuni, come del resto accade ogni volta che i cattolici o il popolo della Vita si permettono di uscire dalle riserve indiane del colonnato o delle GMG “a la playa”: basta guardare quel che capita alle Sentinelle in Piedi, accusate addirittura di nazismo (quando proprio sotto il nazismo aborto ed eutanasia erano legalissimi!).

Urlare menzogne o slogan (che sono poi menzogne liofilizzate) contro i manifestanti per la Vita è la prima prova di un’assoluta carenza di argomenti, carenza che chi si impegna su questi temi conosce bene. Togliete gli specchi deformanti dei mass(on)media ai leoni ruggenti dello scientismo e dell’individualismo e troverete quattro chihuahua capaci solo di latrare istericamente al primo passeggino che passa.

E’ una scommessa che va vinta anche contro quelli che, della Marcia, parlano male perché non sarebbe abbastanza tosta, quelli che “o abrogazione tout cour o niente”. Personalmente ho sempre provato grande simpatia per le posizioni radicali, ma, come diceva Ferrer, “Adelante, Pedro, con juicio”: l’obiettivo deve essere chiaro, preciso, dichiarato e nella chiarezza se le circostanze impongono una marcia a tappe, ben vengano le tappe. Questa è una guerra, è un assedio, una campagna, non una rivoluzione, che può compiersi in pochi mesi dopo che qualcuno nell’ombra l’ha preparata per anni. Non ci si muove coi blitz oggi, ma con un incedere di trincea, metro dopo metro, senza mai accontentarsi, senza mai benedire ogni metro conquistato, pur a fatica e col sangue, perché solo se si sarà giunti alla meta si potrà dire che ogni innocente è protetto, ogni innocente ha una società pronta ad accoglierlo ed un ordinamento pronto a proteggerlo. Fino ad allora, non esistono “buone leggi”, non esistono “traguardi”, non esistono “paletti” (che poi, ‘sti famosi paletti, non ci mettono nulla a diventare cavalli di Frisia).

La sintesi tra radicalità degli obiettivi e parzialità dei successi esiste e si chiama gradualità nella chiarezza, la determinazione di chi non arretra di un centimetro né si ferma appagato ed anzi contrattacca con metodo e pazienza, certo che la protezione per ogni vita, nascente, morente, malata, incosciente, non è un pio auspicio, ma una realtà che si può e si deve raggiungere.

E’ una scommessa che va vinta contro chi, della Marcia, non vuol parlare, contro una censura sorda, silenziosa, mossa da parte del mondo cattolico o sedicente tale e che ha le ragioni più disparate e disperate, personali, ideologiche, di trascorsi, di strategie e via avvilendosi.

E come la si vince, questa scommessa? Certo, andando a Roma il 10 maggio, ma non solo. La Marcia è il passo di un percorso, il capitolo di una storia, non un rave party di parrocchia da cui tornare un po’ sballati per rinfilarsi nella vita di tutti i giorni. Ecco perché la Marcia non è solo una manifestazione: la militanza per la Vita è quotidiana, nelle nostre vite ed in quelle degli altri, si difende l’innocente ogni giorno, non soltanto il 10 maggio a Roma. Queste intenzioni, queste azioni, queste preghiere, questi sacrifici, queste gioie, queste pene, di tutti i giorni, queste sono le munizioni che ci servono per vincere la guerra.

Per quel che posso pensare io, non vedremo noi la vittoria, non la vedranno forse neppure i nostri figli, ma un giorno arriverà, non ci sono dubbi: l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni, i figli su commissione sono orrori che una civiltà che voglia sopravvivere non può tollerare troppo a lungo. Quindi la nottata passerà, anche se durerà ancora molto, e tocca anche alla Marcia portare un fiammifero acceso, nel buio. L’importante è che quel fiammifero non si spenga, e non si spegnerà. Scommettiamo?