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Col permesso dell’autore, pubblichiamo questa toccante lettera di adesione alla campagna #IoStoConDanilo dello storico e scrittore Gianandrea De Antonellis [RS]

Egregio Dottor Quinto,

le scrivo per esprimerle la mia solidarietà rispetto alla triste vicenda del suo licenziamento da parte dell’Agenzia SIR.

Non la stupisca troppo il mio ritardo: da alcuni anni, devo confessarlo, sto effettuando un progressivo allontanamento dall’informazione, soprattutto per salvaguardare il mio fegato, dedicandomi a studi storici piuttosto che a seguire le vicende politiche e cronachistiche con soverchia attenzione. Del resto, purtroppo, grazie alle moderne tecniche di comunicazione, le cattive notizie finiscono comunque per raggiungerci…

Il suo caso da un lato mi addolora per il risvolto umano, dall’altro mi disgusta – mi scusi la durezza del termine, ma mi è difficile trovarne uno più edulcorato – dal punto di vista politico e morale.

Ciò che le è accaduto non è il primo e, temo, non sarà l’ultimo esempio di come si mette a tacere una voce che osa dissentire dal coro.

Se ciò è comprensibile (anche se non accettabile) in una dittatura, lo è molto di meno (o lo è per nulla) in strutture culturali, formative e informative, come una università sedicente cattolica o un’agenzia di stampa che si definisce religiosa. Anche se troppo spesso quella di “cattolico” appare come una etichetta che non ha alcun riscontro in una adesione non dico ai principi della bimillenaria Tradizione, ma nemmeno a quelli della “misericordia” tanto sbandierati negli ultimi tempi.

Apprendendo quanto le era avvenuto, ho immediatamente ripensato all’allontanamento di Mario Palmaro ed Alessandro Gnocchi (la rinomata e rimpianta ditta Gnocchi&Palmaro) da Radio Maria, emittente che ha sollevato dall’incarico anche il Professor Roberto de Mattei: in ognuna di queste vicende la causa non era l’aver espresso dai microfoni di quella radio opinioni offensive o discutibili (il che avrebbe giustificato la rimozione), ma semplicemente aver sostenuto altrove, su altre testate o libri, concetti che vanno contro la “vulgata” del Vaticano II come il “migliore dei Concili possibili” e aver dichiarato una verità che è sotto gli occhi di tutti, ma che non fa piacere venga ripetuta: la crisi della Chiesa in seguito (non solo cronologicamente, ma soprattutto causalmente) allo “spirito del Concilio”.

Nei due casi di Radio Maria mi colpì il fatto che l’allontanamento fosse avvenuto senza dare agli interessati la pur minima possibilità di giustificarsi né di salutare il proprio pubblico (ed è meglio sorvolare sull’aspetto umano, poiché il direttore della “dolcissima” – come egli stesso la definisce – Radio Maria avrebbe potuto comportarsi diversamente nei confronti di un collaboratore di cui era nota la malattia allo stadio terminale).

Negli scorsi giorni, il caso di Sandro Magister, a cui è stato sospeso l’accredito da parte della sala stampa vaticana, ha riproposto gli stessi interrogativi, facendo pensare ad una politica punitiva nei confronti di chi non si allinea al plauso generale nei confronti della via intrapresa, tanto che Riccardo Cascioli ha affermato sulla Nuova Bussola Quotidiana «Si può dunque ragionevolmente pensare che Magister paghi non tanto l’anticipazione dell’enciclica quanto il costante lavoro di informazione teso a dare notizie o mettere in rilievo fatti che non sono in linea con il coro di adulazione che circonda – e danneggia – questo pontificato. L’incidente dell’enciclica è solo il pretesto per regolare i conti con un giornalista autorevole ma dipinto come un punto di riferimento per il dissenso. Un segnale ben preciso lanciato dai nuovi cortigiani a chiunque voglia anche sollevare domande, secondo una vecchia strategia: colpirne uno per educarne cento».

Questa ultima frase, “colpirne uno per educarne cento”, resa famosa da Mao Tze Tung e ripresa dalla sinistra extraparlamentare italiana (leggi: il terrorismo di sinistra, le BR, i “compagni che sbagliano”) mi fa venire alla mente un ricordo personale: una ventina di anni fa un collega dell’ultra-sinistra (allora esisteva ancora Democrazia Proletaria) mi disse di essere uscito dal PCI perché aveva avuto la netta impressione «di essere all’interno di una Chiesa». Naturalmente dava a questo vocabolo il senso di una istituzione dove non era possibile alcun genere di dissenso. Anch’io condividevo il concetto (pur non accettando l’uso il termine “Chiesa” per definirlo): per me il PC (a qualunque Paese esso appartenesse) era sinonimo – oltre che di oppressione e di crimini contro l’umanità – di una “verità” (pravda, in russo) che poteva anche cambiare (ripensiamo al lavoro che nel romanzo 1984 di George Orwell svolge l’impiegato del Partito Winston Smith, incaricato di “correggere” i libri e gli articoli di giornale già pubblicati, modificandoli in modo da rendere “vere” le previsioni fatte dal Partito stesso; falsificazione che avveniva negli uffici del Ministero della… Verità) ma che in ogni modo non era discutibile e che aveva al proprio centro il culto del Capo.

A venti e più anni di distanza talvolta sembra possibile poter invertire quella affermazione: alcuni esponenti della Chiesa sembrano agire come burocrati di Partito, proni di fronte al culto del Capo e pronti a colpire chiunque non applauda entusiasticamente. Così, mentre il Papa predica la misericordia, essi si mostrano alquanto “miseri di cuore”, licenziando in tronco chi esprime una voce dissenziente.

Concludo, egregio Dottore, esprimendole la mia solidarietà, per quello che può valere, e confessandole che, se sono sinceramente disgustato da come è stato trattato, non ne sono, purtroppo, sorpreso: in un’epoca in cui si combatte con la penna e non con la spada (almeno in Europa e ai giorni presenti; altrove i Cristiani di nuovo versano il proprio sangue e probabilmente nel nostro stesso futuro saremo chiamati a testimoniare la nostra Fede a prezzo della vita) al posto del martirium sanguinis c’è l’incruenta, ma non meno crudele imposizione del silenzio sui giornali, alle radio, nelle università, nelle scuole.

 

Con stima,

Gianandrea de Antonellis