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Scomparso dai riflettori alla fine del 2006, riemerge dall’oscurità uno dei personaggi più controversi della storia americana. Donald Rumsfeld, il super falco ministro della Difesa durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, critica oggi aspramente il suo presidente, George W. Bush e si smarca dalla decisione di abbattere Saddam Hussein. A dodici anni di distanza dall’inizio del disastro iracheno, il vaso di Pandora da cui è emerso l’Isis e il caos regionale, Rumsfeld bolla come un errore “l’irrealizzabile” idea di Bush di esportare la democrazia in Iraq. In un’intervista al Times afferma oggi che all’epoca non era “uno di coloro che riteneva particolarmente adeguata la democrazia come (sistema) appropriato per altri Paesi (da calare dall’alto) in qualsiasi momento della storia. L’idea che potessimo fabbricare la democrazia in Iraq mi sembrava irrealizzabile. Mi preoccupai molto quando sentii per la prima volta queste parole”, dice solo oggi Rumsfeld, anche se all’epoca tenne per sé questi timori. [da AGI]

Rumsfeld ha affermato che ONU e NATO non sembrano più capaci di affrontare le minacce contemporanee – quali estremismo islamico, armi chimiche, l’Iran, la schiavitù – e ha auspicato una “coalizione” internazionale della sanior pars. Ha aggiunto che contro l’ISIS si sarebbe dovuta adottare una tattica da “guerra fredda”, in quanto il contrasto ideologico è più efficace delle armi in casi come questo, mentre i bombardamenti sulla Libia hanno avuto come unico effetto di destabilizzare ulteriormente la regione. Ha criticato Obama per “difetto di leadership“. Ha esplicitamente riconosciuto “we can’t police the world”, non siamo poliziotti globali. [da rt.com]