In un video girato in territorio siriano da alcuni esponenti dell’ISIS e indirizzato ai “tiranni di Hamas”, gli uomini del Califfato hanno apertamente sfidato il predominio del movimento politico palestinese nella Striscia di Gaza, accusato di non essere abbastanza severo nell’imporre il rispetto della legge islamica. Nel videomessaggio, l’ISIS giura che sradicherà tanto Israele quanto al-Fatah e il meno “laico” Hamas.

“Promettiamo di ripetere a Gaza ciò che già stiamo facendo in Siria e in particolare nel campo di Yarmouk“: il riferimento è alla strage dei primi di aprile, quando l’ISIS si impadronì di buona parte del campo profughi palestinese di Yarmouk (Damasco), che ospitava 160mila persone, stabilendo per la prima volta una base nella capitale siriana e uccidendo circa mille profughi.

 

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Hamas chiaramente condivide le dichiarate intenzioni dell’ISIS contro lo Stato di Israele; ma l’obiettivo politico è radicalmente diverso, non consistendo nella creazione di un “califfato islamico” nel territorio mediorientale, ma nella difesa dell’indipendenza palestinese.

La cosa che può apparire curiosa è che Hamas è stato ripetutamente accusato di avere legami con l’ISIS, nonostante l’abbia recentemente combattuto; in particolare, l’intelligence israeliana asserisce (smentita da Hamas stesso) che vi siano interessenze con l’ISIS sito in territorio egiziano, ad esempio riguardo al contrabbando di armi. Oggi, però, alcuni analisti credono che la “comune minaccia” dell’ISIS potrebbe avvicinare gli irriducibili nemici Israele ed Hamas nella lotta al nemico comune, magari sulla base di un lungo cessate il fuoco e di un’interruzione nel blocco navale a danno della Striscia.

Peraltro, gli ultimi attacchi missilistici verificatisi in giugno contro Israele (provenienti da Gaza) sarebbero stati opera delle Brigate Omar, gruppo salafita affiliatosi all’ISIS, mentre Hamas avrebbe preso le distanze; e, in effetti, la reazione di Israele pare aver colpito deliberatamente edifici e strutture non più impiegati dal movimento palestinese, quasi a non voler gettar benzina sul fuoco.

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L’inimicizia dell’ISIS per Hamas non è, del resto, cosa di oggi.

“Costruiremo questo emirato islamico a costo di sacrificare le nostre vite e in esso instaureremo la Shari’ah – così da provare nuovamente la gioia di vivere secondo la legge islamica – e giuriamo su Allah che obbediremo ai Suoi ordini e che eviteremo quelle azioni che Egli ci ha ordinato di evitare”. In questo modo si espresse Abdul-Latif Moussa nella moschea Ibn-Taymiyah a Rafah, nella parte meridionale di Gaza, sei anni fa. Era il 14 agosto 2009 ed annunciò la creazione di “Al-Imarat al-Islamiyah fi Aknaf Beytul Maqdas”, altrimenti noto come “Emirato Islamico a Gerusalemme”, del quale si dichiarò il primo emiro.

Jund Ansar Allah, i cui uomini accompagnavano Moussa, è un movimento takfiri fondato a Rafah nel 2008. Tra dicembre del 2008 e gennaio del 2009, nel corso della guerra israeliana a Gaza, questo movimento affermò che, al pari di Israele, anche Hamas non rispetta i dettami dell’Islam e che perciò non c’è differenza fra la resistenza islamica e l’occupante sionista. I membri del movimento sollevarono la questione dell’applicazione superficiale della Shari’ah da parte di Hamas e del suo lassismo nei riguardi della legge islamica e usarono questo argomento come pretesto per la loro opposizione a Hamas, che venne considerato un governo laico.

Le tensioni fra Jund Ansar Allah e Hamas sfociarono per la prima volta in uno scontro armato quando nel luglio del 2009 la polizia di Hamas attaccò uno dei loro nascondigli. Sebbene Jund Ansar Allah abbia condotto qualche operazione contro Israele, la maggior parte di esse fu poco efficace e non coronata dal successo. In seguito i membri di Jund Ansar Allah incominciarono a prendere di mira alcuni luoghi pubblici di Gaza, come gli internet-cafè, a causa della “diffusione di tematiche immorali”.

In seguito alla dichiarazione pubblica del leader Abdul-Latif Moussa, Jund Ansar Allah trasformò la moschea Ibn Taimiyah nel suo quartier generale. Come risposta, Hamas circondò la moschea e chiese ai membri del movimento di arrendersi; ma essi rifiutarono. Hamas tentò di negoziare; seguì una battaglia al termine della quale la moschea venne distrutta e tutti i membri di Jund Ansar Allah furono uccisi. Anche Hamas patì ingenti perdite.

Quando, anni dopo, i guerriglieri dell’ISIS penetrarono in Siria e invitarono migliaia di “jihadisti” da tutto il mondo a unirsi a loro, i pochi palestinesi che si unirono all’ISIS scelsero per sé il nome di “Brigate Abu al-Noor al-Maqdasi”.

La divisione tra Hamas e i takfiri è basata sulle loro differenze ideologiche, oltre che sulla distanza rispetto agli obiettivi strategici e alle priorità. Hamas, in qualità di branca palestinese dei Fratelli Musulmani, a dispetto delle tendenze salafite al suo interno e confidando nella lotta armata come una delle opzioni per la liberazione della Palestina, si distingue dai gruppi takfiri. Infatti, Hamas, come Hezbollah, crede che l’unico bersaglio della lotta debbano essere le forze di occupazione sioniste. Dall’altra parte, i takfiri pensano che la priorità sia “ripulire” la Umma (comunità islamica) dal lassismo e dai leader corrotti.

I takfiri credono che il jihad possa essere combattuto solo sotto l’egida di un emiro o di un califfo. Se un movimento non è guidato da un califfo, allora non è islamico. A partire da questa concezione, essi sostengono che la lotta dei palestinesi e del popolo di Gaza è illegittima.

Le strette relazioni intercorrenti fra Hamas, la Repubblica Islamica dell’Iran e Hezbollah, a prescindere dai diversi punti di vista sulla Siria, è un’altra delle ragioni che i takfiri hanno addotto per motivare i loro duri attacchi contro Hamas. La relazione fra Hamas e l’Iran è radicata nella medesima ideologia islamica taqribi (unione tra sciiti e sunniti), supportata dall’Imam Hasan al-Banna e da altre influenti figure dei Fratelli Musulmani. A partire da questa base comune essi considerano l’imperialismo statunitense e il sionismo i principali nemici della Umma.

 

Fonti: rt.com, ilgiornale.it, infopal.it