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di Mattia Rossi

 

Sta letteralmente impazzando tra i ratzingeriani (ovvero coloro che, più o meno sinceramente, si ostinano a voler vedere in Joseph Ratzinger/Benedetto XVI il paladino della Tradizione cattolica) l’ultimo discorso pubblico dell’attuale “papa emerito”. Tema: la musica sacra e liturgica.

Sembra quasi di udirli, i conservatori conciliari con gli occhi coperti di fette di ermeneuticadellacontinuità: “Ecco, finalmente Benedetto XVI le ha cantate chiare e tonde sulla musica sacra e sulla corretta attuazione del Concilio”. Non volendo oltremodo infierire su farneticazioni canicolari varie, propongo una lettura di alcuni punti del discorso ratzingeriano con qualche commento (si spera cattolico).

Inizio con i botti polacchi: «Con il suo esempio vivo [Ratzinger si riferisce a “san” Giovanni Paolo II] egli ci ha anche mostrato come possano andare mano nella mano la gioia della grande musica sacra e il compito della partecipazione comune alla sacra liturgia». Sicuro del fatto che contra factum non valet argumentum, propongo al lettore una rapida ricerca su YouTube al fine di tastare con mano l’attenzione di Woytjla alla «grande musica sacra» durante le sue “Messe” show.

Il punto più interessante, però, viene immediatamente dopo, quando Ratzinger comincia a parlare dell’ormai vomitevole tema della partecipazione attiva e al significato e ruolo della musica sacra nella liturgia. Nell’ottica ratzingeriana e conciliare – recido, qui, tutte le apologie del Concilio e delle sue riforme – essa non è più quell’elemento consegnato dalla Chiesa e inserito nella celebrazione del Santo Sacrificio affinché esso si ammanti ulteriormente di gloria e prestigio. No, perché facendo del canto della Messa (e non nella Messa) il feticcio attraverso il quale si attua pienamente il Concilio, si viene a sposare un’idea para-protestante: ovverosia un sacerdote non più autonomo in quanto agente in persona Christi ma in un perenne orizzontale dialogo inter pares con l’assemblea cantante.

Ma, allora, secondo la tradizione cattolica, qual è lo scopo della musica sacra? Non di certo far cantare l’“assemblea celebrante”. Su questo, Concilio, Ratzinger e ratzingeriani dovrebbero fare i conti con Pio XII, ad esempio, che nell’enciclica Musicae sacrae disciplina scrive: «Essa [la musica], dunque, nulla può compiere di più alto e di più sublime dell’ufficio di accompagnare con la soavità dei suoni la voce del sacerdote che offre la vittima divina, di rispondere gioiosamente alle sue domande insieme col popolo che assiste al sacrificio, e di rendere più splendido con la sua arte tutto lo svolgimento del rito sacro» (II).

Quindi: abbellire il canto del sacerdote, rispondergli (questo certamente, è ovvio) e, quindi, «rendere più splendido» tutto il Santo Sacrificio della Messa. Il quale, al contrario di quanto pensa il Concilio (e Ratzinger), rimarrebbe altrettanto splendido anche se il popolo non cantasse affatto e lasciasse le risposte in canto alla schola o ai ministri. E non mi addentro, naturalmente, sul capitolo riguardante tutta la cloaca di canti liberi, cioè quelli di libera composizione, postconciliari, sui quali non basterebbe un articolo.

Giusto a completezza, invito a leggere Pio X e il suo motu proprio Inter sollicitudines, grazia al quale riusciamo ad avere una visione più completa: «La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli. Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri».

Anche qui: il fine è chiaro (la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli), chiaro è anche lo scopo che la musica deve avere (accrescere lo splendore del rito), ma interessante è una piccolissima precisazione: la musica propone «all’intelligenza dei fedeli» affinché essi siano maggiormente disposti interiormente ad accogliere la grazia che proviene dalla celebrazione del Sacrificio. Questa, per il magistero cattolico, è la vera “partecipazione” dei fedeli.

A questo punto, allora, è chiaro come sia mutato drasticamente il fine della musica sacra e liturgica; ma non solo quello, pure la sua origine. Ratzinger, infatti, nel suo discorso, individua tre «luoghi da cui scaturisce la musica». Li riporto perché i mantra che vi si ripropongono fanno tristemente sorridere: «Una sua prima scaturigine è l’esperienza dell’amore», «una seconda origine della musica è l’esperienza della tristezza», «infine, il terzo luogo d’origine della musica è l’incontro con il divino».

Occorre sottolinearli? L’“esperienza” e l’“incontro”. Tutto è ribaltato. Ma la Chiesa, ammantando il rito di una musica estremamente rigida e codificata (il canto gregoriano), ha sempre insegnato il contrario e cioè che è Dio, il quale non ha bisogno della nostra lode, che parla a noi attraverso un canto plasmato dallo Spirito. La musica sacra è per il cattolico una musica che dal Cielo discende sulla terra ed è in grado di infondere la gioia e la speranza nel cuore come la cetra di Davide calmava lo «spirito cattivo» di Saul e lo trasformava in un altro uomo (1Sam 16, 14-23). Va bene l’amore, la tristezza e l’incontro, ma essi vanno rovesciati: vengono da Dio e non dall’uomo.

Non solo: Ratzinger arriva addirittura a sostenere che «la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del dolore». Ebbene, dove non era riuscito ad arrivare nemmeno il Vaticano II, ovvero assoggettare così esplicitamente e candidamente la musica sacra alle sensazioni umane, arriva ora colui che si vorrebbe far credere essere il paladino della Tradizione.

Solo una cosa: noi possiamo accettare tutto, ma che, almeno, questa integrità tradizionale del “papa emerito” la si dimostri.

 

P.s.: Ah, dimenticavo: Bach, inarrivabile compositore – sono il primo a dirlo – ma additato da Ratzinger come supremo modello di musica liturgica, era protestante e musicava i corali di Lutero. Ecco, appunto.